di Roberta Lamonica

Dal 24 dicembre è disponibile su Netflix Don’t look up, “dramedy” di Adam McKay con Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence affiancati da un cast di grandi star del calibro di Meryl Streep, Cate Blanchett, Timothée Chalamet, Mark Rylance, Rob Morgan e Jonah Hill, su tutti.
TRAMA
La dottoranda in astronomia Kate Dibiasky (Lawrence) scopre una cometa, dà evidenza delle sue ricerche al professor Randall Mindy (Di Caprio) che ne analizza la traiettoria; la scoperta è scioccante: la cometa si schianterà sulla Terra nel giro di sei mesi, con conseguenze fatali per tutti gli esseri viventi.
I dati dei ricercatori catturano l’attenzione del dottor Oglethorpe (Morgan), a capo dell’ente di difesa planetaria e della NASA, e così i tre scienziati vengono ricevuti alla Casa Bianca per esporre la sconvolgente scoperta. Tuttavia, la presidente Janie Orlean (Streep), sessuomane e ignorante, e il suo figlio-portavoce Jason (Hill), edipico e decisamente idiota, non danno alcuna importanza alla notizia della catastrofe imminente perché troppo preoccupati per le elezioni di metà mandato. Decidono quindi di affidarsi al ‘campione’ della plutocrazia tecnologica Peter Isherwell (Rylance), potentissimo e mostruosamente cinico, che vuole trivellare la cometa per trarne uno smisurato profitto.

Di conseguenza i tre scienziati iniziano un tour mediatico per mettere l’opinione pubblica a conoscenza dell’apocalisse imminente. Mentre la carriera del prof. Mindy ha una svolta a livello sia di immagine che personale, quella di Dibiasky non va oltre i meme in cui viene ‘blastata’ per un suo scatto d’ira durante un seguitissimo morning show, condotto da una plastificata Cate Blanchett e un porcino Tyler Perry. I due danno maggiore rilevanza al tira e molla sentimentale della star musicale interpretata da Ariana Grande (una delle scene meglio riuscite del film, quella che la vede protagonista) che all’imminente fine del mondo. D’altronde il loro mestiere è “dare le cattive notizie in modo leggero. Così la medicina va giù meglio”.
Ma la presidente Orlean, travolta da uno scandalo sessuale, inaspettatamente richiama il Dr. Mindy, nel frattempo divenuto un influencer, per provare a salvare la Terra (e la sua reputazione) …

I TEMI
RIFLESSO DELLA CONDIZIONE UMANA ATTUALE
“Don’t look up! don’t look up!”
Lo slogan dei supporters della Casa Bianca, con a capo una specie di versione femminile di Trump (Meryl Streep), diventa metafora della condizione dell’uomo contemporaneo, perso a guardare il dettaglio insignificante e banale, quello che trova facilmente fruibile e accessibile sul proprio device, che al grande disegno…Eppure basterebbe alzare la testa, guardare su…nel cielo, come fanno i bambini che, per inciso, sono completamente assenti dal film rendendo la società raccontata priva di ogni slancio spontaneo, altruista, espansivo e vitale. In un mondo in cui il successo e la visibilità, la conformità estetica e la popolarità sono una specie di nuova religione, è quasi naturale immaginare la cometa Dibiaski come l’ego ipertrofico collettivo che si abbatte sull’anima mortalmente ferita (autoinferta) del genere umano.
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Il film, per stessa ammissione del regista, vuol essere un atto d’accusa contro i negazionisti del cambiamento climatico e i ‘venditori ambulanti’ dell’informazione propinata su scala globale. Il risultato ricorda un po’ Mars Attacks!, un film catastrofico dal finale apocalittico con troppe star da riconoscere e poche battute davvero indimenticabili, a dire il vero. Il che non vuol dire che il film non sia divertente o che non ‘arrivi’ in senso assoluto… Ma McKay forse è ostacolato dall’assoluta corrispondenza tra ciò che dovrebbe essere assurdo e che invece trova triste riscontro nella realtà; come si fa a parodiare una parodia, in definitiva?

FEDE
Una questione antica quanto l’uomo, riassumibile nella necessità di dare un senso alla vita in questo universo. E nel film ce n’è molta, resa ancor più evidente dal contrasto tra uno stile di vita basato sul culto dell’immagine, sull’egoismo e l’interesse personale e uno improntato all’amore per una passione e al tempo stesso motore esistenziale: quello per la scienza e la verità. Un binomio chiaro fin da subito, portato avanti con relativa coerenza fino al termine della storia e sintetizzato nell’incontro con il personaggio interpretato da Chalamet, che dona grazia e ‘spessore’ al momento clou del film, in cui i protagonisti ‘buoni’ scoprono, nella casualità di una conversazione a tavola con chi si ama, il senso della vita, nel momento in cui quella stessa vita sta per finire.

