di Simone Lorenzati

“Ognuno muore solo” è un libro di Hans Fallada e, per inciso, è anche una delle prime opere a parlare della resistenza tedesca al nazismo. E da quel libro Vincent Pérez trasse, nel 2016, il suo film Lettere da Berlino. Cosa sta alla base della pellicola, e la reale forza di questa storia, è racchiuso nella dimostrazione di come anche due persone perfettamente anonime e normali, possano invece diventare uno straordinario strumento di ribellione, di resistenza e di dissenso, pure di fronte ad un regime soffocante e assoluto.

A ben guardare, infatti, Otto (Brendan Gleeson) e Anna (Emma Thompson) sono due eroi. Eppure lo sono in modo decisamente atipico, poiché non imbracciano armi o quant’altro, ma lo diventano grazie alla potente forza delle parole e delle idee. In una Berlino presidiata in ogni angolo di strada da oscuri agenti sempre pronti a cercare e a scovare sobillatori, i coniugi Quangel sfidano coraggiosamente il pericolo con la forza della disperazione, quella che li ha travolti dopo la perdita del figlio Hans in guerra. E così quel dramma, la tragica morte del loro Hans, porta al riaccendersi di un rapporto che la grigia quotidianità stava ormai spegnendo.

Lettere da Berlino è un film intenso, appassionante e coinvolgente, ben diretto e di una struggente drammaticità. Ottimi gli interpreti – i due protagonisti come anche Daniel Bruhl (Rush, Good bye Lenin) – che veste con intensità i panni del capo ispettore della Gestapo, personaggio combattuto e dilaniato tra il senso del dovere e di fedeltà al regime e i suoi personali sensi di colpa. Lettere da Berlino ci riporta nella cupa Germania nazista, che passa dall’entusiasmo per gli iniziali successi sulla Francia del 1940 ad una Berlino quasi completamente distrutta dai bombardamenti tre anni più tardi e in cui la fiducia nel Furher perde via via consistenza. Insomma anche dai drammi della vita può nascere un nuovo corso, o una nuova speranza, per la medesima: questa la lezione di Peréz, in fondo, una lezione che porta a non rimanere inermi di fronte alla barbarie, a provare a far sentire la propria voce.

Ribellarsi e dire la verità sul regime anche semplicemente attraverso centinaia di lettere anonime sparse per la città. Un piccolo gesto di libertà di stampa sui generis, che – come lo stesso Otto afferma – è solamente un po’ di sabbia negli ingranaggi di una macchina, ed è perciò incapace di fermarli, ma un gesto che diviene decisamente eroico nel tentativo di smuovere le coscienze, di creare una crepa nel sistema. Una voce, in fondo, che provi coraggiosamente ad andare contro il terrore.
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