Occhiali Neri (2022) di Dario Argento

di Fabrizio Spurio

Nel 2001 Dario Argento distribuisce nelle sale “Non ho sonno”, il suo ritorno al giallo classico, il primo di una trilogia “poliziesca” che il regista dichiara di voler realizzare. Il film che avrebbe dovuto girare subito dopo è “Occhiali Neri”, un copione scritto insieme al fedele Franco Ferrini: un thriller che segue le vicende di una prostituta, divenuta cieca a seguito di un incidente, che deve proteggere un bambino cinese testimone di un delitto. Il film doveva essere ambientato a Venezia, ma quando ormai la preproduzione è già iniziata arriva la notizia del fallimento di Cecchi Gori, che all’epoca era il distributore del film. Il progetto si blocca, e la sceneggiatura termina in fondo ad un cassetto.

E’ solo nel 2021 che il progetto ritorna a prendere forma. Durante le ricerche per la scrittura della sua autobiografia Asia Argento sfoglia alcune carte del padre e ritrova quella sceneggiatura perduta. La legge, se ne innamora e la propone a produttori francesi. I produttori ne sono colpiti e danno l’ok per la realizzazione del film. E’ il ritorno sul set, per Dario Argento, dopo dieci anni dalla realizzazione della sua ultima opera “Dracula 3D” (2012).

“Occhiali Neri” è un film che divide il pubblico. Chi lo ama e chi lo odia. Sono molti i motivi di questi schieramenti così perfettamente contrapposti. Non è il solito film di Argento, come siamo ormai abituati a vedere. Non c’è la ricerca di un assassino a seguito di un’indagine. Il film ha una linearità assolutamente semplice: è la fuga di due persone braccate da un serial killer, nulla di più. Ma è questa linearità che, in realtà, dà valore al film. Argento sa che i tempi sono ormai cambiati, che non può più contare su budget faraonici, come ai tempi di “Suspiria”, “Phenomena” o “Opera”. Sa quindi che si deve adattare con quello che riesce ad avere a disposizione. Intanto rimette mano alla sceneggiatura e Venezia, ormai troppo costosa per essere utilizzata come set di un film (senza contare tutti i problemi logistici, dovuti al fatto di dover spostare la troupe e le macchine da presa in ambienti e strade effettivamente troppo stretti per quello che ha in mente), viene sostituita con Roma, e le campagne di Formello, località vicino alla capitale. Ma questo cambio non danneggia il film. La Roma di Argento è una città notturna (gran parte del film è girato di notte), una città che vive in un lusso che copre una meschinità sotterranea. Stanze di alberghi del centro, rinomati, diventano i luoghi d’incontro tra escort e clienti danarosi. Ma proprio le prostitute sono le vittime designate del serial killer di turno. E Diana (Ilenia Pastorelli), sarà la prossima vittima scelta dall’assassino. Il film si apre con una sequenza sognante, quasi fuori dal tempo. Diana, in macchina, mentre guida vede intorno a lei le persone che scrutano il cielo. Decide di fermarsi e scende dalla vettura, per capire. Solo allora scopre che tutti stanno osservando un’eclisse di sole. Anche lei vuole vedere il fenomeno, e per proteggere i suoi occhi indossa degli occhiali da sole. La scena dell’eclissi è chiaramente un presagio di quello che sarà dopo, del cambiamento improvviso che colpirà la vita di Diana. Il sole oscurato dalla luna, porta le tenebre sulla città, un’oscurità che presagisce la cecità di cui Diana sarà vittima. Lei ancora non sa che indossare quegli occhiali scuri sarà il suo futuro. Alla guida della sua vettura, inseguita dal furgone bianco dell’assassino, Diana rimarrà coinvolta in un pauroso incidente con un’altra macchina, dal quale uscirà cieca. Ma nell’altra macchina coinvolta moriranno un uomo e una donna cinesi, si salverà soltanto Chin ((Xinyu Zhang), il loro figlio di dieci anni. Da quel momento Diana e Chin faranno coppia, aiutandosi l’un l’altro, per salvarsi dal killer che ormai è deciso ad ucciderli.

