Il favoloso mondo di Amelie, di Jean Pierre Jeunet (Francia/2001)

di Nicole Cherubini

Correva l’anno 2001 quando, nelle sale francesi, uscì un film destinato a diventare un cult (nel bene e nel male). Sebbene il film risalga ai primi anni del 2000, la storia che racconta si sviluppa sul finire degli anni ’90, nello specifico dal 31 agosto 1997. E’ infatti in quella data che una certa Amelie, apprendendo della morte di Lady D lascia cadere il tappo di un flacone di profumo. Cercando di recuperare il tappo, incastratosi sotto una mattonella, Amelie trova una vecchia scatoletta di latta. Decidendo di ritrovarne il proprietario e di riconsegnargli quel tesoro d’infanzia, la protagonista mette in moto la storia, nonché il suo destino.

Il resto, come si suol dire, è storia. Oltre 40 milioni di euro incassati solo in Francia, importanti riconoscimenti ottenuti (3 EuropeanFilm Awards, 4 Cesar, 2 British Accademy Film Awards) e altri solo sfiorati (nessun Oscar, nonostante le 5 nomination). Il film diventò un cult, la protagonista Audrey Tatou divenne un’attrice affermata in Francia ed in seguito ad Hollywood, la colonna sonora, composta da Yann Tiersen, ebbe un grandissimo successo. Pare che il bar in cui si svolge buona parte della storia, “Les Deux Moulins,” sia stato salvato dal fallimento grazie al successo della pellicola: ancora oggi è una grande attrazione turistica. Negli anni successivi all’uscita del film c’è stato un notevole aumento di Amelie, tra le nasciture francesi e non. Inoltre ancora oggi molte pubblicità mostrano ragazze dall’aria sognante intente a godersi i “piccoli piaceri della vita.”

Ma, c’è sempre un ma. Come tutti fenomeni di costume, l’immenso affetto con cui questo cult inaspettato è stato accolto, è paragonabile solo all’odio dei suoi detrattori. Di fatto, del Favoloso mondo di Amelie è stato detto, o meglio, criticato, di tutto: il petulante narratore onnisciente, la fotografia da cartolina, la solita Parigi sempre uguale a se stessa, i personaggi di contorno appena abbozzati…La colonna sonora a “carillon” più ridondante che mai!

E poi c’è lei, Amelie: una protagonista femminile disadattata, introversa, che si “accende” solo se in grado di accontentare gli altri. Ovviamente poi ci vorrà un principe azzurro perché lei si decida ad uscire dal suo guscio. Insomma, è stata considerata da molti (e molte) come l’apoteosi dell’antifemminismo.

Posto che queste critiche sono in parte condivisibili, è anche vero che i difetti ed i limiti del film costituiscono anche la sua “ossatura” e la sua unicità. Perché sì, può essere detestabile, ma è un’opera comunque uguale solo a se stessa. Di fatto, anche se il film appare come una summa di clichè sul cinema francese, sotto quella patina la forza del racconto restano i personaggi. Anche se la protagonista è Amelie, è inserita in un cast di personaggi sì, solo abbozzati, ma con delle caratteristiche marcate e subito riconoscibili: il timido Lucien vessato dal capo, l’arrogante ortolano Collignon, il paranoico Joseph, l’ansiosa Georgette, lo scrittore fallito Hipolito, l’ex artista del circo Suzanne, che dopo un infortunio aprì il bar…

Tutta questa girandola di personaggi, con tic e manie varie ed eventuali, potrebbero essere il nostro vicinato, nostri conoscenti…Potremmo essere noi. E al vertice di questa ideale piramide di variegata umanità c’è lei, Amelie: cresciuta con due genitori anaffettivi, poi orfana di madre, poi convinta dal padre di avere dei problemi al cuore, Amelie vive una vita serena ma appartata, senza scosse. Come un’epifania, la possibilità di poter rendere felici gli altri la spinge ad aprirsi e donarsi (pur mantenendo uno spirito critico, come scoprirà a sue spese il signor Collignon).

L’incontro con Nino Quincampoix, il ragazzo del Luna Park, sarà il culmine di questa rinascita. Ma se la felicità può riempire un cuore, non potrebbe anche spezzarlo? Come la ragazza ne La colazione di canottieri di Renoir, che l’Uomo di Vetro (Serge Merlin) cerca di dipingere, Amelie è sì presente ma distante, mai parte del gruppo. Il regista accosta in particolare questi due personaggi, un uomo che vive isolato dal mondo a causa di una malattia che rende le sue ossa fragilissime; e una ragazza con la vita davanti a sé ma ancora impaurita e titubante.

