Di A.C.

Esordio alla regia cinematografica del francese Florian Zeller, autore di lungo corso attivo nella produzione letteraria e teatrale. Ed è proprio da una sua pièce teatrale del 2012, Le Père, che ne ha tratto l’adattamento cinematografico in questione, il secondo dopo quello di Philippe Le Guay, discendente dal medesimo soggetto e intitolato Florida.
Anthony (Hopkins) è un uomo anziano, ormai compromesso dalla demenza senile che ne ha alterato completamente la percezione della realtà e ne ha esacerbato il carattere, rendendolo spesso ostile, intrattabile e spossante contro ogni badante assunta dalla figlia Anne (Colman), dedita alla cura del genitore ma emotivamente provata dalla situazione.
Da qui un angoscioso rapporto padre-figlia, in cui la devozione filiale viene continuamente messa a dura prova da una figura genitoriale sempre più inesorabilmente dispersa, di cui ormai restano solo gli strascichi dolorosi di una vita prossima alla sua fine.

Zeller, a dispetto delle apparenze, non costruisce un convenzionale racconto sulla malattia degenerativa, e schiva tutti gli stilemi spesso retorici e pietistici della produzione hollywoodiana sul tema.
Attinge dalla propria opera teatrale e la converte all’interno degli schemi cinematografici, facendone una commistione bilanciatissima di cinema e teatro in cui i dialoghi corposi e la recitazione vibrante del dramma da camera si sposano con il linguaggio audiovisivo.
The Father, infatti, non è una blanda campagna di sensibilizzazione o un’autocompiaciuta pornografia del dolore, bensì una disperata discesa nell’oblio di una mente irrimediabilmente smarrita e una contemplazione pudica della sofferenza dei suoi protagonisti. Un uomo prigioniero della sua mente, che si aggrappa ad ogni ricordo cercando di dargli un senso, ma di fatto sbattendo contro le pareti di un labirinto interiore senza via di uscita.

La regia di Zeller è rigorosa e asciutta, così come la sceneggiatura scritta dallo stesso regista a quattro mani con Christopher Hampton (sceneggiatore de Le relazioni pericolose di Frears). Una narrazione immersiva che porta lo spettatore ad un’immedesimazione diretta con la realtà distorta del suo protagonista, mischiando abilmente le linee temporali del racconto e i volti dei personaggi, tra falsi ricordi, deja vu, annebbiamenti e scambi di persona. Non accentua il dramma con escamotage di patetismo, ma ne restituisce il pathos con commovente sincerità, tramite una sapiente orchestrazione dei meccanismi narrativi.
The Father, però, è soprattutto è una grandissima prova d’attori. Merito della sua riuscita va anche alle interpretazioni eccezionali dei suoi protagonisti: Anthony Hopkins semplicemente monumentale alla sua rentré in un ruolo primario, dopo un ventennio abbondante speso principalmente in produzioni minori e ruoli di secondo piano, e che qui regala la migliore performance della sua fase senile di carriera. E di supporto una eccellente Olivia Colman, in una interpretazione di composta sofferenza.

L’opera di Zeller è un racconto di dolorosa tensione emotiva, preciso e attento in tutte le sue sfumature e in cui forma e sostanza si uniscono in un unico armonico flusso. Un’amalgama perfetta di due diverse narrative e probabilmente quanto di meglio abbia offerto il cinema teatrale americano dell’ultimo periodo.
Una delle poche note positive dell’ultima cerimonia degli Oscar, in cui l’esordio del regista francese figura come una mosca bianca all’interno di una produzione generalmente convenzionale, appiattita e poco intraprendente, di cui l’Academy (da parecchi anni in realtà) sembra esserne diventata fiero portabandiera.
“Mi sento come se stessi perdendo tutte le mie foglie… i rami, il vento e la pioggia.”
Rispondi