I Classici Cattivi Disney

di Fabrizio Spurio

Parte 1

Essere cattivi…

I cattivi nel mondo Disney hanno sempre avuto un posto di riguardo nello sviluppo delle trame. Naturalmente è su di loro che poggia gran parte della storia, sono loro il motore della vicenda. Spesso si tratta di cattivi sopra le righe, con una forte propensione all’umorismo e alla caricatura, come ad esempio Crudelia De Mon (“La carica dei 101” del 1961), Madame Medusa (“Le avventure di Bianca e Bernie” del 1977) o ancora Ursula (“La Sirenetta” del 1989), tutte caratterizzate con estrema ironia. E come si può dimenticare la spassosissima maga Magò della “Spada nella roccia” del 1963? Ma ci sono alcuni cattivi che prendono molto più seriamente il loro ruolo, arrivando a commettere azioni veramente orribili, che non escludono neanche l’omicidio, come è il caso del fratricida Scar (“Il Re Leone”), o del giudice Frollo (“Il Gobbo di Notre Dame”). Ma nonostante queste azioni anche loro, per alcuni versi, tendono ad agire con un tocco di sarcasmo, volendosi anche ritagliare, nel corso delle pellicole, un siparietto musicale, come sembra essere tradizione degli ultimi lungometraggi, da “Basil l’investigatopo” (del 1986) in poi.

La Triade

Tra tutti questi personaggi sinistri ce ne sono tre che non esito a definire “la triade oscura”. Tre cattivi che non hanno nulla di umoristico, totalmente votati al male e verso i quali non c’è alcuna speranza di dialogo: Grimilde (“Biancaneve e i Sette Nani”), Malefica (“La Bella Addormentata nel Bosco”) e Cornelius (“Taron e la Pentola Magica”). Tre personaggi che sono padroni di forze oscure, per i quali la magia nera non ha segreti. Questi tre villains hanno delle caratteristiche proprie, ma anche alcuni tratti che li accomunano: oggetti e luoghi simbolo.

Grimilde è la prima, apparsa in “Biancaneve e i Sette Nani” del 1937, animata da Arthur “Art” Babbit. E’ una donna glaciale, regale e vanitosa, intoccabile nella sua bellezza. E’ la regina di un regno di facciata: perfetto, pulito, elegante, ma che nasconde dentro di sé il marciume di sotterranei polverosi, ornati di ragnatele e scheletri, in mezzo ai quali prosperano topi e ragni. Quest’ambiente rispecchia il vero volto di questo personaggio: dietro una facciata affascinante, si nasconde un animo vuoto, egoista ed egocentrico. Proteso solamente verso la continua conquista della bellezza, di un volto che non ha eguali nel regno. Una donna che pur di esternare la sua bellezza prorompente non esita a fasciare il suo corpo, con un vestito che quasi ne castiga le forme, ma in realtà serve proprio a sottolineare le varie curve di un fisico che ancora si rende perfetto. Un indumento che le incornicia il bellissimo volto in un cappuccio che tiene a bada la fluente chioma.

Il vestito è un esempio di eleganza raffinata tra il viola della tunica, il nero del mantello nella parte esterna ed il rosso sangue in quella interna, quasi a voler simboleggiare il fatto che esteriormente la regina è un monolito di austera durezza, ma dentro, all’interno, può bruciare come una fornace se si osa sfidare la sua vanità. E la vuotezza dell’animo di Grimilde si riflette nell’ambiente che la circonda: non ci sono servitori, né dame di compagnia. Il castello è deserto e privo di quel calore che dovrebbe avere un luogo che è il centro della vita di un regno. La solitudine regna nelle sale del maniero, così come dilaga nel cuore della regina. Del resto il centro dell’interesse di Grimilde è il volto perfetto, tutto il resto passa in secondo piano. Grimilde non si può veramente definire strega: non comanda gli elementi, non può lanciare incantesimi a distanza. Ma possiede un laboratorio che fa di lei un’abilissima regina dell’alchimia, e con le sue pozioni saprà mutarsi e uccidere.




