di Francesco Gatti
“Dovete amare, che vi piaccia o no. Le emozioni, vanno e vengono come nuvole. L’amore non è solo un sentimento: l’amore dovete dimostrarlo. Amare significa correre il rischio del fallimento, il rischio del tradimento. Voi pensate che il vostro amore sia morto; forse è in attesa di essere trasformato in qualcosa di più alto”
(Padre Quintana).

To the Wonder è forse il film più difficile (e più personale) di Terrence Malick: una storia tra la Francia (dove Malick ha vissuto) e la provincia americana. Una storia d’amore, di tradimenti, di silenzi e di abbandoni.
Neil, giovane americano, conosce Marina, madre di una bimba di 10 anni, a Parigi. Si innamorano, tra il Jardin desTuileries, e la spettacolare meraviglia dell’occidente (MointSant Michel, che dà il titolo al film). Trasferiti in Oklahoma, l’amore non sarà più come all’inizio: Marina torna in Europa, e Neil inizia a frequentare di nuovo una sua vecchia fiamma, Jane. Marina, tornata negli USA, cerca conforto nel tormentato Padre Quintana, a sua volta alle prese con un’enorme crisi di fede.

To the Wonder è un film molto difficile. E’ un film che tratta della solitudine e della fallacia dell’amore. E’ un film in cui gli umani, ancora come in The Tree of Life, sono piccola parte di un Universo molto più grande, in cui Dio, cercato come in The Tree of Life, stavolta è andato perduto; è andato perduto per il sacerdote (J. Bardem), è andato perduto per l’americano medio (B. Affleck), con l’espressione e gli stivali da “americano medio”. Dio è perduto quando la donna (O. Kyrilenko e R. Mc Adams) si sottomette all’uomo (proprio a quell’uomo!), o quando lo tradisce, solo per “distrarsi”. Dio è perduto nei silenzi della coppia, quei silenzi già visti in The Tree of Life, in cui le coppie, già unite nell’entusiasmo della prima volta, non hanno più nulla da dirsi. E Dio è perduto soprattutto per il male che l’uomo fa alla Terra (l’amato Pianeta Terra di Malick, con le sue albe, i tramonti, i ruscelli, gli animali, e i campi…), inquinandola, deturpandola, e, in fin dei conti, distruggendola.

To the Wonder è un film singolare, perché è un film davvero globale, non solo perché si svolge, e coinvolge, i due continenti più amati da Malick, e i territori da lui vissuti (la Francia ed il Midwest), ma per le quattro lingue parlate nel film: inglese, francese, spagnolo e italiano. Nella Babele di lingue e di sentimenti non si distingue cosa gli uomini si dicono gli uni gli altri, e cosa dicono, nelle loro preghiere, a Dio.
Il film è stato presentato al Festival di Venezia del 2012, con accoglienza molto divisa. La pellicola ha comunque vinto il premio collaterale, e minore, assegnato dal SIGNIS (associazione cattolica mondiale) ed è stato definito dai giurati “ricco e poetico nella narrazione… un film di assoluta originalità che celebra il mistero della bellezza, della verità e dell’amore. È una storia di uomini e donne che attraversano la vita con passione intensa”.

To the Wonder non è certo il film più bello di Malick, ma è probabilmente il più difficile. Se le sorti degli eroi “Soldato Witt” o “Pocahontas” ci riappacificavano con l’esistenza, e con la Natura, e le ambizioni degli antieroi Kit e Bill ci caricavano d’adrenalina, oggi non è più così: dal cinema si esce barcollando, spossati e tristi, con la convinzione che anche stavolta il magico texano ha fatto centro, dimostrando con un paradosso che l’amore (e Dio) esistono, perché, appunto, è possibile affermarne l’inesistenza.

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