La Cosa (1982) di John Carpenter

di Fabrizio Spurio

“La fiducia è una cosa difficile da sentire in questi giorni”; “Sediamoci qui, vediamo che succede”.

“La Cosa da un altro mondo”, un film diretto nel 1951 da Howard Hawks (ma firmato dal suo abituale montatore Christian Nyby), era una pellicola tratta da un romanzo breve intitolato “Who Goes There?”, scritto nel 1938 da John W. Campbell. Il racconto narra le vicende di un gruppo di militari e scienziati alle prese con il ritrovamento del corpo di un alieno rimasto ibernato per migliaia di anni. L’alieno, tornato in vita, riesce a imitare le forme di vita con cui viene a contatto, sostituendo ed eliminando dall’interno il corpo ospite. Una volta effettuata la sostituzione l’individuo alieno sarà indistinguibile dall’originale. Il film che Hawks trasse dal racconto differisce in maniera notevole dal testo originale. L’alieno, in questa pellicola, diventa un umanoide di origine vegetale che si nutre del sangue degli umani. Il gruppo si coalizza per sconfiggere il nemico riportando la serenità nei sopravvissuti. Nel 1981 la Universal decise di produrre un remake del film di Hawks, e contattò John Carpenter, forte del successo di due pellicole “Halloween – la notte delle streghe” del 1978 e “Fog” del 1980, per curarne la regia. Carpenter, da sempre un appassionato dell’opera di Hawks, accettò volentieri il compito, ma apportò alcune modifiche alla storia. Di fatto l’opera compiuta risulta essere più un sequel del film originale che un remake. Il film di Carpenter, inoltre, prende le distanze dalla vicenda narrata nel film di Hawks, riportando la trama più vicina a quella del romanzo originale.

Il film di Carpenter diviene così uno studio sulla psicosi e sul disgregamento dei rapporti umani. L’alieno di Carpenter recupera la sua peculiarità, presente nel romanzo. Si scompone, infetta i corpi, li possiede. Una sola cellula dell’alieno è un organismo autosufficiente capace di infettare chiunque. La Cosa penetra nei corpi deformandoli oscenamente. L’equipaggio della base artica è tutto maschile, non ci sono presenze femminili, e questo elemento aumenta la perversione della Cosa. Lo spettatore è portato a pensare che l’alieno possa penetrare nel corpo ospite nei modi più osceni, e non di rado può venire il sospetto che il mostro attui una sorta di sodomia negli uomini. Dal corpo del mostro spesso si agitano viscidi tentacoli pronti a penetrare nel primo orifizio libero. La Cosa in effetti è un mostro totalmente carnale. Plasma i corpi a suo piacimento, ma soltanto nei momenti in cui si sente maggiormente in pericolo. Di fatto il suo penetrare è subdolo. Basta l’immagine di sangue che cola da un corpo morto deformato a fungere da campanello d’allarme. Il sangue è vivo, scivola e si dirige verso un ospite. Una volta all’interno dell’organismo inizia la sua opera di trasformazione, distruggendo il corpo ospite e sostituendo pian piano gli organi con i suoi.

L’orrore ha inizio quando un cane, un siberian husky, inseguito da un elicottero di una vicina base norvegese che vuole ucciderlo, si rifugia nella base americana. L’elicottero si distruggerà in un incidente e il cane sarà accolto dagli americani. La scena della trasformazione del cane, chiuso nel canile insieme agli altri husky, mostra all’equipaggio americano, ed allo spettatore, il micidiale potenziale dell’alieno. Il corpo del cane si apre come un fiore di carne, esplode in tentacoli e zampe di ragno, allarga i suoi organi interni vomitando fuori bocche di piante carnivore mentre sulle superfici degli organi si aprono occhi umani. Braccia artigliate saltano fuori dal groviglio di organi in un trionfo di liquidi organici di varia natura.