Quando Grimilde scopre che il cacciatore l’ha tradita, rifiutandosi di uccidere Biancaneve, come lei gli aveva ordinato di fare, l’ira prende il sopravvento nella sua mente e la regina scende nei sotterranei per mettere in atto il suo piano. La scena della discesa verso il laboratorio è breve ma spettacolare: in un unico carrello verticale verso il basso vediamo Grimilde, avvolta nel suo enorme mantello, scendere di corsa le scale a chiocciola fino a giungere nel laboratorio. Questa di Grimilde non è solo una discesa fisica, ma anche mentale: è qui che scopriamo il vero lato oscuro e malefico di questa donna, nel mutare delle architetture che la circondano, che si fanno più tetre e marcescenti, riflesso del suo vero animo. E nella cantina troveranno anche posto una bara ed uno scheletro impiccato ad una parete, mentre una torma di topi seguirà l’arrivo della regina, strisciando tra numerosi teschi lasciati in giro un po’ ovunque nel sotterraneo. Il mantello, come sarà fatto anche in altre scene di altri cattivi, enfatizza i movimenti della donna, rendendola spettacolare ed in un certo senso potente. Ma proprio quei teschi umani e quegli scheletri, sparsi per le cripte del castello, ci fanno sorgere una domanda: sono per caso i resti dei suoi numerosi amanti? Possibile che Grimilde, nel suo egoismo, abbia voluto assaporare il piacere della conquista sull’altro sesso? E forse è proprio per questo motivo che la causa scatenante, la goccia che fa traboccare il vaso (dell’invidia) nei confronti di Biancaneve, sia stato proprio quel principe, da lei spiato ad inizio film, che ha osato rivolgere le sue attenzioni amorose verso la fanciulla vestita di stracci, lasciando in secondo piano lei, la regale bellezza che non aveva mai avuto rivali prima di quel momento. Il principe quindi potrebbe essere l’inconsapevole causa scatenante dell’odio omicida covato da Grimilde nei confronti della figliastra. Nel laboratorio della regina non troveremo sfere di cristallo o bacchette magiche. L’unico oggetto magico, in possesso di Grimilde, è lo Specchio dal quale invoca il Mago che le rivela la verità di tutto ciò che la circonda, forse lo stesso Mago che le ha insegnato i segreti dell’alchimia con la quale può mantenersi giovane, cercando così di far trionfare la sua vanità. E’ certo però che le conquiste di Grimilde potrebbero essere solamente sensoriali. Non potendo lei provare né amore né altro tipo di sentimento verso gli altri, il suo amore incondizionato lo rivolge solamente al suo riflesso nello specchio. Ma di questa mancanza anche lei è vittima: nessuno la ama o prova affetto per lei. Gli unici personaggi che le reputano una certa attenzione sono due avvoltoi, ma anche in questo caso è un interesse puramente fisico.

I due avvoltoi la incontrano nel momento in cui Grimilde si è trasformata in vecchia, mentre con la sua mela avvelenata si reca nella casa dei nani per uccidere Biancaneve. Gli avvoltoi capiscono subito quello che accadrà tra breve, sanno già che quella vecchia donna sarà il loro futuro banchetto. Percepiscono la morte che già la segue: nel momento in cui la vedono un sorriso si disegna sui loro volti. Hanno capito che quella vecchia ha ancora poche ore di vita e che presto quel corpo potrebbe diventare un lauto pasto. Da quel momento gli avvoltoi seguono la regina\vecchia, finché, una volta precipitata nel burrone, potranno planare a saziare la propria fame. A ben guardare, anche lo spettatore potrebbe intuire il finale della tragedia, osservando le similitudini tra gli uccelli e la regina: entrambi vestiti di nero, il loro becco ricurvo fa il paio con il naso adunco della regina, ed anche i capelli della donna, ormai bianchi ed incanutiti, ricordano il colletto di piume bianche dei due volatili. Ecco dunque che l’unico sentimento esternato per Grimilde è solamente un desiderio di cibo, e nulla più. Ma a lei non interessano i sentimenti, lei vuole solo appagare la sua smodata vanità…

Quella stessa vanità, mista ad una forte dose di gelosia, che determina le azioni di Malefica, animata da Marc Davis (autore anche della splendida Crudelia De Mon, altra cattiva elegante e folle…) nel 1959. Malefica è una strega nel vero senso della parola: comanda fulmini e tempeste, crea foreste di rovi, lancia maledizioni mortali e rende sonnambule le sue vittime per poterle manipolare a suo piacimento.

