di Roberta Lamonica
“Questi nostri attori, come ti avevo predetto, erano tutti spiriti, e sono sciolti nell’aria, nell’aria sottile […]. Noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita e’ circondata dal sonno. (La tempesta Atto 4, scena 1)

Premessa
È nel volto grottesco di Antioco – il Calibano espropriato della sua isola – e nella stridente relazione tra la mostruosità del suo aspetto e la sublime armonia con la natura incorrotta che lo circonda, tra il suo incomprensibile idioma e la delicatezza del suo cuore, che è racchiusa l’anima di questo film dalla grazia unica, fulgido esempio di un cinema italiano che ha tanto da dire, soprattutto quando è fuori dalle grandi produzioni.
Gianfranco Cabiddu, già collaboratore ‘tecnico’ di Eduardo alla traduzione in napoletano per il teatro de La Tempesta di William Shakespeare, riesce nell’impresa di creare un’opera di rara leggiadria dal meccanismo narrativo perfetto così come l’alchimia tra gli interpreti del film che mettono al servizio della sceneggiatura (premiata con un David di Donatello) tutto il loro talento.

La brezza tra i lecci, la lussuriosa macchia mediterranea, il mare dalla bellezza stordente, la fauna unica di un’isola rimasta pressoché incontaminata per più di un secolo, hanno a tal punto colpito Cabiddu che, dopo aver visitato l’Asinara, ormai parco naturale dopo la chiusura del carcere di massima sicurezza, ha avuto la suggestione di ambientarvi il suo film. Un’isola dall’atmosfera magica, luogo di esilio e rifiuto ma anche di possibilità e redenzione, un laboratorio di sperimentazione delle emozioni e del controllo sulle stesse, l’Asinara, come l’isola di Prospero nell’opera del Bardo. Un’occasione ghiotta per Cabiddu dunque, che adatta liberamente L’arte della Commedia di Eduardo e, insieme a Ugo Chiti e Salvatore De Mola, ne fa base narrativa per il suo La stoffa dei sogni.

Trama
Un naufragio. La possibilità di azzerare la precedente esistenza per ripartire e rinnovarsi. La possibilità di sfuggire alla giusta pena per tre camorristi e la semplice gioia della sopravvivenza per una sgangherata compagnia teatrale, diretta da Oreste Campese (Sergio Rubini). Su quest’Asinara degli anni ‘50 c’è il carcere, con le sue guardie carcerarie, il suo direttore inflessibile e onnipotente De Caro (il compianto Ennio Fantastichini), chiuso nel suo studio tra pile di libri e ricordi di abbandono. Un Prospero moderno, segnato dal naufragio dei sentimenti più che da quello della sua mancata ‘azione politica’. Il controllo che egli esercita sul carcere è lo stesso che esercita su sua figlia Miranda (una giovane e brava Alba Bellugi), simulacro di amore perduto ma anche fiore che vuole sbocciare tra l’aspra natura dell’isola; il dott. De Caro sfida gli altri con la presunta superiorità del suo intelletto, con la sua convinzione di saper discernere senza tentennamento alcuno, il vero dal falso.

E per questa sua ‘faustiana’ aspirazione, farà inscenare La Tempesta di Shakespeare da Campese e dalla sua compagnia, nella quale si sono infiltrati i camorristi naufragati con loro, per smascherarne l’identità. Ma sarà l’amore e non le arti magiche di Prospero a far precipitare gli eventi e a insegnare a De Caro come non si sia padroni di nulla ma sì sia, piuttosto, totalmente in balia del proprio destino. Nella messinscena de La Tempesta si rivela la natura ingannevole e illusoria delle cose ma al tempo stesso quella stessa messinscena si rivela essenziale allo svelamento della verità (come quando la quinta cade e tutte le premesse dello spettacolo vengono smentite). La bacchetta magica nelle mani di Campese diventa espressione di assoluta libertà, porta di accesso al mondo del sogno. Nelle mani di De Caro sembrerebbe essere espressione di repressione e dominio. Il dono della bacchetta da parte di Campese è un invito a lasciarsi avvolgere dal potere conciliatorio del sogno, dal suo incanto ‘buono’ e ad abbandonare l’ossessione per il controllo.

