Orizzonti di gloria (Paths of glory), di Stanley Kubrick (1957)

di Bruno Ciccaglione

“I sentieri della gloria non portano che alla tomba”
Thomas Gray, Elegia scritta in un cimitero campestre

Orizzonti di gloria è forse il più anomalo dei film di Kubrick. Se vi possiamo rinvenire in nuce molte delle scelte stilistiche che diventeranno poi tipiche del suo cinema, grazie al felice concorso di diverse circostanze favorevoli, il film rappresenta forse l’unico caso in cui in un film di Kubrick a prevalere non sia lo sguardo sarcastico e un po’ cinico sulle miserie umane, ma un emozionante e coinvolgente senso di umanità che ci lega agli uomini impegnati nella terribile guerra di trincea della prima guerra mondiale.

Il carrello all’indietro sarà il tipico movimento di macchina di Kubrick per tutta la carriera. Le trincee sono la location perfetta per questa tecnica

Fronte franco-tedesco della prima guerra mondiale, nel 1916. Come spesso accadrà poi nel cinema di Kubrick, il film è costituito da due parti giustapposte. Nella prima c’è la preparazione della battaglia di trincea e poi la battaglia stessa. Lo stato maggiore francese, facendo leva sulla spregiudicata ambizione del generale Mireau, lo induce ad un attacco completamente privo di possibilità di successo, che costerà moltissime vite umane. Nonostante il coraggio del capitano Dax (Kirk Douglas) che guida l’avanzata sul campo di battaglia, la situazione è così sfavorevole che una parte delle truppe non riesce neppure ad uscire dalle trincee, il che fa infuriare il generale Milieu, tanto che addirittura egli ordina di puntare i propri cannoni verso le proprie truppe (ma ne ottiene un rifiuto).

Nella seconda parte, per sfogare la propria rabbia, il generale ordina che siano estratti a sorte 3 uomini dalla truppa, che saranno processati per codardia per essersi rifiutati di combattere (non potendo ragionevolmente punirli tutti, come pure desidererebbe…). Ad assumere la difesa dei tre sfortunati davanti alla corte marziale, il capitano Dax, che però non riuscirà a salvarli dalla condanna a morte.

Kirk Douglas e Stanley Kubrick sul set

Quando si accinge a dirigere Orizzonti di Gloria, Stanley Kubrick non ha ancora trent’anni e sebbene abbia già dato prova di grande personalità sui set dei primi tre lungometraggi che ha diretto, non è ancora il mostro sacro che diventerà in seguito. Anche se Rapina a mano armata era stato ben accolto dalla critica, non aveva certo sbancato il botteghino. Nel tentativo di realizzare un film dal romanzo di Humprey Cobb Paths of glory, il giovane produttore James B.Harris e Kubrick ne acquistano i diritti e riescono a far leggere la sceneggiatura a Kirk Douglas che ne rimane entusiasta.

È la presenza di Douglas come protagonista, a rendere possibile la realizzazione del film e l’attore si rivelerà decisivo, da un lato perché offre una delle più belle interpretazioni della sua brillante carriera, dall’altro perché si oppone fermamente all’inserimento di un lieto fine (con la salvezza dei tre condannati da parte del protagonista), che Kubrick e Jim Thompson inizialmente avevano pensato di inserire per ragioni commerciali.

La scena dell’attacco al Formicaio è una delle più belle scene di guerra della storia del cinema. Fu realizzata al termine delle riprese e la sua preparazione richiese molti giorni

Come si vede, il genio di Kubrick non è ancora quello dell’uomo isolato dal mondo in una villa della periferia londinese, dove può vivere liberamente anche le più capricciose delle proprie fobie e anche esprimere in assoluta libertà il suo pessimismo cosmico. Fa il regista come lo fanno tanti altri, come per alcuni anni ancora dovrà fare: media, cerca di ritagliarsi un posto al sole, ha la fortuna di incontrare Kirk Douglas e di piacergli.

