di Nicole Cherubini

E’ come un alieno, il professor Marco Terzi (Michele Placido), al carcere minorile “Malaspina,” a Palermo. Colto, preparato, del Nord…In attesa di una cattedra definitiva, accetta di insegnare a dei ragazzi problematici, non sapendo bene cosa lo aspetta.
I suoi studenti, infatti, nonostante l’età, hanno una fedina penale da far impallidire ergastolani, e la società civile e benpensante (che il prof stesso rappresenta) non solo non li considera, ma li confina a marcire in galera.
Quello di Marco Risi è molto diverso dal classico film sul “disagio giovanile;” di fatto è un vero e proprio “prison movie.” Girato con stile vicino al documentario e con attori non professionisti, il regista mette in scena un contesto duro, verbalmente e fisicamente violento, in cui chi non si fa rispettare è destinato a subire di tutto. I personaggi sono molto ben delineati, così come le dinamiche che intercorrono tra di loro. C’è Pietro (un giovane ed in parte Claudio Amendola), ladruncolo analfabeta che, una volta in carcere, non può neanche leggere la lettera con cui la sua ragazza lo lascia per essere un poco di buono. C’è Antonio, che, fresco di matrimonio, si ritrova già arrestato, e potrà uscire solo per vedere la figlia appena nata. C’è Carmelo, che protegge Claudio, ultimo arrivato, solo per poter poi abusare di lui. E poi c’è Natale, il più audace e con il coltello sempre alla mano, perciò riconosciuto come leader. Essendo i detenuti solo maschi, il clima che c’è nella struttura non è solo violento, è un vero e proprio machismo tossico. E’ evidente che i ragazzi sono divisi tra bruti e sottomessi; persino lo stupro è considerato una pratica normale, subito da chi è troppo “sugaminchia” per difendersi (i dialoghi sono ancora più incisivi per la potenza del dialetto siculo). Anche le guardie non hanno metodi più morbidi, e definiscono i ragazzi semplicemente come “bestie.”

In un contesto simile, ad un certo punto arriva lei, la Mery del titolo: unica donna, donna per scelta ma non per nascita, anche lei con un passato duro alle spalle. Rifiutata dal padre per non essere abbastanza “maschio,”accettata dagli uomini solo come prostituta, alla fine è finita in carcere per difendersi da uno dei suoi clienti. Il professor Terzi, dopo lo shock iniziale, decide di provare ad entrare in sintonia con quei ragazzi, di comprenderli; perché è chiaro che nessuno ha intenzione di farlo. Proprio per questo chiede loro di scrivere un tema su ciò che in quella struttura, votata all’abbrutimento, è completamente assente: l’amore. Il professore colpisce soprattutto Mery, che gli si dichiara. Lui non può contraccambiarla, ma le concede comunque un bacio appassionato, per farle capire che non è la sua “diversità” che sta rifiutando.

Il picco della tensione tra i ragazzi ed il docente viene raggiunto quando finalmente emerge quella parola che non era ancora stata pronunciata, ma che era sempre stata lì, come un macigno: mafia. Alla frase “la mafia è bella, la mafia è giusta,” il professore si infervora, spiegando loro che questo schema malavitoso finge solo di sollevare le persone da un contesto sociale misero, per poi schiacciarle in attività criminali per cui i mandanti non pagheranno mai. E quei ragazzi sono vittime due volte: vittime della criminalità organizzata e poi reclusi in una struttura che di “rieducativo” non ha nulla; serve solo a contenerli e a dividerli dalla parte sana della società.
Il film di Risi, come detto, è volutamente duro, senza sconti, molto lontano dal modello “master and pupil” (stile “L’attimo fuggente,” per esempio), e non cerca né happy endings, né redenzioni. Nell’ultima parte del film la situazione precipita: Antonio denuncia la tentata aggressione di Carmelo, e, nello scontro tra i due, quest’ultimo quasi perde un occhio. Riuscito ad evadere, Pietro tenta una rapina, riuscendo solo a finire all’ospedale in fin di vita. Solo il suo professore è al suo capezzale, per un ultimo saluto…

Una menzione speciale la merita Mery. Nonostante il cinema e la serialità televisiva (soprattutto statunitense) al giorno d’oggi trattino spesso temi come la fluidità di genere o l’omosessualità, nel 1989, il personaggio di Mery (Alessandro di Sanzo) era un vero precursore, soprattutto in Italia. Lei infatti si distacca totalmente da quei personaggi adolescenti in continua lotta tra l’essere se stessi e l’essere accettati dagli altri; Mery è fuori posto perché sa perfettamente chi è non lo nega, né lo nasconde. Il suo è un temperamento forte per scelta e necessità, capace di non piegarsi di fronte ad una società che considera le persone transgender solo come lucciole da marciapiede. Il suo monologo al professore in cui lei spiega che lei è così e lo sarà sempre, nel bene e nel male, colpisce ancora oggi per lucidità di scrittura; dando luce ad un tipo di personaggio che spesso era stato ridotto a macchietta.
In conclusione, a distanza di anni, “Mery per sempre” resta un cult. Più che un film maledetto, un’opera matura e consapevole, capace di far riflettere ed emozionare.
Nel 1990 sarebbe uscito il seguito “Ragazzi fuori,” sempre per la regia di Marco Risi.
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