MacReady (Kurt Russel) fa appena in tempo a bruciare i frammenti del mostro con un lanciafiamme. Ma tutto l’equipaggio ha visto. Si crede che il pericolo sia superato, ma quando un secondo membro della spedizione, contaminato dal mostro, inizia la sua mutazione sotto gli occhi degli altri, l’incubo prende veramente forma. Da quel momento chiunque può essere la cosa. Il terrore ed il sospetto iniziano a serpeggiare tra gli uomini. Tutti accusano tutti, perché neanche chi è contagiato si rende conto di non essere più umano. E’ solo nel momento del pericolo che la Cosa si rivela. I corpi degli uomini allora possono diventare una vera e propria tavolozza di carne, e agli occhi dello spettatore si mostra una sequela di trasformazioni che sono una continua sorpresa, un trionfo dell’effetto, della plasticità della materia e dello splatter. Mai Carpenter aveva girato una pellicola tanto violenta e disturbante per quello che riguarda il mostrare sangue.

Il tecnico degli effetti speciali Rob Bottin ha creato un capolavoro visionario senza paragoni. I suoi mostri, le sue creature, sono totalmente automatizzate, in un’epoca in cui non non esiste la computer grafica. I suoi mostri sono realizzati totalmente a mano, tra lattice, meccanismi e gelatine alimentari. Le trasformazioni del mostro risultano quindi una somma delle opere di Bosch e Dalì fuse in un estremo visionario teso a sconvolgere chiunque le guardi. Realmente non vedremo mai il vero aspetto dell’alieno. Anche nel finale, nello scontro decisivo tra il mostro e MacReady, quando la Cosa si palesa a lui in tutto il suo potere, possiamo vedere un essere enorme, mostruoso e terrificante, ma se si osserva bene il corpo del mostro si scopre che è un insieme di tutte le creature con cui è venuto a contatto, dai dinosauri, all’uomo, ai cani, ad altri esseri assurdi, magari incontrati ed assimilati su altri mondi.

La Cosa spinge i protagonisti a disgregarsi, come lei stessa fa dei loro corpi. La disgregazione quindi inizia nell’anima, prima ancora del contagio. L’alieno mina la loro sicurezza, li spinge ad isolarsi l’uno dall’altro, così da renderli più deboli. Solo in gruppo si può riuscire a sopravvivere ad una minaccia tanto strisciante: solo rimanendo insieme e tenendosi d’occhio l’uno con l’altro. Ma ad un certo punto il sospetto diventa più pericoloso del mostro. Alcuni si coalizzano contro altri, per il solo pensiero che forse la Cosa è nell’altro, forse… Non c’è sicurezza, ma nel dubbio meglio eliminare il sospettato. L’idea del linciaggio scivola spesso tra i protagonisti. Il senso di isolamento è dato anche dalla fotografia in Panavision, tanto amata da Carpenter. Lo schermo panoramico esaspera il senso di solitudine della base artica sperduta tra le nevi perenni, in un bianco abbacinante che non da scampo o possibilità di fuga. Ed il sospetto, il terrore strisciante, è sottolineato dall’ossessiva musica creata e composta per l’occasione da Ennio Morricone, che ha creato un tema principale che è un ritmo pulsante, un palpitante cuore che ritorna in diverse sequenze della pellicola a sottolineare l’isolamento (mentale) del gruppo. Senza aiuti, senza contatti, lasciati soli a combattere un nemico invisibile, un virus letale che terrorizza. Molti caratteri sono solo accennati, non c’è un membro dell’equipaggio che risalta rispetto agli altri, a parte MacReady. L’unico con cui il pubblico può immedesimarsi, proprio perchè in una pellicola talmente disperata, lo spettatore ha assoluto bisogno di legarsi ad almeno un personaggio, uno che possa essere sicuramente immune dal contagio. Un personaggio che sia l’ultima spiaggia quando non ci si può fidare di nessun altro.

Il film, alla sua uscita non ebbe il successo sperato. Fu anzi un flop enorme, tanto che riportò Carpenter nel giro delle produzioni indipendenti. Per questa pellicola infatti il regista ha ricevuto il suo budget più alto in assoluto, ma sfortunatamente nello stesso periodo, nei cinema, venne distribuito “E.T.- l’extraterrestre”, mostrando al pubblico il volto di un alieno molto più dolce e simpatico rispetto agli orrori, di chiara derivazione lovecraftiana, portati sullo schermo da Carpenter. Ma “La Cosa” è un film potente e viscerale, che nel tempo ha dimostrato il suo valore, diventando una pellicola di culto, amata in tutto il mondo.

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