La sua determinazione è spietata, ma in un certo senso la acceca anche, dimostrando una sua certa superficialità: quando chiederà ai suoi folletti se hanno trovato la principessa, scopre con disappunto che loro, per sedici anni, hanno sempre cercato una bimba nella culla; ma lei dove era in tutti questi anni? Cosa faceva? Perché non ha controllato prima l’operato dei suoi goblin? Forse l’odio e la rabbia le impedivano di agire lucidamente? Più tardi, avverato il suo maleficio sulla principessa ormai dormiente, e reso prigioniero il principe, l’unico in grado di risvegliare la bella addormentata, confiderà al suo corvo prediletto che “…per la prima volta, dopo sedici anni, dormirò bene”… Quindi possiamo pensare che in tutto questo tempo, il suo unico pensiero sia stato quello di vedere avverato il suo maleficio, di poter finalmente rovinare la vita del Re e della Regina, gettandoli in un dolore quale solo la perdita di un figlio può generare. E intanto i folletti, privi di controllo, continuavano inconsapevoli a fallire nella loro missione.

A questo punto entra in scena Diablo, il corvo prediletto di Malefica. Sarà lui a scoprire il luogo dove la principessa Aurora, ormai sedicenne, viene tenuta nascosta. Ancora una volta, al fianco del cattivo appare un accompagnatore, un famiglio che è votato in totale al suo padrone. Qui, come in Grimilde, troviamo un corvo, anche se con le dovute differenze: Diablo è un personaggio con una sua personalità, è il galoppino di Malefica. In alcuni momenti è terrorizzato da lei, ma sa che a lui non farebbe mai del male; in altri invece si rende quasi fiero di essere il suo accompagnatore, guadagnandosi anche il diritto di starle su una spalla. Il corvo di Grimilde, invece, non ha personalità ed ha solo una funzione di alleggerimento. Il suo fine è stemperare un po’ la pesante atmosfera che la regina si porta dietro. Malefica sembra quindi trionfare: riesce a far cadere Aurora nel suo sonno stregato. Cattura il principe Filippo, al quale confessa che darà la libertà, un giorno dopo cento anni, passati i quali lui, ormai vecchio e debole, potrà risvegliare la sua bella, ma comunque anche lei anziana, per vivere quel poco di tempo che la vecchiaia potrebbe loro concedere. Un piano crudele, che priva i due innamorati della loro gioventù, dei loro anni migliori, ed impedisce di fatto il poter assaporare il gusto dell’innamoramento che può sbocciare in due cuori, e l’eventuale nascita di figli, per la creazione di quella famiglia che Malefica non potrà mai avere. Ecco suggerito dunque, il ritorno del solito motivo scatenante: l’invidia. L’invidia per una vita normale, con amici, amori e sentimenti; una serie di cose che per la sua natura le sono state negate. E da qui l’odio incondizionato che cresce nel tempo, fino a non farla dormire se non prima che il suo piano sia completamente messo in atto. Ma quel piano, tanto pazientemente inseguito ed architettato, sarà destinato ad infrangersi. Filippo sarà soccorso da tre fate, e con il loro aiuto riuscirà a fuggire dal castello maledetto. A quel punto Malefica non si fermerà davanti a nulla, pur di trionfare: dall’alto della sua torre scatenerà fulmini contro il principe in fuga, creerà una foresta di rovi intorno al castello dove riposa Aurora, e quando vedrà che anche questo non basta allora si tramuterà in un drago, pur di incenerire Filippo. Naturalmente sarà tutto inutile, ed il coraggio del principe avrà la meglio sul drago sputa fuoco. Il finale del film è orchestrano in maniera ineccepibile, e da solo potrebbe considerarsi un corto a parte. Dal momento in cui Filippo viene liberato dalle tre fatine inizia una serie di colpi di scena, di inseguimenti e azioni che portano sempre un gradino più in alto verso la spettacolarità ed il climax finale. Nell’ordine vediamo Filippo inseguito dai folletti che gli rovesciano contro massi, frecce e pece bollente, ma sarà prontamente soccorso dalle tre fatine; passato questo livello si sale di un gradino, e vediamo Malefica, dalla torre più alta del suo castello (e già qui si può intuire una ricerca di spettacolarità ed anche un po’ di megalomania, con la strega che governa il tutto dalla “sommità” del suo potere), scagliare fulmini distruttori contro Filippo in fuga, al galoppo con il suo cavallo. Una volta scampato il pericolo dei fulmini ecco un altro passo verso la spettacolarità: Malefica crea un turbine di nuvole dalle quali scaturiscono fulmini che daranno vita ad una foresta di rovi. Filippo supererà anche questo ostacolo, ed ecco allora il gran finale: Malefica si trasforma in un drago, tra esplosioni e fiamme, e incendierà con il suo alito rovente, la foresta di rovi. Siamo al culmine dell’azione, e lo spettatore è incollato allo schermo da quest’orchestrazione potente, che non cede un attimo all’esitazione (diversamente da altri finali, come ad esempio ne “La Sirenetta”, durante lo scontro finale si vede chiaramente Ursula esitare lungamente, prima di dare il colpo di grazia ad Ariel, brandendo in alto il tridente prima di colpire, dando così il tempo ad Eric di effettuare una manovra che sarà per lei fatale). Lo scontro finale tra Filippo e Malefica\drago sarà sulla sommità di una rupe, il punto più alto di tutto il paesaggio. E sarà da quella rupe che il drago precipiterà colpito a morte dalla spada di Verità, chiudendo così l’orchestrazione di quest’opera spettacolare.