Tuttavia, il circolo virtuoso che Amelie mette in moto per far felici gli altri, in un modo o in altro finirà col portare Nino dritto al bar dove lei lavora…

Parlando nello specifico del film, per quanto oggi ogni elemento di questa pellicola possa sembrare lezioso e scontato, “Il favoloso mondo di Amelie” avrebbe potuto essere piuttosto diverso da come lo conosciamo.

Innanzitutto la protagonista: pare che il regista, con il suo co-sceneggiatore, avessero scritto il film pensando ad un personaggio inglese. La parte fu offerta ad Emily Watson, che però rifiutò perché non a suo agio nel recitare in francese. Solo allora la sceneggiatura fu riscritta per un’attrice francese, ed Emily divenne Amelie. Narra la leggenda che   scelta di Audrey Tatou fu puramente casuale: il regista vide per strada la locandina del film “Sciampiste & co”, in cui lei, ancora sconosciuta ai più, recitava. Jeunet la contattò per un provino, capendo in pochi minuti di aver trovato la sua protagonista. 

Il personaggio di Nino, l’eroe romantico, fu affidato al volto bonario e alle maniere affabili di Mathieu Kassovitz, il quale era però noto in patria soprattutto come regista di uno dei più potenti film europei degli anni ’90: “L’odio”(1995).

Il fatto che Jeunet, come regista, firmasse una commedia romantica e sognante, era ancora meno scontato: i suoi film precedenti, Delicatessen e La città perduta erano opere molto più dark e grottesche; per non parlare dell’episodio di Alien da lui firmato, La clonazione.Amelie ha rappresentato una netta inversione di rotta sul piano narrativo e stilistico.

Riguardo alla famosa colonna sonora, elemento imprescindibile del film, Jeunet non conosceva affatto Yann Tiersen: pare che abbia ascoltato delle cassette con la sua musica su consiglio di un membro della troupe, e che, rimasto folgorato, abbia chiesto al musicista di comporre la colonna sonora del suo film. Il successo fu tale che lo stesso Tiersen in seguito “ripudierà” in parte quelle composizioni.

Il fatto che Amelie sembri una fiaba moderna, si evince anche da come abbia “influito” sui luoghi usati come set: così il bar dove lavora la protagonista è passato dal fallimento al successo, così la stazione dove si svolgono molte scene del film è tornata alla vita per qualche tempo. La stazione della metro di Porte de Lilas-Cinéma, che nel film sembrava un luogo brulicante di persone e attività, era infatti fuori servizio dal 1939.

Venendo ai personaggi, ciò che maggiormente li contraddistingue sono dei particolari tic o manie, o anche i famosi “mi piace/non mi piace.” In realtà questo è uno degli aspetti più autobiografici del film: pare che Jeunet abbia affibbiato ai vari comprimari di Amelie delle fisime personali. Anche la scena di Amelie che si introduce di nascosto nell’appartamento del signor Collignon deriva da una fantasia del regista; che sognava di fare lo stesso con i critici che bocciavano i suoi film.

Lo stesso “fantasma delle fototessere” era in realtà un amico del regista che collezionava foto buttate via in un quaderno. Non potendo disporre del quaderno originale, Jeunet ne fece rifare uno nuovo per il film: solo per riempirlo di fototessere furono convocate e ritratte 80 comparse.

10 cose che non sapete su "Il favoloso mondo di Amélie" - FilmPost.it

Uno dei pochi personaggi ad essere risparmiato dall’acrimonia dei critici più accaniti è il Nano da Giardino, forse perché inanimato. Passato da complemento da arredo per il giardino a feticcio del padre di Amelie, è poi finito a girare il mondo con una hostess giustamente ribattezzata “Biancaneve.” Il fatto di “umanizzare” e considerare questi suppellettili meritevoli di libertà e dignità non è solo dovuto a varie religioni animiste: il regista si ispirò ad un movimento in voga in Francia nei ’90, il “Fronte di liberazione dei nani da giardino”; il quale si occupava di riportare i nani nei boschi per liberarli…In fin dei conti i personaggi del film non erano più strambi di tante persone reali.

La lezione di Amélie: compagni di viaggio speciali per le tue foto – The  Butterfly Hunter

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti: basta cospargere il tutto con l’inconfondibile fotografia di Bruno Delbonnel e il gioco è fatto.

La pietanza che ne esce può essere dolce e fragrante per alcuni o stucchevole per altri, ma, per chi scrive, resta comunque un piatto con una personalità distinta. E a prescindere da come la vita proceda, ogni tanto è bello ricordare, come una buona medicina, le parole del signor Dufayel: “Mia piccola Amèlie, lei non ha le ossa di vetro: lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!”

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