Shell, di Scott Graham (2012)

di Nicole Cherubini

-“Shell? Like the petrol station?’”

-“Shell like the unique and beautiful thing you find in the sea.”

Una ragazza corre a perdifiato dietro ad un’auto. Se non la raggiunge non potrà più restituirgliela. La macchina sembra ormai lontana quando, ad un tratto, fa marcia indietro. La ragazza vede la bambina sul sedile posteriore e le porge la sua bambola di pezza. Un ultimo saluto e l’auto riparte. E lei, Shell, come un minuscolo puntino su quell’infinita lingua di asfalto che fende i prati, si incammina di nuovo verso casa.

Il suo unico punto di riferimento, su quel nastro di asfalto, è una piccola stazione di servizio, con una pompa di benzina ed un’autofficina. In questo luogo sperduto nelle Highlands scozzesi, dove a volte non passa nessuno per un’intera settimana, Shell e suo padre vivono soli da anni. Il maestoso e selvaggio paesaggio naturale, che sembra aprirsi verso sentieri infiniti, pare in contrasto con la loro esistenza così sedentaria e monotona, scandita solo dal passaggio di auto da rifornire di benzina o da riparare.

In questa landa aspra, spesso battuta da pioggia e vento, si consuma un sofferto idillio tra padre e figlia. Per la sua opera prima, Scott Graham scrive e dirige la storia di due vite legate dal sangue in un rapporto tanto stretto da diventare esclusivo: un limbo reso asfittico dallo stesso affetto che lo anima. Così, mentre Pete fa la parte del pater familias, sfiancandosi di lavoro, immergendo le indurite mani nelle viscere dei motori o degli animali da scuoiare, è in realtà sua figlia a fargli da sostegno. La sua Shell, bianca e preziosa come madreperla, si occupa di lui e lo sostiene durante gli attacchi epilettici. Il film presenta infatti un padre avvilito e una figlia diciassettenne, ormai quasi donna, pronta a rompere il suo “guscio” per sbocciare.

Pur non disponendo di un cast stellare, il regista fa poggiare l’intero film su due attori poco noti ma incredibilmente aderenti ai personaggi rappresentati: Joseph Mawle incarna un laconico uomo di mezza età, dal fisico più prosciugato che asciutto, dal volto scavato e dagli occhi umidi; tormentato da un amore che sembra varcare il semplice affetto filiale. Chloe Pirrie interpreta invece una ragazza solare, aperta verso gli altri, tant’è vero che la sua bellezza acerba non sfugge agli sporadici clienti che vengono a fare benzina: il divorziato Phil ed il giovane Adam. Le brevi chiacchiere con i clienti sono le uniche finestre sulla realtà esterna. A volte questi input sono simboleggiati da un oggetto: un libro regalato da una sconosciuta, una bambola dimenticata da una bambina…Ma mentre tutti se ne vanno, Shell ed il padre Pete restano.

Il regista descrive la tensione tra questi due personaggi con primi e primissimi piani, compensando gli sporadici dialoghi con l’incisività dei gesti: gli sguardi che si incrociano, mani che cercano il contatto fisico, il continuo bisogno di conferme…

“Do you love me?”continua a chiedere Shell a Pete, ma la sua è una richiesta d’amore destinata a perdersi come un’eco nella vastità delle Highlands. Questa giovane donna è simile ai cervi che vivono in quelle zone: apparentemente liberi di scorrazzare ovunque, finiscono spesso investiti da incauti guidatori. Nemmeno i regali di Phil ed il calore fugace offertole da Adam possono davvero colmarla.

Finchè una notte, prima di compiere l’irreparabile, Pete compie un ultimo sacrificio…

Alla sua opera prima, Scott Graham dirige un coming of age doloroso, malinconico eppure non rassegnato, capace di non chiudersi in sé stesso e di aprire alla sua protagonista una via alternativa, più luminosa. L’apparente stasi dei personaggi serve al regista per offrire un accurato scavo psicologico di una persona in divenire ed ancora avvolta nel conflitto. Nodo del film è infatti il doloroso tratto della vita in cui l’individuo si stacca dal nucleo familiare per affermarsi come persona e crearsi un proprio percorso. Il tema dell’incesto aleggia nella pellicola, ma sempre trattato in modo delicato e mai morboso. Terzo protagonista assoluto sono senza dubbio le Highlands con le sconfinate vallate, i cieli lattiginosi, la neve ed il vento sferzante; testimoni silenziose delle vicende umane e del tempo che trascorre inesorabile.

Premiato come miglior film al Torino Film Fest 2012, “Shell” è una pellicola drammatica che sa innervare una storia apparentemente inerte dell’irrequietezza della sua giovane protagonista.

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