Anche in questo film viene utilizzata la grafica del mantello, per enfatizzare i movimenti della strega e i suoi stati d’animo: il vestito di Malefica si presta particolarmente ad esagerare i suoi movimenti, con le ampie maniche a pipistrello, il suo strascico simile a tentacoli. Ogni sua mossa si porta dietro il frusciare delle vesti, che sembrano quasi vivere di vita propria. Cosa particolare di questo personaggio è che, in molti punti, richiama alla mente un altro cattivo Diseny, di molti anni più tardi: Ursula de “La Sirenetta”. Le due streghe hanno, nel concetto, molto in comune. Entrambe vestono di nero, con particolari tentacoli dalle striature viola. Ed in Ursula il costume, essendo anche parte integrante del suo corpo, fondendosi con i tentacoli, viene utilizzato per rendere ancor più coreografico il suo modo di muoversi. Anche alcune azioni negli scontri finali sono simili. Malefica per fermare Filippo, crea un vortice di nubi nel cielo, dal quale scaturiranno i fulmini che daranno vita alla foresta di rovi, mentre Ursula con il tridente magico provocherà un vortice d’acqua per poter affondare la nave sulla quale il principe Eric sale per poter salvare la sirenetta Ariel. E nel finale, entrambe le due streghe “esploderanno”: la prima tra le fiamme per diventare un drago, la seconda tra nubi d’inchiostro, per ingigantirsi e così sfidare il principe nel duello decisivo. L’idea del cattivo che nel duello finale si trasforma in qualche cosa di gigantesco tornerà qualche anno dopo in “Aladdin” (1992): durante lo scontro decisivo tra il protagonista e Jafar, quest’ultimo si trasformerà prima in un cobra gigante e poi in un genio onnipotente. Questa volta però le trasformazioni si ritorceranno contro lo stesso Jafar, portandolo alla sconfitta finale… In definitiva possiamo dire che con Malefica ci troviamo davanti una donna sofisticata, elegantemente gotica e con un senso dell’umorismo che non fa ridere lo spettatore, ma anzi lo spinge ad odiarla sempre più. Ma si sa, alla fine ciò che dovremmo sfuggire ci tenta e quindi rimaniamo affascinati da questa donna totalmente dark. Ed in realtà è proprio Malefica il personaggio che ci sembra più compiuto. In quanto a Filippo ed Aurora, certo, sono i protagonisti, graficamente ineccepibili, ai quali è stata riservata una cura di animazione e una stilizzazione originale, ma la loro è un’immagine stereotipata sul piano morale del personaggio: addirittura a quasi tre quarti del film né Aurora né Filippo parleranno più, fino alla fine del lungometraggio.