La semplicità della trama potrebbe far storcere il naso ai molti che si aspettavano un ritorno al thriller dei tempi passati. Il film è molto semplice, non ci sono sorprese, guizzi particolari di sceneggiatura. Il killer viene presentato presto al pubblico, Matteo (Andrea Gherpelli), dal fisico massiccio, adatto al ruolo del persecutore. Purtroppo ci sono aspetti che sono negativi all’interno della pellicola, e proprio nella sceneggiatura. La figura dell’assassino ha poco spessore, non viene caricata di quella valenza, di quel carisma, che lo porta ad essere una creatura quasi sovrannaturale e onnipresente, anche se non fisicamente, come poteva succede in altre pellicole di Argento. Forse è proprio questo uno degli aspetti più negativi del film. Argento non ci presenta quest’assassino come il superuomo che poteva essere, ad esempio, l’Alfredo de “La Sindrome di Stendhal” (1996), un uomo folle, biondo dagli evidenti echi nazisti. Matteo è semplicemente il proprietario di un canile che fa uso di cocaina e al quale piace uccidere le prostitute. Non esiste un movente, e anche il motivo per cui prende di mira Diana è debole, giusto un pretesto. Ci sono anche delle ingenuità nella scrittura. Come nella sequenza in cui Diana, seduta su una panchina insieme a Rita, è terrorizzata perché l’amica le ha detto che vicino a loro c’è un furgone bianco parcheggiato, oppure in un’altra scena un poliziotto, Jerry (Guglielmo Favilla) vede arrivare il furgone e dice “è il furgone che stiamo cercando”. Ma nella realtà le strade di Roma sono invase di furgoni bianchi. Forse però ad Argento tutto questo non interessa, perché in realtà lui punta ad altro.

Il vero cuore del film si trova in altre due direzioni.

La prima: il rapporto tra Diana e Chin. Era dai tempi di “Trauma” (1993) che non si vedeva in un film di Argento una tale centralità dei sentimenti. In quel film era toccante la storia d’amore tra Aura, la ragazza anoressica e David, il giornalista ex tossicodipendente. In “Occhiali Neri” si sviluppa il tema dell’affetto che lega Diana a Chin. Gli scambi di battute tra i due, il loro rapporto, il loro cercarsi, arriva a creare una tenerezza che li fa sembrare più di madre e figlio, un rapporto nato dalla reciproca richiesta di aiuto. Diana è cieca, una prostituta, di fatto un’emarginata dalla società (in una battuta dirà chiaramente: Dio non ha tempo per una come me…), mentre Chin, orfano, vede in lei l’unica persona di cui fidarsi, l’unica che può veramente prendersi cura di lui. Insieme si compensano, si completano. Veramente Chin diventa gli occhi di Diana, e lei la mente. Un altro rapporto, molto sincero e costruito bene, è quello tra Diana e Rita (Asia Argento, perfetta in questo ruolo, misurato, senza eccessi), un’operatrice specializzata nell’assistenza di persone non vedenti. Rita le insegna a vivere nella sua nuova condizione, anche grazie a Nerea, un pastore tedesco che diventerà la guida della ragazza. Molto toccante è anche il momento in cui Diana, all’ospedale, scopre di essere diventata cieca. Argento mostra al pubblico una soggettiva di Diana in quel momento, il suo punto di vista: lo schermo è totalmente nero, attraversato da improvvise sciabolate di luce bianca, ma sono solo sprazzi, momenti che non porteranno più Diana alla normalità.

