La vita straordinaria di David Copperfield, di Armando Iannucci (GB 2019)

di Andrea Lilli

  • In sala dal 16 ottobre –
Charles Dickens nel 1952, due anni dopo la pubblicazione di David Copperfield

Dici: “David Copperfield”, e il mondo si divide in due: quelli che subito pensano al famoso illusionista capace di lievitare e volare sul palcoscenico per poi atterrare e farsi tagliare in due da una sega circolare, e quelli che invece ancora ricordano il commovente personaggio creato da Charles Dickens (1821-1870), di cui quest’anno si celebra il 150° della morte.

Del resto le due categorie sono distinte solo in apparenza, essendo quello del mago americano David Seth Kotkin un nome d’arte ispirato proprio dal romanzo di Dickens. E una vera magia è questo gioiellino di Armando Iannucci (Morto Stalin, se ne fa un altro, 2017), che condensa le mille pagine del libro più autobiografico di Dickens in due ore veloci, trascinanti, elaborate con grande rispetto per la fonte, eppur introducendo almeno due innovazioni audaci e riuscite:

Dev Patel, Armando Iannucci, Hugh Laurie
  • La prima sta nel tono leggero, umoristico con cui viene raccontata la drammatica storia di formazione di David, orfano prima di padre e poi della madre, vittima di un patrigno odioso e violento. Finora leggendo il libro o guardando alcune versioni al cinema o in tv avevamo corrugato la fronte indignati e commossi, giammai riso, assistendo alle dure sfide che il piccolo David supera mentre cresce. Iannucci invece sa come divertire castigando i malvagi e denunciando le ingiustizie.
Il piccolo David aiuta Mr. Micawber (Peter Capaldi) a fuggire dai creditori

Scozzese di origini napoletane, prima di diventare regista e sceneggiatore cinematografico e televisivo di successo, aveva studiato letteratura inglese a Glasgow e ad Oxford. Dunque conosce bene Dickens, e si schernisce: sostiene di avere semplicemente tradotto in immagini un certo humour che attraversa diversi momenti di questo romanzo ‘sociale’, per quanto estraneo alla produzione umoristica dello scrittore de Il Circolo Pickwick. Ecco: va riconosciuto a Iannucci anzitutto il merito di restituirci un David Copperfield divertente, mentre racconta le indegnità del lavoro minorile, lo sfruttamento brutale della manodopera nel forsennato sviluppo industriale dell’epoca vittoriana, l’assenza di garanzie sociali e sanitarie per le classi povere, l’istruzione riservata a quelle ricche, le conseguenze rovinose dell’accumulazione capitalistica, le violenze di una società patriarcale, la mortificazione della donna, sposata o no che sia.

La prozia di David, Betsey Trotwood (Tilda Swinton)
  • La seconda innovazione sta nella multietnicità dei personaggi, principali e secondari: David Copperfield (Dev Patel, The Millionaire) è un protagonista ‘coloured’, così come sono di pelle scura e di varia origine etnica il medico che assiste al parto la madre di David (bianca), il pescatore Ham, la ricca madre di Steerforth (bianco il figlio), Mr. Wickfield (dai tratti asiatici) e la figlia Agnes (nera senza tratti orientali), eccetera: e questo mix cromatico e somatico non stride, né tradisce in alcun modo la scrittura originale. Si direbbe che Iannucci abbia voluto mostrare come, fra tante altre disugaglianze, il colore della pelle o degli occhi non fosse una variabile socialmente discriminante – non più di altri connotati fisici come la magrezza o l’obesità, la calvizie, la forma del naso – già nell’Inghilterra colonialista e globalizzante del 19° secolo. Perché mai, viene da pensare, oggi dovremmo opporci all’inevitabile destino del melting pot globale?
Zia Betsey, David, Mr. Dick, Agnes

Il film vince questa difficile doppia scommessa con nonchalance. Ben presto non si fa più caso alle epidermidi e sorridiamo dell’anticonformismo della governante Peggotty, della follia di Mr. Dick (Hugh Lurie, un Dr. House in forma smagliante nei panni di bizzarro costruttore di aquiloni, sedicente erede dei pensieri decollati dal decapitato re Carlo I), delle buffe nevrosi di Betsey Trotwood, delle battaglie in stile slapstick coi creditori di Mr. Micawber. La storia è raccontata dallo stesso Copperfield, che legge le sue memorie e spinge lo spettatore a condividere empaticamente le alterne fasi della sua conquista di un’identità solida tra i personaggi ordinari o eccentrici che lo circondano, tra i mestieri che è costretto a fare o che sceglie di fare, tra le donne di cui s’innamora, tra i tanti nomi che gli vengono affibbiati durante i traslochi. Le ambientazioni sono accuratissime, ogni dettaglio scenografico è studiato minuziosamente. La velocità narrativa è alta e ci rimbalza dai borghi di provincia a Londra, dalla campagna al mare in un’Inghilterra diseguale, aristocratica e proletaria, opulenta e miserabile.

La fabbrica di bottiglie del patrigno maledetto
La fobia di zia Betsey per gli asini
Ricostruzione meticolosa del porticciolo di pescatori

Nessuno spazio per la noia: la memoria fotografica per ogni particolare, la vocazione di David Copperfield/Charles Dickens all’annotazione scritta di parole e frasi curiose percepite, di ogni metafora immaginata creano un fil rouge tra lui e lo spettatore che aiuta il primo a mantenere lucidità e assetto di galleggiamento nelle tempeste del destino, e il secondo a non perdere nemmeno un fotogramma del racconto. Il quaderno degli appunti è lo strumento narrativo che concatena e riordina eventi altrimenti caotici e disorientanti, il timone che Dickens si costruì e che tramite David offre a noi come metodo per mantenere la rotta giusta tra le vite possibili e quella reale.

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Oltre a Dev Patel, che però dovrebbe iniziare ad esercitarsi in espressioni facciali differenti dalle solite due, determinate dalle semplici posizioni discendente/ascendente della mandibola: sbigottita o sorridente (ci sono cento vie di mezzo, cinquanta sfumature per ciascuna via) e al magnetico Hugh Lurie, convincono in particolare le interpretazioni di Tilda Swinton nei panni della pazza zia Betsey, di Ben Whishaw nel ruolo del viscido rampante Uriah Heep (chissà perché si diede questo nome il noto gruppo rock degli anni ’70), e di Peter Capaldi/Mr. Micawber – il meschino oppresso dai debiti che finisce in prigione umiliando i familiari, così come successe al padre di Charles Dickens. Un bel film da vedere, un magnifico romanzo da rileggere.


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