La Bella Addormentata nel Bosco” è un film del 1959 e fu per l’epoca quanto di più spettacolare lo studio Disney avesse prodotto fino a quel momento. Si dovrà attendere fino al 1985 per ritrovare una pellicola che avesse in sé l’aspirazione di un kolossal, ma purtroppo, anche se le premesse potevano essere buone, ne uscì un film, sì spettacolare, ma che non sembrò incontrare il favore del pubblico. “Taron e la Pentola Magica” è un lungometraggio che si rifà alle tematiche di Tolkien, ma racconta una storia che è tratta dal libro scritto da Lloyd Alexander: “Le cronache di Prydain”. Ed in questo film fa la sua comparsa il diabolico re Cornelius supervisionato da Phil Nibbelink.

Cornelius è un cattivo particolare, forse il più vuoto di tutti. Siamo veramente di fronte ad un essere che non ha alcun tipo di sentimento, neanche quella vanità che poteva essere l’origine delle azioni di Grimilde, o l’invidia di Malefica. Quelli almeno erano sentimenti con radici umane. Con Cornelius troviamo un personaggio che vuole solo sottomettere e governare. In una frase dice chiaramente “…da quanto bramo di essere un dio, tra gli uomini mortali!” Ecco dunque che Cornelius è una personificazione del male, si potrebbe dire puro, e solo quando cede all’unico sentimento umano che può concepire, l’ira, allora perde la sua potenza e diventa un mostro da eliminare. Perché Cornelius è un mostro. Il suo volto è quello di un teschio, oggetto che impedisce l’espressività. Ma è anche un mostro che durante il film non fa assolutamente nulla, non agisce, non mette in moto azioni che possono deviare il corso degli eventi. Anzi, si può dire che addirittura li subisca e decida di conseguenza cosa fare. Cornelius vive del riflesso della sua fama: il suo nome genera paura e turbamento. Lui fa in modo di fomentare questa fama terribile; il semplice atto di entrare nella sala del trono, mentre le sue guarnigioni banchettano spensierate, può diventare occasione per ostentare il suo grande potere. In realtà l’espediente di far apparire il cattivo in maniera spettacolare era stato utilizzato anche per Grimilde e per Malefica. Grimilde ci viene presentata all’inizio del film di spalle, mentre si reca davanti allo specchio magico per pronunciare il suo classico quesito. Ma noi la vediamo veramente bene solo attraverso il suo riflesso nello specchio, circondata dai fulmini e dal fumo che in realtà preannunciano l’arrivo del Mago dello specchio. Malefica invece piomba nel mezzo della sala del trono di re Stefano, mentre è in corso il ricevimento reale per il battesimo della piccola Aurora. Preceduta da un arcano soffio di vento, le porte del palazzo si spalancano improvvise, e tra lo schianto di fulmine e le fiamme ecco apparire la nera strega. Così Cornelius, seguendo l’esempio delle sue precedenti colleghe, apparirà nella sala del trono tra turbini di fulmini blu, fiammate e spire di fumo. Naturalmente nessuno nella sala, da quel momento, aprirà più la bocca… A parte Rospus, il servile scagnozzo del re, un incrocio tra un rospo ed un goblin, diretto discendente dei folletti di Malefica. Rospus è un essere codardo, infido, sempre pronto ad obbedire agli ordini del suo re. E’ disprezzato dai membri della guarnigione reale, ma comunque si sente sicuro e forte del fatto di essere accanto a Cornelius. Non che il re lo tratti bene, anzi, in alcune scene lo punisce anche violentemente per i suoi fallimenti. Ma del resto dove altro potrebbe andare? Chi potrebbe mai accettare la compagnia di un essere deforme e meschino? Quando nel finale Cornelius troverà la morte, c’è una scena in cui Rospus fugge dal castello in fiamme, ed intanto sorride isterico, come se con la morte di Cornelius si fosse tolto un peso insopportabile, e forse è proprio così.