Poi c’è l’altra direzione: il thriller. Il film scorre velocemente, senza intoppi, fino alla fine. Nella sua durata di appena un’ora e mezza, la pellicola dice tutto quello che deve dire, non eccedendo in scene inutili. Il taglio del montaggio è fresco, dinamico, essenziale. La fuga di Diana e Chin dal killer prende gran parte del secondo tempo. I due sono persi nelle campagne intorno a Roma, tra foreste di arbusti, ruscelli invasi da bisce, locali industriali abbandonati. E’ una fuga continua, braccati dal furgone bianco di Matteo. E’ interessante vedere come il furgone diventi parte integrante del killer, di fatto è l’arma che utilizza per uccidere molte delle vittime, investendole o provocando incidenti. Il furgone diventa quindi un simbolo, l’incarnazione del male che si propaga dalla mente di Matteo. Le fughe nei boschi sono girate con carrelli, soggettive, panoramiche e quanto di meglio la tecnica di Argento può fare per creare la tensione, che è martellante in tutta questa sezione del film. Argento a creato con cura le sequenze degli inseguimenti. La fotografia notturna, curata da Matteo Cocco, è bellissima, riuscendo a mostrare tutto anche nel buio. Illuminando tutto quello che lo spettatore riesce e deve vedere, creando un’atmosfera sospesa che giova alle scene di fuga. Le pause sono in funzione delle scene di tensione, soprattutto quando nei boschi Diana rimane sola. Spaesata e persa, in un ambiente totalmente sconosciuto, nel quale non ha punti di riferimento. La Pastorelli si cala nel ruolo della non vedente con convinzione e risulta credibile nella gestualità, nonostante il forte accento romano che sfoggia nella recitazione: il film, per la prima volta in una pellicola di Argento, è recitato in italiano in presa diretta. Forse il doppiaggio, in questo caso, avrebbe nuociuto al film e quindi, a parte l’iniziale spaesamento che può produrre nello spettatore, alla lunga non disturba. Del resto stiamo seguendo la storia di una donna he probabilmente non è colta, e il suo parlare dialettale rientra nel suo personaggio. Anche la recitazione del piccolo Zangh all’inizio può far storcere la bocca, in quanto spesso si inceppa nel ripetere le battute, ma il fatto che sia cinese, quindi non propriamente padrone della lingua italiana, fa superare anche questo scoglio. Forse la domanda da porsi è: perché scegliere un personaggio cinese? In effetti nella sceneggiatura non ci sono riferimenti alla cultura cinese, o in qualche modo legati alla vicenda. L’etnia del bambino in effetti non influisce nella trama e quindi è irrilevante. Per quanto riguarda gli omicidi, nel film ce n’è uno solo, veramente importante, e come succede spesso in Argento, è all’inizio della pellicola. Spesso il regista utilizza questo artificio per gettare lo spettatore direttamente all’interno della storia, facendogli saggiare quale sarà la temperatura del film. In effetti il primo omicidio è violento, non lesina di sangue, anche se basa la sua presenza più sulla sorpresa che sulla tensione. Non c’è una costruzione del terrore in crescendo, tutto succede velocemente. La vittima, l’ennesima prostituta, è colpita in modo fulmineo, ma la sua agonia è lunga e dolorosa, come se Argento questa volta avesse voluto mostrare il dopo del delitto, come se ci avesse voluto far vivere l’angoscia della vittima che vede scorrere via la sua vita insieme al sangue.

L’altro omicidio degno di nota è quello di Rita, in fuga nelle campagne, raggiunta e uccisa con violenza dall’assassino. Anche qui siamo di fronte ad una scena che trasuda cattiveria. Il killer in questo caso infierisce sulla donna come a volerla punire per aver aiutato Diana. Poi però arriviamo al finale, e purtroppo qui si nota un calo nella tensione. Proprio nel momento in cui dovrebbe esserci il confronto definitivo tra protagonista e carnefice, e quindi arrivare il culmine dell’azione, la soluzione scelta da Argento non convince. Il finale sembra essere troppo veloce e troppo poco incisivo. Non c’è un crescendo che porta ad una catarsi, ma anzi al contrario, un rallentamento dell’azione che sabota il meccanismo fino a quel momento costruito. Il tutto risulta troppo sbrigativo, ma al tempo stesso semplicistico. Le musiche di Arnaud Rebotini, sono bellissime. Sonorità elettroniche dal ritmo martellante che si sposano perfettamente con la dinamica della caccia che è alla base della pellicola. In definitiva questo “Occhiali Neri” non è certo un ritorno ai livelli di “Phenomena” o “Tenebre”, ma è sicuramente una pellicola dignitosa, molto al di sopra della media nazionale, sicuramente dal punto di vista tecnico e registico.

Una risposta a "Occhiali Neri (2022) di Dario Argento"

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  1. C’è qualcuno a cui è piaciuto? E cmq secondo me non è sopra alla media nazionale, facile esserlo quando in Italia non ci sono film horror importanti; è solo meglio degli ultimissimi lavori di Argento ma ciò non vuol dire che sia dignitoso eh

    Cmq, secondo me Dario nella trama ha sbagliato a far concentrare il killer solo su di loro: è un killer di prostitute ed escorts, faglielo fare qualche omicidio per tenere alta la tensione! Il trailer prometteva molto più sangue!

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