di Girolamo Di Noto

Molti film restano nella memoria per il fulgore di qualche fotogramma o l’emozione di alcune sequenze. Nel caso del film La terra dell’abbastanza, dei fratelli D’Innocenzo, pregevole e di grande impatto perché significativa e capace di mettere il guinzaglio all’attenzione dello spettatore, resta la prima scena, che presenta i due protagonisti, Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano). I due ragazzi sono a bordo di un’auto, ripresa dapprima dall’alto in uno scenario desertico, periferico, desolato, subito dopo all’interno dell’abitacolo.

Mirko e Manolo, “ragazzi di vita” della periferia romana, amici da sempre, chiacchierano spensierati sul loro presente e futuro: mangiano panini con la cicoria, ridono a bocca piena, ironizzano e si prendono in giro su quello che hanno potuto racimolare consegnando pizze a domicilio. Frequentano la scuola alberghiera, aspirano ad “un lavoro carino”, desiderano uscir fuori dal grigiore delle loro esistenze, inconsapevoli, loro malgrado, che caos e dramma di lì a poco si insinueranno nelle loro vite. Dopo aver investito nottetempo uno sconosciuto ed essere fuggiti, scoprono che il morto era un pentito malavitoso e questo incidente diventa un’occasione per i due ragazzi di svoltare, di entrare nel clan e fare i soldi. In realtà quella che poteva rivelarsi una svolta diventa pian piano una lenta discesa agli inferi.

Lo straordinario esordio dei fratelli D’Innocenzo, tornati alla ribalta con un altro film di rilievo, Favolacce, è una storia cupa e fosca, un film sull’amicizia in un posto di preannunciata sconfitta. Mirko e Manolo sono amici da una vita, ridono di niente, sognano un futuro migliore ma vivono in un posto che offre poche opportunità, un luogo difficile, dove si è stanchi persino di dormire, dove prevalgono resti di un parco fantasma, piste di skateboard abbandonate e piene di rifiuti, case sprofondate nel vuoto che negano l’orizzonte e impediscono di sognare. Un mondo spogliato di sogni, di prospettive, che mette in luce tra l’altro l’assenza della figura genitoriale che sembra sempre più aver abdicato al suo ruolo di guida e di punto di riferimento sui figli.

Danilo (Max Tortora), il padre di Manolo, è l’emblema del genitore assente o incapace di prendersi cura del proprio figlio. Passa le giornate tra il videopoker e il nulla, è l’esempio del cattivo maestro, del vuoto educativo, dell’assenza di ogni parvenza di morale. In seguito all’incidente, dapprima suggerirà di far finta di niente, tanto nessuno ha visto nulla, dopo li convincerà che hanno davanti l’occasione della loro vita, ovvero far parte del clan del boss Angelo (Luca Zingaretti) e finalmente svoltare. “Avete ammazzato un infame”, spiega il padre al figlio. “Abbiamo fatto un favore immenso al clan dei Pantano”. “Amo svortato”.

In effetti, la svolta arriva, anche se i loro compiti sono quelli squallidi della bassa manovalanza: un giorno ammazzano un marocchino, un altro distribuiscono preservativi e bottiglie d’acqua alle prostitute. Entrano in un mondo malavitoso, cominciano a fare soldi e – cosa peggiore – iniziano ad assuefarsi al male, si abituano al deteriorarsi di ogni ancoraggio dei valori. I due ragazzi, allo sbando, smettono di reagire, agiscono privi di una reale volontà. Sono in balìa degli eventi, manovrati. Dei due, Manolo sembra essere più spavaldo, più sicuro di sé, mentre Mirko è più tormentato. “Mi sento una merda”, dice Mirko, avvinto dai primi sensi di colpa, a Manolo che gli risponde: “Perché pensi! Fai come me, fai regali”.

La terra dell’abbastanza è straordinario anche per come sa riflettere sul deprimente svuotamento dei rapporti umani legato al potere dei soldi, alla terribile illusione di credere che se solo si avesse il denaro, la felicità ne conseguirebbe. I soldi nel film non servono a nient’altro che a modificare i rapporti umani, rimarcare la propria presunta superiorità, fare sfoggio di cose inutili. In un mondo in cui tutto è ridotto a merce resta poco spazio ai sentimenti. Il potere dei soldi non impedisce a Mirko di allontanarsi dai suoi affetti: si separa dalla sua fidanzata, litiga con la madre, riempirà di regali la sorellina, pensando che questi possano sostituire l’affetto, i valori e i sentimenti.

I fratelli D’Innocenzo sono abili nel riuscire a svelare l’inferno che alberga all’interno dei due personaggi, indagano sui pensieri e i rimorsi che i due ragazzi evidenziano e cercano “di vedere fin dove si può fingere di non sentire nulla”. Questa indagine non viene presa in esame mostrando la violenza: gli omicidi avvengono fuori campo, le prostitute sono inquadrate dal collo in giù, riprese dal finestrino di un’auto. Non ci sono spargimenti di sangue, ma la tensione, i limiti della sopportazione vengono mostrati sui primi piani dei due protagonisti, sul nervosismo del loro primo colpo, sugli sguardi perduti di Mirko, sull’apparente insensibilità e freddezza di Manolo. Non c’è traccia alcuna di fascino o epica nei loro comportamenti, ma solo una crescente consapevolezza, che avrà risvolti tragici, di una lenta discesa verso gli inferi, di una caduta inesorabile in un abisso.

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