Comunque Rospus fa la sua parte nel film, dando ordini alle guardie di fermare la fuga di Taron e dei suoi compagni di sventura; organizzando le truppe per la loro ricattura, che avviene grazie all’intervento dei due draghi alati, sempre liberati da Rospus, anche se dietro ordine del re. Tutto ciò conferma la teoria, già detta, che Cornelius non agisce, ma si comporta di conseguenza. In realtà la sua unica azione, degna di significato, la compirà verso il finale, quando finalmente in possesso della pentola, scatenerà tutto il suo potere malefico. Darà vita al suo esercito di morti viventi, scena questa che porterà il film ad essere il cartone animato per eccellenza della Disney ad essere “adatto a bambini accompagnati”! In effetti questo è il lungometraggio animato più cupo e sinistro della casa del topo, e da questa verrà ostracizzato per lungo tempo, relegandolo in un limbo, che ne ha impedito anche eventuali riedizioni cinematografiche. Solo negli anni novanta sarà editato in vhs dopo un lungo periodo di oblìo. La scena del risveglio degli scheletri è particolarmente spettacolare, con la colonna di fiamme che si riversa fuori dalla pentola, mentre Cornelius si glorifica del suo potere, le braccia levate al cielo, in un chiaro segno di vittoria su tutti. Intorno a lui, tra la nebbia verde che scivola dalla pentola, si ergono gli scheletri armati, pronti a distruggere tutto ciò che trovano sul loro cammino. E’ questa una scena inquietante, costruita rispettando i tempi dello spavento, facendo sbucare gli scheletri in modo improvviso, con l’intento di far saltare dalla sedia il piccolo spettatore. Per il resto, a parte un paio di sequenze dove Cornelius è costretto a camminare (e potremmo dire anche a recitare, in quanto parla veramente poco durante il film), vedremmo l’oscuro monarca sempre seduto sul suo trono. Come abbiamo già visto, spesso l’ambiente rispecchia l’animo o le caratteristiche del personaggio, ed i troni non esulano da questa regola. Il trono di Cornelius è molto semplice, in pietra, con lo schienale spezzato dal tempo e dall’incuria (del suo sovrano…) e quindi anche nel trono troviamo quell’aspetto desolante, minimo, che non lascia traccia nella memoria, come non ne lascia il suo padrone. Gli unici simboli che ci troviamo incisi sono due teschi scolpiti sul davanti dei braccioli di pietra, quasi a volere sottolineare a chi appartiene il posto di comando. Per il resto null’altro caratterizza il trono; dietro di lui vediamo solamente un muro di mattoni, senza neanche un’insegna, un vessillo o qualcosa che possa riportare al potere del re. Addirittura accanto al trono sono poggiati degli arnesi da duello, lance e scudi polverosi, coperti da ragnatele, dimenticati e lasciati all’incuria; non c’è alcun interesse a dedicare un certo rispetto per il luogo, per quello che rappresenta. Diverso era invece il trono di Grimilde, scolpito sicuramente dietro sue chiare direttive: il trono rappresenta una coda di pavone, e naturalmente non c’è simbolo più adatto a rappresentare la vanità. Quando Grimilde vi è seduta una corona di piume dorate ne circonda la figura, come fosse una magnifica cornice, l’unica veramente adatta a lei. Invece il trono di Malefica si potrebbe definire quasi profetico. A vederlo durante il film non ci si fa molto caso, e sembra il solito trono di una cattiva classica, ornato, come da tradizione, da ali di pipistrello. Ad un esame più attento, con il senno di poi e conoscendo il finale della pellicola, ecco che cominciamo a pensare che forse non si tratta di un pipistrello, ma magari di un drago con tanto di corna, quasi presagendo la mutazione finale della strega, quando nel duello con il principe Filippo si trasformerà proprio in questo mostro mitologico.

Comunque tornando a Cornelius, anche lui vedrà la sua fine, e proprio a causa dell’oggetto tanto bramato: sarà la pentola magica a distruggerlo, incenerendolo in pochi istanti. Il re infatti non aveva calcolato che il cuore degli esseri umani (e non…) può provare compassione, perché è un sentimento per lui del tutto estraneo e quindi inconcepibile. Sarà il coraggio e lo spirito di sacrificio di un folletto, Gurghi, a sconfiggerlo. Il piccolo animale peloso si immolerà gettandosi spontaneamente all’interno della pentola ribollente, invertendone la magia, facendo in modo che l’esercito di scheletri si dissolva e salvando così i suoi amici da morte certa. E qui c’è una sorta di parallelo: come Cornelius non agisce durante il film, così non sarà Taron a dare il colpo di grazia al malvagio monarca, come invece vorrebbero i canoni classici della fiaba. La vittoria di Taron è assicurata dal sacrificio di Gurghi. E così la pentola ritorce il proprio potere su Cornelius, attirandolo a sé e costringendolo a toccarla, quindi a perdersi, a disintegrarsi e fondersi in essa; in pratica la pentola assorbirà al suo interno il potere di Cornelius, ed il suo corpo, ridotto ormai in polvere. E dopo Cornelius sarà la volta del suo castello ad essere distrutto, divorato dalle fiamme e dal potere del calderone nero (titolo originale del film: “The Black Cauldron”). Questa è la storia dei tre cattivi più oscuri della Disney, quelli che in un modo o nell’altro hanno turbato i sogni di alcuni bambini, e ne hanno inquietati altri nel buio della sala cinematografica.

