di Carla Nanni

La filmografia di Spielberg è una lista lunghissima e variegata di pellicole appartenenti a qualsiasi genere; il regista americano ha vinto premi e riconoscimenti per le sue opere più impegnate e importanti, come Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan, ma è amato soprattutto per quel talento di raccontare l’avventura nei film come nessun altro sa fare: citiamo Indiana Jones ed E.T., ma lo ricordiamo anche per aver prodotto un cult come i Goonies (R.Donner) o Piramide di Paura, che racconta di un giovane Sharlock Holmes.

Ready Player One è l’ultima sua fatica e non disattende le aspettative: narrazione, effetti visivi, personaggi e musica creano un amalgama che scivola negli occhi e nelle emozioni, per oltre due ore di film, senza stancare e con la voglia di rivederlo ancora una volta, o forse di più. Sicuramente ci sono effetti speciali più eclatanti e spettacolari in altre pellicole di fantascienza, non che Ready Player One pecchi in questo, anzi… ma sono altre le particolarità che lo rendono un film assolutamente da vedere.

Il romanzo di Ernest Cline è un omaggio viscerale e appassionato alla cultura Pop anni 70 e 80 e al periodo in cui lo stesso Spielberg sale la scala delle celebrità nel cinema. I riferimenti ai suoi film sono molteplici sebbene il regista stesso abbia fatto la scelta di non auto-celebrarsi riducendo al minimo le citazioni e cambiando quindi molte delle situazioni che si trovano nel romanzo (oltre ovviamente ai problemi riguardanti i diritti su alcuni personaggi citati come Ultraman, sostituito da Gundam e dal Gigante di Ferro della Warner, o le citazioni riguardanti celebri film anni 80, come War Games o Blade Runner). Queste sono curiosità che non possono non creare fibrillazione e aspettative anche oltre la fetta di gamers e fans del pop che vedevano già un cult nel romanzo di Cline (del 2010), considerando poi il tipo di cinema a cui Spielberg ci ha abituati.

Un’avventura che si rispetti vuole dei ragazzi che diventano eroi, adulti cattivi che sono più che altro ottusi, con sentimenti biechi, semplicemente avidi, o perduti e senza speranza, come racconta il film. Siamo in un futuro non troppo lontano, la realtà virtuale è qualcosa di concreto da quando J.Halliday ha ideato e messo sul mercato di internet una nuova esaltante tecnologia: Oasis.

Su Oasis si può fare tutto: si lavora, ci si innamora, ci si sposa, ci si diverte e si fanno compravendite, perché il limite di Oasis è solo la fantasia, se si ha abbastanza denaro e si è capaci di realizzare i propri scopi. Il mondo reale è malmesso, le periferie delle grandi città sono alveari di disperati che vivono alla giornata, drogati di internet e a caccia della larghezza di banda. Wade ci racconta la sua vita mentre scende le cataste dove vive con sua zia, per raggiungere il suo rifugio e fare il login in Oasis, tra le lamiere contorte di macchine abbandonate, al sicuro dai ladri e dai suoi parenti che sono niente di più che disperati delinquenti.

Ci dice due cose importanti: la prima è che Halliday è morto senza lasciare eredi del suo immenso impero; la seconda è che questo impero (vale a dire l’intera Oasis) lo gestirà chi riuscirà a trovare l’Easter Egg che l’Onniscente Anorak (avatar gestore di Halliday) ha nascosto all’interno del programma. Ci dice, inoltre, che lui è in tutto e per tutto un Gunter – l’abbreviazione di Egg Hunter – conosciuto come Parzival, in gara da cinque anni contro gli odiati “Sixter”, dipendenti della multinazionale IOI , che tenta in tutti i modi di arrivare all’Easter Egg di Halliday, per poter controllare l’intera Oasis.