In questo film, soprattutto, nonostante la sottile intelligenza che al solito caratterizza l’approccio ai temi chiave del suo cinema (la guerra come fatto umano per eccellenza, la razionalità illuministica che paradossalmente porta a conseguenze assolutamente folli, il potere come puro controllo di grandi masse inquadrate in meccanismi di dominio ecc.), Kubrick fa qualcosa che non farà poi in nessun altro suo film: si schiera e per di più assumendo una posizione apertamente antimilitarista e addirittura di feroce critica al patriottismo.

Il processo ai 3 soldati estratti a sorte

La guerra di Orizzonti di gloria è pura follia, le sue logiche ferree sono platealmente assurde, concetti come umanità e giustizia sono semplicemente incomprensibili, gli uomini sono letteralmente carne da macello, pedine da giocare al tavolo degli stati maggiori (non a caso la sala dove avviene il processo ha una pavimentazione a scacchi, il gioco preferito da Kubrick), il nemico semplicemente non c’è. Proprio come succederà in Full metal jacket, lo scontro e la guerra avvengono tutti all’interno dello stesso esercito, dello stesso fronte.

Quando il generale dello stato maggiore realizza che Dax/Douglas si è battuto fino all’ultimo in difesa dei tre soldati per senso di giustizia e non per fare carriera, ne è sinceramente colpito: “La compatisco come lo scemo del villaggio!”, gli dice.

“La compatisco come lo scemo del villaggio”

“Ci sono occasioni in cui mi vergogno di appartenere al genere umano e questa è una di queste”, dice Dax/Douglas nella sua splendida e inutile arringa davanti alla corte marziale. La sua figura è quella di un vero eroe, forse l’unico del cinema di Kubrick e la scena finale del film, che sempre nel cinema di Kubrick sembra sintetizzare l’approccio con cui l’autore si è posto rispetto a quanto raccontato, è memorabile anche per la sua unicità.

Pensiamo agli altri film di guerra di Kubrick. Il Dottor Stranamore si concluderà con la sequenza delle esplosioni nucleari che distruggono il pianeta, sarcasticamente contrappuntata dalla voce di Vera Lynn che canta “We’ll meet again/Don’t know where/Don’t know when” (Ci incontreremo ancora/Non so dove/non so quando). Molto più tardi nel finale di Full metal jacket, dopo la battaglia urbana in cui hanno avuto la meglio sul “cecchino” vietnamita, i marines cantano la canzone di Topolino come uno sberleffo alla partecipazione emotiva dello spettatore.

Qui invece la scena finale è di segno opposto. Dopo l’esecuzione dei tre soldati, l’ennesima terribile giornata di guerra si conclude in una taverna tra fiumi di alcol e tentativi di scacciare dalla mente almeno per qualche ora quel aspetta che gli uomini al fronte il giorno dopo. Una donna tedesca, chiaramente strappata al nemico, viene costretta a salire su un palco improvvisato e a intrattenere i soldati. A interpretarla è una giovane attrice e artista tedesca, Christiane Harlan, che poi diventerà la moglie di Kubrick.

Christiane Harlane, che poi sposerà Kubrick

Anche qui come in altri casi, a chiudere il film è una canzone, quella cantata dalla giovane, con poca voce, impaurita dalle grevi battute maschili dei soldati nemici. Kubrick sceglie di far cantare alla ragazza una canzone popolare tedesca che risale alla fine dell’ottocento: “Der traue Usar” (L’ussaro triste), è una ballata che racconta di un soldato che a causa della guerra è lontano dalla sua amata, il quale ritornato infine al suo villaggio di origine la troverà nel letto di morte. I soldati che stanchi e ubriachi ascoltano la giovane cantare, anche se sono francesi, hanno probabilmente ascoltato molte volte quella canzone e ne colgono chiaramente il significato. Il canto li cattura e li unisce nel momento forse più emotivamente partecipato di tutta la cinematografia di Kubrick.

“Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”, dice a un certo punto al suo generale Dax/Douglas. Per una volta Kubrick si schiera dalla parte della umanità e realizza un film commovente contro la guerra.

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