di Bruno Ciccaglione

Nei panni del personaggio Michele Apicella, alter ego e protagonista dei suoi precedenti lungometraggi, Nanni Moretti realizza con Bianca forse il suo film più poetico e romantico. Portando alle estreme conseguenze ciò che Apicella era stato negli incubi malati di Sogni d’oro (il professore di liceo che si trasforma in un Mr Hyde mostruoso e disperato), anche con l’aiuto di un grande sceneggiatore come Sandro Petraglia, Moretti mette in scena un film che attraversa con leggerezza diversi generi cinematografici (la commedia surreale, il giallo, la storia d’amore con epilogo drammatico), e per la prima volta lascia che al suo personaggio si affianchi una figura femminile di rilievo, la Bianca del titolo, una Laura Morante semplicemente perfetta.

Dopo aver realizzato dei film programmaticamente non convenzionali ed aver espresso in modo esplicito la sua ostilità verso l’establishment ormai ingessato del cinema italiano a cavallo tra anni ’70 e ’80 (a volte in modo sprezzante, sia pur forse con qualche ragione, come nei confronti di Lina Wertmüller, a volte in modo temerario e decisamente sbagliando bersaglio, come nella polemica televisiva con Monicelli), in questo film Moretti realizza un film più tradizionalmente lineare, con una vera trama e soprattutto un film che riesce a emozionare.

La fotografia è fatta di colori tenui e delicati, la ambientazione romana ci mostra la bellezza sfiorita della città, la camera fissa si sposa qui con un gioco sapiente delle entrate e le uscite dei personaggi dal campo dell’inquadratura, le musiche straordinarie di Franco Piersanti riescono a evocare il giallo, pur in una atmosfera romantica: tutto concorre a creare l’atmosfera struggente e malinconica che pervade il film.

Proprio mettendo in scena tutti i tic, le manie, le ossessioni, il generale disagio di un uomo che si sente irriducibilmente estraneo alla deriva pop e postmoderna che sembra dominare la società (emblematica è la Scuola Marylin Monroe dove insegna il professor Apicella, in cui i colleghi tengono lezioni su Gino Paoli e la sala professori è trasformata in sala giochi), Moretti trova un modo spesso divertente e paradossale per puntare il dito su un mondo che non gli piace. Ma nel farlo dà voce a una intera generazione di pubblico, che come lui sembra guardare con disincantata nostalgia al passato (quando le scarpe e la camminata indicavano in modo netto le qualità e la provenienza sociale di una persona) e che del presente e del futuro sembra avere – non a torto, si potrebbe dire – piuttosto paura.

Ma anziché trovare e offrire al pubblico la via della chiusura nel personale, Michele Apicella non trova neppure nell’amore di Bianca un suo equilibrio esistenziale. Non lo trova nei suoi amici, da cui si sente tradito, non lo trova in questa storia d’amore. Bianca e Michele si incontrano proprio sulla comune diffidenza verso il mondo degli altri, dei colleghi della “Marylin Monroe”. Bianca è colpita dalla stravaganza e dagli approcci maniacali con cui Michele si rapporta a lei, ma lo fraintende. Come si scoprirà nel film, Michele non è affatto “buono” come lei si illude che sia. Ma Michele in realtà è terrorizzato dalla perdita di controllo che l’amore comporta, dal dover “mettersi in gioco”.

Tutte le stravaganti manie del personaggio, che qui costruiscono un vero campionario da cui Moretti e i suoi fans attingeranno con eccessiva autoindulgenza per molti anni, trovano in Bianca un senso profondo nel perverso e feroce moralismo di Michele Apicella. Apicella dunque, è questa la forza del cinema, può spingersi dove Moretti forse non potrebbe.

Ben lungi dalla tendenza di molta letteratura e cinema attuale, che si propone spesso di esporre una tesi impegnata sui temi di grido del momento, in cui sappiamo fin dall’inizio che c’è una parte giusta e una sbagliata da prendere in una vicenda, qui possiamo ben identificarci con un omicida seriale, che continuiamo a guardare con indulgenza fino alla fine, proprio come fanno anche i personaggi del film (si pensi alla magistrale scena dell’interrogatorio finale, in cui il commissario è quasi commosso durante il lungo monologo del professor Apicella, o all’atteggiamento deferente degli agenti di polizia nel finale, pur ormai consapevoli di quanto il professore ha fatto).
Raramente il cinema successivo di Moretti toccherà le vette poetiche e le profondità oscure che ci regala questo film. Moretti vorrà poi porsi la sfida di fare dei film diversi e il personaggio di Michele Apicella sarà abbandonato dopo Palombella Rossa. In scena entrerà spesso direttamente, come nelle autofiction letterarie, Nanni Moretti stesso, con risultati alterni. Qui sicuramente, e paradossalmente proprio grazie alla disperazione del suo personaggio più malato, il suo cinema ci offre una verità forse imprevista dallo stesso autore, come avviene solo in un grande film.

*Il film è disponibile online su Dailymotion
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