The general (Come vinsi la guerra), di Buster Keaton e Clyde Bruckman (1926)

di Bruno Ciccaglione

A cavallo fra gli anni 10 e 20 del novecento, alle comiche delle “torte in faccia” – film di durata breve che si basavano su una mera sequenza di gag – anche il mondo del cinema comico, dopo quello classico di Griffith, fa seguire il salto verso una narrazione più strutturata e la produzione di lungometraggi. Sarà Chaplin, nel 1921 con Il monello, a trovare una nuova sintesi ed un equilibrio tra l’esigenza di una narrazione unitaria e la presenza di effetti esplosivi di comicità.

Buster Keaton arriverà al lungometraggio due anni più tardi, già perfettamente consapevole e padrone del mezzo e del linguaggio di quella nuova arte/industria che è il cinema. Del resto fin dai suoi primi anni, a fianco della principale star comica del tempo, Roscoe “Fatty” Arbuckle, emergeva tra loro – pur nella amicizia – una diversa idea di cinema: a “Fatty”, che teorizzava che il pubblico cinematografico abbia una psicologia “da bambino di 12 anni”, Keaton rispondeva che se così fosse stato il cinema non avrebbe avuto alcun futuro.

Quando aveva cominciato a dirigere i propri cortometraggi, aveva dunque già cominciato a lavorare in modo diverso e anche la costruzione del suo personaggio aveva trovato il suo equilibrio definitivo: se nei primi anni con Arbuckle lo si vede “recitare” come ogni altro attore (ridere e piangere, insomma), qui giungerà alla proverbiale serietà dello sguardo, che risulta tanto più efficace comicamente. “Mi è stato chiesto perché mantengo nei miei film una espressione particolarmente seria. La spiegazione è molto semplice. Sin dal mio esordio nel varietà ho potuto sperimentare che in un numero comico si riesce a far ridere tanto più quanto si resta indifferenti e quasi stupiti dall’ilarità del pubblico (…). In ultima analisi il film, per l’attore, è un’occasione per ‘fare l’idiota’: più sarà serio in questo e più risulterà divertente”, dirà qualche anno più tardi in una intervista.

Keaton dunque costruisce i suoi film staccandosi nettamente dalla comicità delle “torte in faccia”, costruendo personaggi e storie in ambienti sempre diversi e gag che hanno strutture complesse, che si duplicano, si replicano e si rovesciano nel corso del racconto – dando ad esso così una maggiore unità. Tutte queste caratteristiche sono esaltate in The general (Come vinsi la guerra), che sarà un fiasco dal punto di vista commerciale, anche se oggi è acclamato come uno dei suoi capolavori.

Il film, ambientato durante la guerra di secessione, è la storia di un macchinista delle ferrovie nel Sud, che nella vita, come precisa una didascalia all’inizio del film, ha due grandi amori: la sua locomotiva (che si chiama The General) e una ragazza (Annabelle), che gli vengono portati via e “sequestrati” insieme. Nel tentativo di liberare i suoi due amori, attraverso peripezie travolgenti riuscirà da solo a fermare l’attacco dell’esercito nemico, diventando un eroe. Nel più keatoniano degli happy end (quasi un ossimoro), il suo successo non gli garantirà di riavere né la sua locomotiva, né la sua ragazza. Sarà un ufficiale dell’esercito sudista, che può appena permettersi di baciare la sua ragazza, continuamente disturbato dal saluto militare che il suo nuovo ruolo gli impone verso la truppa.

È una visione del mondo, quella di Keaton, che ce lo rende particolarmente moderno e affascinante. Qui la guerra ci appare soprattutto come una girandola inutile, in cui il bene e il male non si capisce mai bene dove siano, in cui ogni evento si ribalta nel suo contrario: una minaccia che diventa un aiuto (il cannone che sta per colpirlo, grazie ad una curva si indirizza provvidenzialmente verso i nemici), un gesto stupido e ridicolo che diventa risolutivo (l’uccisione “per sbaglio” del cecchino nemico o il gesto frutto di imperizia militare che determina il trionfo nella battaglia finale).

Come ben descritto da Carmelo Bene, nel cinema di Keaton è come se sul pianeta terra non ci siano eroi negativi o positivi (del resto non sono ben definiti il bene e il male… ) e la superfice sia “completamente unta di sapone. E si scivola, si scivola, si scivola continuamente”. Ogni tanto, suggerisce Bene, perfino nel suo cinema “tutto sta in piedi”, ma si tratta di fugaci momenti, di bravura, di grandezza. Ma Keaton, nella lettura affascinante e suggestiva che ne fa Carmelo Bene, non ne approfitta per edulcorare la sua visione del mondo, per suggerire ci sia un ordine e un senso nella vita e nel mondo. In questo senso Keaton sarebbe l’anti-Chaplin per eccellenza. Se sia questa la ragione di fondo del maggiore e più duraturo successo di quest’ultimo, resta un tema di discussione. Certamente Keaton sconterà maggiormente poi il passaggio al cinema sonoro. Ma i suoi film restano come una delle vette più grandi della storia del cinema.

Il film è disponibile su You Tube

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