Per chi non lo sapesse, un Easter Egg è un elemento anomalo e innocuo all’interno di un videogioco, o di un qualsiasi altro software, inserito dall’autore molto spesso a valore di firma, quasi impossibile da trovare, a meno che non si facciano determinate azioni, come spingere una sequenza di tasti o inserire parole chiave nel modo giusto. Nel videogioco “Adventure” della casa produttrice Atari Games c’è il primo Easter Egg di cui si è a conoscenza, datato 1979. In quegli anni infatti agli autori di videogames non era riconosciuto alcun credito per il loro lavoro, cosi Warren Robinett inserì di nascosto la sua firma all’interno del gioco, con lo scopo di autenticare “Adventure” come sua creatura.

Dall’inizio degli anni 80 il mondo dei videogames prende vita ed è un mondo pieno di prospettive, perché giocando si può essere protagonisti di storie fantastiche solo premendo i tasti nella maniera giusta; si diventa eroi, si sfida l’avversario senza paura e comodamente seduti sul divano, o ancora meglio, al bar con gli amici per la modica cifra di un quarto di dollaro (50 lire, qui da noi, ai tempi). Negli anni l’evoluzione della grafica e della tecnologia hanno permesso esperienze sempre più immersive e coinvolgenti ed è stata un’evoluzione veloce, percettibile quanto la realtà virtuale che è, ad oggi, una realtà in continua espansione.

Una piccola digressione sui video games vale la pena farla, anche se il film non parla solo di questo: è un futuro distopico senza dubbio, le ricche holding hanno in pugno la terra, l’umanità è ridotta a pagare i debiti di un vissuto terribile, l’inquinamento, la crisi economica e la perdita totale della propria identità di essere umano, completamente assorbito da qualcosa di intangibile e,soprattutto, controllato da poteri forti che lucrano sulla sua esistenza ( La I.O.I – Innovative Online Industries – è infine a rappresentanza di tutte le holding che guadagnano stringendo le corde di un mondo dominato dal mercato online). In Ready Player One non si cerca di demonizzare la realtà virtuale (come per esempio fa Matrix – un altro film celebre sull’argomento), piuttosto si cerca di trovare un equilibrio tra le parti, un compromesso tra la vita reale e quella dei propri avatar, perché tornare indietro non si può, la vita su Oasis vale come la vita vera e l’unica cosa da fare è saperla gestire al meglio.

La parte di film gestita da attori in carne ed ossa è ben recitata, Wade è interpretato da Tye Sheridan che qui ha tutte le caratteristiche di un nerd con gli occhiali e la faccia di chi, nella realtà, ha poco da raccontare; poi c’è Art3mis che lotta – con la passione dei giovani – contro le holding, un’Olivia Cook deliziosa mentre Mark Rylance caratterizza un Halliday completamente isolato dal mondo circostante, come qualcuno incapace di relazionarsi con gli altri e immerso completamente “nel gioco”, eppure con la consapevolezza e il rimpianto costante che il mondo reale sia l’unico in cui vale la pena vivere.
Importante da sottolineare è anche la relazione che esiste tra un maestro (Halliday) e un discepolo (Parzival) che lo segue e lo studia con devozione e rispetto e che pure, alla fine, capisce di poter fare meglio, di dover fare meglio, per non cadere negli stessi errori e per dimostrare di avere imparato da quelli del suo mentore.

Ready Player One è un’avventura proiettata in un futuro distopico, è un mondo di lotte, sentimenti e decisioni, epico quanto basta per una battaglia finale da mettere negli annali delle magie della Computer Grafica, una storia d’amore, d’amicizia, cavalleria e oneste intenzioni; il film di Spielberg è pieno di tutto questo e di qualcosa che si insinua quando si esce dalla sala cinematografica e si guardano le persone che parlano, ridono e pensano di aver visto un film di fantascienza, inconsapevoli o forse ciechi al fatto che quel futuro non sia poi cosi distopico, non sia poi cosi irreale, non sia poi cosi lontano.