The Queen, di Stephen Frears (2006)

Di A.C.

Stephen Frears firma questo biopic sulla regina Elisabetta II del Regno Unito, durante quello che è stato uno dei momenti più critici nella storia recente della monarchia inglese.
Siamo nel 1997; la principessa Diana, ormai da tempo slegata dalla Famiglia Reale dopo il divorzio con il principe Carlo, muore in un tragico incidente stradale a Parigi. La regina, in accordo con la famiglia Spencer, opta per un cerimonia funebre in forma privata, ma l’appena eletto Primo Ministro Tony Blair suggerisce con insistenza un funerale di Stato (normalmente concesso solo per i membri della Famiglia Reale di cui Diana non faceva più parte) considerando l’enorme popolarità della principessa e anche le possibili ripercussioni di immagine ai danni della Royal Family, se privasse i cittadini britannici di un ultimo saluto alla “principessa del popolo”.

Da una sceneggiatura di Peter Morgan (il cui interesse accademico verso la monarchia inglese risalta soprattutto nella serie da lui creata The Crown), Frears traccia un profilo preciso e complesso della sovrana britannica, in un’immagine che appare al primo sguardo come austera e fredda, ma che in realtà nasconde un’emotività repressa dalla gravità del suo ruolo.
A vederlo nel suo complesso non proprio un ritratto lusinghiero della Royal Family, restituita in tutta la sua ostinazione conservatrice e nella sua incapacità intuitiva di realizzare il potenziale pericolo nell’oscurare lo spettro ancora recente di Lady D; a loro volta gli si contrappone il pragmatismo moderno del laburista Tony Blair, più incline, per ragioni certamente politiche ma anche pratiche, ad assecondare il desiderio popolare.
L’operazione di Frears va oltre le banali schematizzazioni e le possibili derive anti-monarchiche in cui sarebbe potuta facilmente cadere, ma poggia la sua disamina proprio nella sua attenta ricostruzione della veridicità storica, per quanto chiaramente possa permettere la finzione cinematografica.

Proprio per questo Frears costruisce il film con una narrazione alternata tra fiction e immagini di repertorio, mantenendo comunque un buon equilibrio di insieme e risultando convincente pure nei passaggi inevitabilmente romanzati. Emblematica, in tal senso, la scena dello sfogo emotivo solitario della sovrana, che lontana da occhi indiscreti mostra un momento di totale abbandono al proprio stato emotivo, pur principalmente di spalle alla macchina da presa e non lasciandoci la piena visione, per poi ricomporsi di fronte alla bellezza regale di un cervo.
Se certamente a Frears e a Morgan va dato merito dell’accurata caratterizzazione del personaggio di Elisabetta II, a Helen Mirren ne va riconosciuta la strabiliante incarnazione, in una performance di totale trasformazione nella postura, nella mimica, nello sguardo e nell’intonazione.

Helen Mirren dà volto ad una sovrana dall’atteggiamento fiero e distaccato, ligia oltre ogni limite verso il protocollo reale al quale ha dedicato la sua esistenza; protocollo inflessibile che a Tony Blair (un azzeccato Michael Sheen, che aveva già incarnato il Primo Ministro sotto la direzione di Frears in The Deal) spetta l’ingrato compito di ammorbidire. Ma proprio quella sua politica progressista, così malvista dall’ostinato tradizionalismo della Corona, ne permette la sua sopravvivenza salvandola dall’orlo del baratro di fronte a un popolo britannico, che probabilmente mai come allora nella sua storia recente, stava nutrendo una crescente ostilità nei confronti della propria monarchia.

The Queen potrebbe logicamente essere inviso alla monarchia inglese per come si espone su certi retroscena che la Royal Family ha sempre preferito mantenere in sordina. Ma proprio in questa sorta di “violazione” della sua figura nell’immaginario collettivo, trova una disamina quanto mai onesta, perita e sfaccettata della convivenza fragile ma al tempo stesso duratura di due mondi opposti: quello antico e tradizionalista della Corona e quello della società britannica (e non solo) in costante ed inesorabile mutamento.

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