LA TECNOLOGIA
Inevitabilmente nell’ ‘affair’ cometa iniziano a entrare in ballo anche gli interessi privati.. Il CEO della società di media Peter Isherwell (Mark Rylance, “Ready Player One“) promette un passaggio improvviso dalla tecnologia della realtà aumentata a incredibili robot spaziali. Isherwell è pensato per essere una fusione di CEO spaziali come Elon Musk di SpaceX e Jeff Bezos di Blue Origin, entrambi originari del boom tecnologico dei primi anni 2000 (anche se la caratterizzazione del suo personaggio ricorda tantissimo il re della pop art Andy Warhol). L’oligarchia tecnologica di cui Isherwell è a capo trasforma tutta la realtà in un Truman Show in cui lo stonato magnate è il Fattore, tronfio burattinaio che sarà letteralmente fagocitato dai primordi dell’evoluzione, in una palingenesi catartica, auspicabile e necessaria.
I PRECEDENTI
Ci sono stati diversi film sull’impatto di corpi celesti sul nostro pianeta (più di recente, “Groenlandia” del 2020); quindi è apprezzabile la cura di McKay nel cercare di dire qualcosa di nuovo su come reagiremmo oggi a un simile disastro. Il controverso “Armageddon” del 1998, nonostante i difetti, aprì un ampio dibattito sull’ipotesi che una cometa potesse colpire la Terra o meno. Ma questi film si concentravano maggiormente sul modo migliore per distruggere la cometa o su come salvarsi da un eventuale impatto. Invece McKay utilizza l’approccio già visto in “The Campaign” (2012) e “Vice” (2018) con cui “Don’t Look Up” ha molte analogie. Ma a differenza delle satire precedenti, “Don’t Look Up” si concentra così tanto sulla costruzione delle premesse nei suoi primi due terzi che è difficile poi decidere quale direzione cinematografica voglia intraprendere. La manipolazione delle notizie, la diffidenza nei confronti della scienza, la non accettazione della verità, la corruzione della politica, la sua inconsistenza, lo strapotere dei colossi tecnologici… c’è un po’ tutto. Ma nulla sembra perfettamente a fuoco. Il film è intelligente, divertente, e il caos anche nelle scelte registiche è certamente voluto, ma è difficile connettersi profondamente con una qualche emozione quasi fino alla fine del film.

ARE WE HUMANS?
A livello di estinzione, la nostra specie non è attrezzata per unire le forze e risolvere i problemi. Nel film questo è evidente anche nel diverso peso accademico dato a piccole università come quella in cui operano il Dr. Mindy e Kate Dibiaski e le grandi e prestigiose università della Ivy Leagye, che diventano bacino di pesca di grandi menti per i potenti a stelle e strisce. Eppure negli ultimi due anni la comunità internazionale ha tentato di combattere un’emergenza planetaria, il COVID-19 e, sebbene la situazione si sia trasformata in molti dei comportamenti descritti da McKay (arricchire i miliardari, negare la scienza, polarizzare le opinioni acriticamente), anche la pandemia ha mostrato la capacità dell’umanità di concentrarsi su un obiettivo comune e di inviare messaggi su una politica potenzialmente salvavita su scala globale.
Quindi forse non siamo così senza speranza come suggerisce McKay, anche se alcune delle battute del film ricalcano alcune delle acrobazie a cui abbiamo assistito nella recente politica. Il tono di McKay potrebbe anche risultare irritante, data la assoluta congruenza con la realtà, il che rende inutile l’insistenza sulla stereotipia dei nuovi tipi umani rappresentati. Ma anche per questo comunque “Don’t Look Up” rappresenta un diverso tipo di film catastrofico, in cui la minaccia non è tanto rappresentata da ciò che verrà, quanto dallo stato delle cose come sono ora.
CONCLUSIONI
Al netto delle premesse, Don’t look up lascia qualche perplessità per come si sarebbero potuti trattare i tanti temi presentati ma mai realmente affrontati e approfonditi nel film. È pur vero che si tratta di una commedia, ma la carne al fuoco è tanta e a tratti pare che bruci. Ispirato alla realtà politica statunitense del 2019, il film di McKay è chiaramente antitrumpiano ma non è ‘contro’, in senso assoluto. Anzi, nel modo di trattare la società americana (e occidentale in genere) si allinea totalmente al trend holliwoodiano degli ultimi anni, restando in superficie senza ‘graffiare’ davvero. Alcune delle presenze attoriali sembrano decisamente sottoutilizzate e tutti sono vistosamente ‘oltre’: oltre il necessario, oltre la parodia… oltre. L’utilizzo di hashtag, meme e tutti i codici di comunicazione dei giovani che pure hanno una loro rilevanza e dignità culturali nel mondo contemporaneo risultano svuotati di significato, quindi il loro abuso abbastanza ingiustificato. Se è vero che non c’è molta differenza tra la realtà della nostra esistenza in un mondo tecno-capitalistico e come McKay la rappresenta (e quindi in questo il film è ‘sincero’), è anche vero che su certi temi ci si aspetterebbe una satira alla George Carlin, in cui il sorriso diventa pian piano ghigno amaro e doloroso, più che un ‘mappazzone’ psichedelico, grottesco, ‘facile’ ma che essenzialmente non dice molto di più rispetto a ciò che abbiamo tristemente imparato a riconoscere e ad avere davanti agli occhi tutti i giorni.

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