di Girolamo Di Noto

Quando si guarda un film di Douglas Sirk, quando la luce si spegne e lo schermo si illumina sui primi titoli di testa, il desiderio di ritrovarsi e di riconoscersi nel sogno del regista si aggiunge a quello di perdersi, di non sapere più dove ci si trova. La forza ipnotica di un grande film non rende lo spettatore anonimo e passivo, ma lo avvicina a tal punto da farlo svanire nel buio fino a farlo diventare protagonista.

Tratto dal romanzo Oggi si vola di William Faulkner (che considerò la sceneggiatura di George Zuckermann il miglior adattamento cinematografico di un suo testo), Il trapezio della vita è una storia che affascina e seduce pur essendo impregnata di cupo pessimismo. Burke Devlin (Rock Hudson), giornalista a caccia di scoop, entra in contatto con un pilota pluridecorato della prima guerra mondiale, Roger Schuman (Robert Stack), che si procura da vivere con pericolose gare acrobatiche. Frequentando il pilota e sua moglie Laverne (Dorothy Malone), Burke si innamora della donna e al contempo scopre la vera natura del rapporto tra i coniugi.

In un malinconico bianco e nero, Sirk realizza un film a metà tra il melodramma e l’avventura: se da un lato i voli, le gare aeree restano dei vuoti rituali che non perseguono altro scopo che il rischio e il desiderio incondizionato e inutile di aggrapparsi a un’identità che vive i momenti felici solo nei ricordi, dall’altro i sentimenti dei protagonisti dispiegano nella loro lacerazione e incompletezza tutta la loro rappresentazione.

Le anime “offuscate” di questi personaggi (The Tarnished Angels è il titolo originale del film) portano con sé invidia, frustrazione, fallimento, sono anime mangiate dalla paura, vittime di un destino oscuro o, se pensiamo alla donna, seducente e infelice, di un colpo di dadi. Attorno alla figura di Dorothy Malone si concentra tutto questo esacerbarsi dei sentimenti, queste tensioni d’amore spente dall’amara realtà, tutto il melò irresistibile che ha reso famoso Sirk.

La donna è fonte di attrazione e repulsione: è trascurata dal consorte eroe dell’aria che è più innamorato del suo aereo che della moglie, ha lasciato un rimpianto, che di volta in volta viene alimentato perché impossibile da cancellare, al meccanico Jiggs (Jack Carson) che l’ha persa ai dadi, nella scena memorabile in cui la donna rivela di aspettare un bambino, fa perdere la testa al giornalista che, nel corso della storia, non si affeziona solo al suo articolo e, infine, ad un milionario cui il pilota promette quello che mai avrebbe dovuto promettere pur di avere in cambio un nuovo aereo per continuare a gareggiare.

Il regista è abile nel riuscire a ricavare dal volto di un attore una complessità tormentata, una cupa e fredda disperazione. Personaggi disillusi che ricordano Gli spostati di Huston, che cercano rifugio e nostalgia in tempi ormai svaniti, dimessi e destinati a vivere nell’ombra e costretti a reprimere i propri sentimenti o a battersi contro un conformismo ipocrita e imperante. Ne Il trapezio della vita Sirk riesce ad imprimere il suo tocco raffinato, è straordinario con l’uso sapiente delle luci a mettere in scena fiammeggianti conflitti e, come i grandi compositori d’opera dell’Ottocento, è capace di attingere dagli intrecci passionali l’energia per la sua arte.

Fassbinder, che sarà uno dei suoi principali estimatori, scriverà nel 1971: “Nessuno di noi, né Godard né Fuller, né io né nessun altro, siamo alla sua altezza. Sirk ha detto che il cinema è sangue, lacrime, violenza, odio, amore e morte e ha realizzato film di sangue e lacrime, di violenza e odio; film di morte e amore”. Si è fatto cantore del tramonto degli ideali e dei sentimenti in un mondo decadente e ha saputo raccontare l’emozione profonda trasmessa dalla solitudine, che è sempre stata, insieme all’amore, una delle principali fonti di ispirazione del suo cinema.

Un cinema che ha visto il mondo del melodramma fondersi con quello della sofferenza e delle lacrime e soprattutto che ha messo in luce una riflessione seria sullo scatenarsi delle pulsioni e dei desideri e sulla transitoria rassicurazione di fronte alla bellezza della vita.

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