Ma non finisce qui, perché ci sono ancora un paio di cose da dire…

Il quarto elemento…

Il peggio non è mai morto, e si potrebbe dire, in questo caso, che è proprio il peggio l’origine dei tre personaggi di cui abbiamo parlato fino ad ora. Se è vero che Grimilde, Malefica e Cornelius sono tre incarnazioni del male ognuno a modo suo, è anche vero che il Male, con la “M” maiuscola, ha una sua propria forma; si potrebbe anche dire che è la vera fonte, l’origine dalla quale scaturiscono questi tre oscuri personaggi. E quindi ecco ora presentarsi a noi il vero Male: Chernabog, il diavolo, dal film “Fantasia”, dell’episodio “Una Notte sul Monte Calvo”, magistralmente e spettacolarmente animato da Vladimir Peter “Bill” Tytla nel 1940.

Il tutto ha inizio sul Monte Calvo, vetta che geograficamente si trova presso la città di Kiev, e tradizionalmente sede di vicende di stregoneria, dalla quale ha preso spunto il compositore Modest Musorgskij per comporre la sua “Notte sul Monte Calvo”. All’inizio vediamo la montagna maledetta dominare il villaggio sottostante con la sua mole, e solo più tardi ci rendiamo conto che la sommità della montagna è in realtà il demonio addormentato, avvolto dalle sue immense ali. Dalla sommità della rupe lo vedremo protendersi verso il villaggio, la sua sola ombra sarà sufficiente a richiamare a sé gli spiriti dei defunti, facendoli materializzare dalle tombe del vicino cimitero. In questo momento Chernabog ci appare come un direttore d’orchestra impegnato a dirigere la sua sinfonia macabra, fatta di rituali diabolici e sacrifici alle fiamme. Le anime dei morti andranno verso di lui, incontrandosi con altri fantasmi, goul e abitatori di tombe avvolti nei loro sudari, cavalieri spettrali ed esseri assurdi, pronti a far gioire il loro signore e padrone. Come un turbine di vento le anime circonderanno il diavolo, il quale potrà finalmente dare sfogo a tutto il suo potere. Il sabba ha inizio, le anime sono accorse, accompagnate da demoni e streghe sotto forma di arpie e furie. Chernabog porta avanti il sabba divertendosi a suo piacimento. Davanti i suoi sudditi si fa potente, governa gli elementi, il fuoco soprattutto. Mentre nel villaggio sottostante nessuno è in strada, nessuno osa affacciarsi alle finestre, perché sanno che durante la notte di Walpurga (in questa notte è ambientata la sinfonia ed il cortometraggio, la notte tra il 30 aprile e il 1 maggio), il male si scatena sulla terra. Lui esce dal suo sonno per portare il suo potere, ricevere sacrifici e celebrare riti blasfemi. Ecco quindi che Chernabog gioca con i suoi sudditi, li prende tra le mani, li costringe a ballare per lui. Tra le fiamme ne muta la forma a suo piacere, giocattoli inutili in balia di questo oscuro signore. Non gli interessa se questi esseri stiano soffrendo per causa sua, del resto è lui l’origine di tutte le sofferenze e di tutte le tentazioni; questi spiriti, questi demonietti o folletti sono perfettamente consapevoli di chi sia il loro padrone. Non si permettono certo di contrariarlo, anche a costo della vita: morire gettati tra le fiamme sarà per loro sicuramente meglio che subire la sua ira. La sommità del Monte Calvo si illumina quindi in questa notte di tregenda, le fiamme assumono colori innaturali, come è innaturale ciò che sta succedendo. I colori del cortometraggio non sono cupi, anzi, sono vivaci, ad evidenziare la follia che dilaga senza controllo, senza freni. Un’orgia di danze di essere assurdi, che si muovono scomposti e sgraziati: tra gli altri vediamo ballare, in modo goffo, anche capre, maiali e cani.

