di Paola Salvati

“Un uomo non deve cercare il comando: viene chiamato e risponde.”
Nell’atmosfera polverosa e soffusa del deserto di Arrakis, detto anche Dune, si snoda la storia del giovane Paul Atreides. Suo padre, il duca Leto, si trasferisce lì dal pianeta Caladan con tutta la famiglia e i suoi consiglieri, dopo aver ricevuto dall’imperatore l’incarico di occuparsi dell’estrazione e raccolta della spezia più preziosa dell’universo, il melange, presente solo su quel pianeta e protetto da enormi vermi pericolosi.
Compito non facile, pieno di insidie e assai rischioso che lascia Leto molto perplesso, considerandolo quasi una trappola. Nonostante sia consapevole del possibile tranello, egli accetta con coraggio il nuovo feudo e il suo destino.

“Il potere del deserto”
Arrakis non è altro che un grande tesoro, con le sue distese di sabbia piene della rara spezia capace di prolungare la durata della vita, di espandere le facoltà mentali e di viaggiare nel cosmo a velocità superiore a quella della luce.
Governarlo vuol dire controllare l’universo interstellare e nel futuro 10191 il potere assoluto sui destini di tutti è quello economico, rappresentato dalla Gilda, persino rispetto alla massima autorità dell’Imperatore. Egli è a capo dell’alleanza intergalattica, strutturata come una società medievale in cui i pianeti sono ognuno proprietà di una singola casata, tranne Arrakis.
L’idea del barone degli Arkonnen è di tornare ad amministrarlo, come aveva fatto fino a poco tempo prima e che per ben 80 anni aveva reso lui e la sua gente i più ricchi del cosmo. Questo darà vita ad una guerra contro i nativi di Dune, i Fremen, oppressi per quasi un secolo dagli Arkonnen, e contro gli Atreides, coinvolti per volontà del geloso imperatore nel complotto volto a sterminarne la dinastia.
Sarà il predestinato Paul, figlio del Duca e della sacerdotessa Jessica, a doverla combattere, lui che in sé convoglia un doppio diritto di nascita: quella nobile del padre e quella della discendenza da chi detiene poteri soprannaturali.
Non appena metterà piede su Arrakis, verrà subito riconosciuto come Lisan Al-Gaib, ‘voce del mondo esterno’, cioè il Messia, “Kwisatz Haderach”.
I sogni premonitori nell’ultimo periodo lo assillavano con più insistenza e lo portavano sempre nel deserto, con persone a lui sconosciute, con flash di scene sanguinose. Sogni che lo attiravano e confondevano allo stesso tempo. Sogni che si faranno sempre più chiari e reali, e lo porteranno su strade inaspettate.

La narrazione scorre lenta volutamente per poter offrire una descrizione minuziosa di ogni particolare, così da aiutare lo spettatore ad addentrarsi nei meandri articolati del racconto ed appassionarsi all’opera di Frank Herbert, (vincitore del Premio Hugo e del Premio Nebula), che dagli anni ’60 rappresenta un baluardo imprescindibile per il genere fantascienza e a cui saghe fortunatissime come Star Wars hanno attinto a piene mani.

Artefice di questo progetto ai limiti del possibile è il regista canadese Denis Villeneuve, che si è cimentato nell’ardua impresa di tradurre in immagini il complesso racconto, in cui l’esalogia della saga di Dune si sviluppa.
Il film è stato tentato prima da Alejandro Jodorowski negli anni ’70 e sfumato al momento del lancio pubblicitario; rifiutato da Ridley Scott, fu affidato a David Lynch, che realizzò nel 1984 una monumentale opera, controversa ed affascinante, destinata a non raccogliere il successo di pubblico che avrebbe meritato a causa della lunga durata della pellicola e la difficoltà di comprensione della storia.
Visti i precedenti, dunque, si è scelto di raccontare soltanto la metà del primo capitolo ed attenderne i riscontri del pubblico, prima di procedere con la seconda parte.
Villeneuve, reduce dai successi di Arrival e Blade Runner 2049, punta la macchina da presa sul luogo in cui la storia è ambientata: il deserto.
Riprese dal vero, dunque, e non elaborazioni virtuali, per esaltare al massimo ogni singolo movimento umano o meccanico.
Ciò che colpisce fin dalle prime immagini è, appunto, l’effetto ‘vivo’ del deserto, con le sue tempeste, le sue sabbie dorate, luminose, morbide e silenziose. Un’aridità solo apparente, densa invece di vita in ogni singolo granello, spezia, vermi giganteschi, popolazioni nascoste.

Un vero e proprio kolossal è la definizione più corretta per questo immane lavoro, curato in modo scrupoloso a livello estetico in ogni edificio, creatura, scenografia, costume, oggetto e mezzo di trasporto. Fondamentali sono gli iconici vermi, ai quali è stato dedicato più di un anno di lavoro per poterli rendere più fedeli possibile ad animali preistorici. Dettagli artistici di notevole pregio accompagnano il particolareggiato racconto e rendono Dune unico nel suo genere.
Il segreto di questo film risiede nel fatto che alla regia, alla colonna sonora, al montaggio hanno lavorato dei veri e propri fan del racconto. Villeneuve ne rimase affascinato a 12 anni e da allora sognava di poterne fare un film. Progetto nel cassetto, che finalmente ha visto la luce, dopo una lunga attesa.
La musica è frutto di una lunga sperimentazione di Hans Zimmer, arrivato ad esplorare nuove sonorità e contaminazioni. Rende al meglio il senso di imminente cambiamento, di incertezza e guerra che aleggia in tutto il film.
Il montaggio è stato complicato a più riprese dal lockdown dovuto al Covid, rendendo la sinergia necessaria con il regista difficile, perché possibile solo a distanza. Ma alla fine il lavoro di Joe Walker con Villeneuve è riuscito a perfezione. Esaltante la fotografia di Greig Fraser, che merita applausi da standing ovation.

Data la trama della pellicola, il cast non poteva essere che stellare:
Timothée Chalamet è il giovane Paul Atreides.
Rebecca Ferguson è Lady Jessica, la sacerdotessa madre di Paul e concubina del duca Leto Atreides, interpretato da Oscar Isaac.
Zendaya Coleman è Chani, una combattente Fremen che appare nei sogni di Paul.
Duncan Idaho, valido guerriero e amico di Paul, è impersonato da Jason Momoa.
Javier Bardem è Stilgar, capo dei guerrieri Fremen.
E ancora Josh Brolin, David Dastmalchian, Dave Bautista, Stellan Skarsgård, Stephen McKinley Henderson, Shaton Duncan-Brewster, Chang Chen.
In ultimo, va sottolineato il cameo della favolosa Charlotte Rampling, interprete perfetta dell’inquietante Reverenda Madre.

“La paura uccide la mente”
Anche se sono presenti elicotteri come libellule, astronavi di varie forma, armi di ogni tipo, non siamo di fronte ad un film d’azione, ma ad un film cerebrale, con tanta filosofia ed esplorazione dell’anima, conflitto interiore tra coraggio e paura. Tecniche di combattimento contrapposte all’uso della voce.
Uniformi, tute per il recupero dei preziosi liquidi, gli occhi azzurri dei Fremen dovuti alla spezia coesistono con i sogni, la luce dorata del deserto, il tempo dilatato e gli abiti leggeri che fluttuano al vento.
Tutto questo prepara a ciò che verrà, ci auguriamo, perché come dice Chani sul finale: “Questo è solo l’inizio!”

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