Le fonti e il linguaggio e il cast
La Tempesta funge da materiale di riferimento a più livelli, nel film: è play within the play nella messa in scena della compagnia di guitti ‘scavalca montagne’ fungendo da rispecchiamento per le vicende e per i personaggi (fittizi) raccontati. Nonostante non sia davvero l’ultimo lavoro di Shakespeare, scegliere di tradurre La tempesta fu per Eduardo come comunicare la sua rinuncia al potere del teatro, quasi un saluto dolente a una vita spesa e sospesa nel mondo di quella finzione che è ‘il palcoscenico del mondo’.

Cabiddu coglie questo aspetto quasi testamentario nella traduzione shakespeariana del grande maestro napoletano e fa de La stoffa dei sogni un film che omaggia il teatro a vari livelli. Esalta la sua forza eversiva nell’inaspettata intesa tra criminali e attori, per esempio. Quando Don Vincenzo rompe la finzione perchè non riesce a contenere l’emozione di scoprire vivo il figlio o quando Campese aiuta i due giovani amanti nella fuga, si realizza il miracolo – che solo il teatro riesce a fare – di tirare fuori l’umanità degli uomini anche in un regime di galera dura. E la moglie di Eduardo volle fortemente che la traduzione napoletana de La Tempesta fosse rappresentata in carcere. Lo omaggia nel focus sul linguaggio, medium per eccellenza del teatro, capace di unire o dividere inesorabilmente: quanto più esso è elaborato, tanto più potere concede. La capacità affabulatoria di Campese, il suo uso magico delle parole, la fantasia nello scomporle e riadattarle, surclassa il pedante e libresco uso che ne fa De Caro. E ancora, l’intelligenza di Don Vincenzo (Renato Carpentieri) che capisce come il linguaggio veicoli la ‘verità’ di ognuno a patto che se ne adotti la precipua varietà d’uso.

Ma la lingua antica di Antioco, incomprensibile a tutti, è quella che ne determina lo status di alieno nella terra che sarebbe invece sua di diritto, rispetto agli altri suoi simili. Eppure lo stupore di Antioco di fronte alla grazia, rappresentata da Miranda, e all’ordine naturale, rappresentato dall’isola stessa, è profondamente poetico e quindi lo pone su un livello di percezione (ed espressione comunicativa) superiore a tutti gli altri protagonisti del film.
“Mi hai insegnato la lingua, e il mio profitto è che so maledire”.
(La Tempesta Atto 1, scena 2)
Splendido l’accompagnamento musicale di Franco Piersanti che non invade il film ma si mescola ai rumori e suoni della natura, contribuendo a donare un ulteriore tocco di magia all’atmosfera generale del film. Mozzafiato La canzone di Calibano cantata da Eduardo sui toni dei bassi con una visceralità che è minacciosa e seducente al contempo. Ottimo il lavoro di tutto il cast. In un’intervista alla New York University, Cabiddu ha dichiarato che “il fatto che non ci fossero alberghi o ristoranti all’Asinara, ha fatto in modo che si creasse un’armonia e una grande naturalezza tra tutti gli interpreti”. Costretti a condividere le cose più elementari, a collaborare anche fuori dal set, gli attori del film hanno potuto sperimentare il significato dell’artigianalità del prodotto artistico, tanto cara ad Eduardo.

E così in un film che omaggia il teatro è ravvisabile la matrice teatrale di molti degli interpreti; da Sergio Rubini (figlio di un attore ‘eduardiano’ amatoriale) al grande Renato Carpentieri, alla bravissima Teresa Saponangelo, al già menzionato Ennio Fantastichini che, innamorati della solidità del progetto, lo hanno abbracciato senza alcuna riserva.
Conclusioni
La stoffa dei sogni è un film commovente, leggero e serio, al contempo, in cui si tenta, riuscendoci, di rivendicare l’immaginazione e l’insegnamento del grande teatro come palestra di emozioni, di educazione ai sentimenti, di riflessione sulle cose della vita. Un omaggio al grande Eduardo De Filippo (a cui è dedicato il film), al figlio Luca (la sua piccola parte nel film, l’ultima apparizione prima della sua scomparsa) e al potere di tessere la tela dei sogni, della cui sostanza siamo fatti, del grande Bardo inglese.

Scheda film
Paese di produzione:Italia/Francia Anno:2016. Durata:103 min. Genere:commedia. Regia:Gianfranco Cabiddu Soggetto:Gianfranco Cabiddu, Eduardo De Filippo Sceneggiatura:Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola Produttori:Isabella Cocuzza, Arturo Paglia. Fotografia:Vincenzo Carpineta Montaggio:Alessio Doglione Musiche:Franco Piersanti Scenografia:Livia Borgognoni Costumi:Beatrice Giannini, Elisabetta Antico
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