Con voli vorticosi, le arpie agguantano alcuni di questi demoni per gettarli nel baratro di fuoco, mentre Chernabog osserva sorridente il caos che lo circonda, quel caos da lui voluto, incontrollabile, tranne che per lui. Veramente non c’è modo di comunicare con quest’essere diabolico, nessuna pietà può derivare da lui: non è minimamente interessato a provare un simile sentimento, che sicuramente giudicherà come una debolezza. In lui non c’è nulla di debole, o di leggero. La potente muscolatura del suo corpo, l’enormità delle sue ali, le dure espressioni del suo volto, sono esaltate da un gioco di chiari scuri che lo mantengono sempre su un livello di oscurità, ma che comunque ce ne mostra benissimo i lineamenti, non lasciando nulla alla fantasia. Siamo lontani dalla precedente raffigurazione disneyana del diavolo, che risale al 1934, nel cortometraggio “The Goddess of Spring”, dove Plutone appariva sulla terra per rapire Persefone. Anche in quel caso il diavolo appare tra le fiamme, circondato da piccoli demonietti che gli fanno da scagnozzi. Ma più che altro si trattava, in realtà, dell’approfondimento dello studio per l’animazione della figura umana, banco di prova per la di lì a breve realizzazione di Biancaneve. Comunque anche in questo corto si respira una certa spettacolarità, e forse gli animatori ne hanno tenuto conto, per creare le cupe atmosfere del Monte Calvo. Ma si respira forte un’aria di classicismo, ne dovremmo fare di strada per arrivare alla visionarietà ed alla forza espressiva ed emotiva che permea il cortometraggio con Chernabog. Si nota anche una dose di spudoratezza, inusitata fino a quel momento, in quanto in alcune veloci inquadrature, si vedono le arpie in volo a seno nudo, prima volta assoluta in un cartoon Disney. Certo, la scena è velocissima, ma si vede chiaramente il particolare dei seni, anche perché sono portati in primo piano. Intanto il sabba prosegue, tra fiamme e nubi di fumo, mentre i demoni e i folletti danzano intorno alle anime dei defunti, gettate tra le fiamme o afferrate da artigli in volo. Una considerazione potrebbe nascere spontanea: non sarà proprio da questi sabba che provengono i folletti e i goblin al servizio di Malefica? E non sarà questo il luogo d’origine anche di Rospus? Forse dopo la distruzione di Cornelius, quando lo vediamo volare via verso mete imprecisate, sarà proprio diretto verso il diabolico monte dal quale potrebbe avere avuto origine… Al suo apice il sabba diventa quasi psichedelico: il fuoco muta di colore, dal giallo e arancio naturale, varia al verde, all’azzurro, e si confonde con le volute di fumo blu o verde,. I corpi degli spiriti cambiano di conseguenza, dal marrone al blu. La contaminazione del male non risparmia nessuno, e tutti sono presi dall’ ebbrezza del ballo diabolico. E Chernabog godrà di questa euforia, di questo pandemonium; se ne crogiolerà facendosi anche circondare dalle fiamme, quasi a farsi cullare da loro… Ma come sempre tutto ha una fine, e anche l’orgia diabolica giunge al termine, mentre nell’aria suonano le campane della chiesa che annunciano l’approssimarsi dell’alba, del Sole salvifico. Ed ogni rintocco di campana lancia un bagliore che quasi acceca Chernabog. L’alba porta con sé la speranza di una pura rinascita nel Bene qui simboleggiato dalla luce. Chernabog lo sa, per questo ad ogni rintocco sembra quasi frustrato, si rannicchia come a volersi proteggere. Alza le braccia al cielo, a inveire contro quel potere salvifico che lo costringe alla fine a rinchiudersi, come un bozzolo, nelle sue ali e tornare nel suo letargo, fino al prossimo anno. Alla prossima sconvolgente Notte sul Monte Calvo.

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