Little Sister, di Hirokazu Kore’eda (2015)

Di A.C.

Sachi, Yoshino e Chika, tre sorelle che condividono lo stesso appartamento e l’assenza di un padre, appena deceduto, che diversi anni prima ha abbandonato il tetto familiare per una nuova convivenza.
In occasione del funerale del genitore fanno la conoscenza della sorellastra quattordicenne, Suzu, con cui instaurano immediatamente un legame che porterà l’adolescente a convivere con loro.
Attingendo dalla graphic novel Umimachi’s Diary di Yoshida Akami, Hirokazu Kore’eda tramite un racconto esclusivamente al femminile riesplora un’altra volta i meandri del nucleo familiare, con i toni delicati e la forma pulita che contraddistinguono il suo cinema.

Se nell’appena precedente Father and son analizzava un complesso rapporto genitoriale, qui Kore’eda ritorna sui rapporti di fratellanza/sorellanza già precedentemente trattati in Nobody Knows. Ma laddove nell’opera datata 2004 inquadrava i risvolti tragici della totale assenza di figure di riferimento nella vita di quattro minori, in Little Sister si sofferma sulle conseguenze ormai maturate delle inadeguatezze genitoriali sui figli in età adulta.
E di qui il regista giapponese concede alle protagoniste il medesimo spazio, addentrandosi con delicatezza di sguardo nelle loro vite in una società che oscilla tra rigorose tradizioni e una modernità sempre più emergente.

Ed è infatti in questo equilibrio paradossale che le tre sorelle vivono la loro quotidianità, tra difficili relazioni sentimentali, precarietà professionali, ritrovi della piccola comunità e i fantasmi di un’infanzia in cui il padre fedifrago e fuggiasco ha lasciato un segno indelebile.
E l’arrivo della sorellastra Suzu rappresenta lo sconvolgimento di questi equilibri, ma in maniera tutt’altro che ostile, dal momento che seppur incarnando (incolpevolmente) il sofferto delle tre sorelle, restituisce loro quel tassello mancante all’interno delle loro vite e permettendo così di trovare un legame di comunanza nel dolore della perdita e dell’assenza.

La macchina da presa di Kore’eda si muove sempre con fare discreto pedinando le sue protagoniste senza però risultare invadente e ossessivo, pur magari peccando di una certa prolissità in diverse fasi del racconto dove avrebbe probabilmente beneficiato di qualche minuto in meno.
Considerato impropriamente  come una rimasticatura in chiave soft delle tematiche dell’autore, Little Sister è invece una prospettiva del tutto diversa sulle dinamiche familiari, un elaborato microcosmo intimo dove i toni pacati e malinconici della narrazione lasciano trasparire il dolore anche dalla mancanza totale di violenza e da un’atmosfera di generale tenerezza.
Un’opera leggera di leggerezza solo apparente, capace invece di grandi consapevolezza e precisione nella delineazione dei rapporti umani.

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