Easy – Un viaggio facile facile, di Andrea Magnani (Italia/Ucraina 2017)

di Andrea Lilli –

“Avevo bisogno di un posto in cui il protagonista di questo film si potesse smarrire. Se ti perdi nel bel mezzo dell’Ucraina, un Paese di cui non capisci nemmeno l’alfabeto, sei effettivamente perduto”.

Andrea Magnani

Perdersi è condizione necessaria per ritrovarsi, e così sarà tra Kiev e i Carpazi per il trentacinquenne Isidoro detto Easy (Nicola Nocella), ex campione di go-kart, una folgorante carriera da pilota sportivo interrotta improvvisamente a 21 anni. Da allora è estraneo al mondo: vive con una madre salutista (Barbara Bouchet), disoccupato, rinchiuso nella cameretta e nei gloriosi ricordi adolescenziali. Un uomo rassegnato e sovrappeso, sostenuto solo dalle pillole ansiolitiche che ingurgita in abbondanza. Perdente anche nel tentare il suicidio, demotivato anche in questo. Un disadattato però in qualche modo sereno, e in grado ancora di stupirsi: dunque un depresso simpatico.

Sorprendente questo film leggero come il suo titolo, uscito dal cilindro di un regista esordiente ma dallo stile personale originale e già ben definito, speriamo solido. Un road movie italianissimo, discendente diretto della commedia all’italiana, ma al contempo classificabile come una black comedy erede di quella raffinata cinematografia nordeuropea fatta di pochi dialoghi, molti sguardi, situazioni paradossali e humour più o meno macabro quanto basta per sopravvivere senza doversi consegnare ai narcolettici o alla vodka. Inoltre, c’è un ricorso alle inquadrature larghe e profonde, ai campi lunghi, del tutto inconsueto tra i registi italiani, che ricorda la ricerca visuale di Luigi Ghirri, il fotografo degli orizzonti estesi e sfumati, del tempo sospeso. Le sue piatte pianure emiliane sono evocate da quelle ucraine, e il Dnepr sembra un Po all’ennesima potenza.

È il primo lungometraggio firmato come regista da Andrea Magnani, sceneggiatore e produttore riminese simpatizzante felliniano ma coi piedi ben piantati a terra, ed è una delle ultime coproduzioni italo-ucraine precedenti il conflitto in corso. L’anno in cui fu girato, il 2014, fu quello in cui la Russia di Putin decise una delle sue “operazioni militari speciali” in Ucraina, e il film rischiò di non essere realizzato. Oggi, mentre questo Paese è aggredito e occupato dalla Russia, possiamo considerare Easy uno degli ultimi film europei “leggeri” girati nell’Ucraina indipendente. Speriamo non l’ultimo.

Dieci giorni prima dell’inizio delle riprese, Putin decise simpaticamente di invadere l’Ucraina

L’apatia cronica di Easydoro viene turbata dal fratello Filo (Libero De Rienzo), spregiudicato imprenditore edile messo nei guai dalla morte in cantiere di Taras, un operaio ucraino. Filo vuole al più presto restituire il corpo alla famiglia d’origine, sottraendolo ad indagini giudiziarie che sarebbero fastidiose, se arrivassero a valutare la regolarità dei lavori, e affida ad Easy – autista esperto, sebbene arrugginito – il compito di guidare il carro funebre e consegnare la bara al confine ucraino-ungherese. Un viaggio facile facile sulla carta, ma che numerosi imprevisti e l’ingenuità del fratellone depresso trasformano in odissea. Easy, prima titubante, poi angosciato, infine eroico prenderà sul serio l’impegno, anche se dovrà prolungare il tragitto, oltrepassare il confine, guadare fiumi larghi come laghi, inoltrarsi nei vasti boschi, tra le pianure sconfinate e i linguaggi sconosciuti del cosiddetto granaio d’Europa. E sarà costretto a farlo in completa solitudine, da un certo momento senza nemmeno l’aiuto del navigatore e del cellulare, senza più soldi, le pillole finite, senza più la macchina, ricercato dalla polizia. Ma sempre con la bara al seguito, pesante fardello che ci ricorda la valigia di Jasmin in Bagdad Cafè (1987). Incontrerà personaggi bizzarri e del tutto verosimili – come succede on the road: un camionista georgiano, un prete in congedo per amore, un addetto alla mensa poco caritatevole, un poliziotto in ciabatte, una famigliola cinese, un anziano generoso quanto legnoso e muto; tipi così, alla Kaurismaki, alla Jarmusch. E sempre con la bara/bagaglio al seguito, inseparabile come la sua ombra, come il suo passato.

La bara, trascinata attraverso le situazioni più scomode, sballottata, usata per sedersi e dormirci sopra, ma sacra e onnipresente, diventa evidentemente la metafora del peso che frena e si porta addosso Isidoro: il proprio malessere, il blocco conseguente a un trauma passato che non vuole trapassare, e di cui invece deve disfarsi, consegnandolo, staccandolo da sé dopo un viaggio che non è solo attraverso Paesi e lingue, ma pure e soprattutto dentro sé stesso.

Sarà un caso, ma Ucraina nell’etimo significa proprio frontiera, confine: il viaggio di Easy, comico e complicato, è un’avventura quasi fantozziana che lo porterà a superare ardui limiti interni, attraversando le proprie lande desolate, sfidando correnti fluviali intime, e senza nemmeno rendersene conto.

Il racconto offre momenti esilaranti cuciti ad arte sulla trama del viaggio mantenuta in tensione costante. Per un’ora e mezza, il destino di Easy ci fa sorridere, ci prende, ci appassiona. La prova di Nicola Nocella è eccellente grazie a quel suo sguardo candido, stupefatto: meritati i premi ottenuti a Locarno e ad Annecy. Il personaggio opposto, Filo, il fratello scafato e manipolatore, gode dell’altrettanto adeguata prova di Libero De Rienzo, che questo film delizioso ci fa rimpiangere una volta di più. Bene immersi nella parte anche gli attori non italiani, fra i quali si distinguono gli interpreti del poliziotto, del prete, del vecchio e silente vetturino. Taras ovvero il Passato troverà il posto dell’eterno riposo dopo un lungo e travagliato percorso: meno tragico, ma simile nella quantità di sventure a quello del più famoso dei Taras letterari, Taras Bul’ba dell’ucraino Nikolaj Gogol. Il futuro è tutto da scoprire, ma sarà certamente diverso dal previsto.


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