Parenti serpenti, di Mario Monicelli (1992)

di Greta Boschetto

Parenti serpenti è un film del 1992 diretto da Mario Monicelli con Marina Confalone, Alessandro Haber, Monica Scattini, Paolo Panelli, Pia Velsi, Eugenio Masciari, Cinzia Leone, Tommaso Bianco e Renato Cecchetto.

Nevica a Sulmona, un piccolo paese in Abruzzo. C’è la tavola imbandita, la Tv accesa con Mike Bongiorno, la messa di mezzanotte a cui andare, le pellicce “della festa” tirate fuori appositamente dall’armadio: “certo che questo Natale è proprio venuto con tutti i crismi” dice Milena. Eh, già. La famiglia, i ritrovi tra i parenti, il calore del focolare. Ma cosa si nasconde dietro tutti quei sorrisi e quegli abbracci? 

È la Vigilia di Natale e nella grande casa di due anziani genitori (Saverio e Trieste) arrivano i quattro figli, due maschi e due femmine, tre sposati e uno single, con i rispettivi figli a seguito, per passare insieme le settimane delle festività natalizie e di capodanno. 

Tutto sembra apparentemente scorrere liscio, la cena della Vigilia con i soliti rituali, la partita a carte, il capitone da preparare per il giorno dopo, le frasi fatte, il servizio buono. Ma il pranzo di Natale arriva e quelle che prima erano solo sfumature, accenni di crepe, ora sono pronte ad esplodere: mamma Trieste non se la sente più di vivere lontano dai figli e decide che qualcuno (toccherà a loro decidere chi) dovrà ospitare lei e il marito, per vivere serenamente gli ultimi anni della loro vita. 

Ecco qua, l’imprevisto, una di quelle frasi da repertorio che in una qualsiasi riunione famigliare potrebbe scatenare l’inferno. A chi toccheranno gli oneri e gli onori di avere in casa gli anziani genitori? La notizia genera scompiglio tra i figli, i quali si confronteranno come in un vero campo di battaglia, portando a galla segreti, invidie, gelosie e rancori, in una grottesca umana follia a cui più o meno tutti almeno una volta abbiamo assistito. 

È questa la magia (nera) di Parenti Serpenti: descrive l’italianità in modo così riconoscibile da rendere quella famiglia la nostra stessa famiglia, veniamo catapultati dentro lo schermo e siamo lì con loro, in quella casa dalle mille stanze e dai lunghi corridoi, la tipica casa dei nonni un po’ strana e un po’ magica. 

Il film, tratto dall’omonima pièce teatrale dello scrittore Carmine Amoroso, riadattato per il cinema da lui stesso e supportato da un gruppo di sceneggiatori di altissimo livello (Suso Cecchi D’amico e Piero De Bernardi), si presenta non solo come un ferocissimo attacco ai valori della famiglia piccolo borghese ma anche a quella vita di provincia italiana, chiusa e bigotta, che non consente altri svaghi oltre che i pettegolezzi (acutissima e divertente la “sfilata” delle lingue taglienti del paese davanti alla chiesa). 

L’impostazione della regia mantiene intatta la forma teatrale della storia, e molti hanno criticato Monicelli proprio di non aver apportato invenzioni di rilievo rispetto alla pièce teatrale: ma molti hanno dimenticato che Monicelli era un grande artigiano del romanzo popolare e in questo caso non dovette fare altro che dirigere impeccabilmente una storia che sembra confezionata apposta per lui, con un cast di attori perfetti nei loro ruoli. 

Nessuno si salva in questo gioco al massacro e Monicelli sfrutta sapientemente il consueto repertorio della commedia italiana (le macchiette, i regionalismi, la sessualità) non per rendere più leggero il dramma a cui poco a poco assistiamo, ma per caricarlo di una violenza grottesca riuscitissima e tanto cara al regista. 

La vita, quella vera, non smette di esistere il 24 dicembre per regalarci un Natale da sogno, nella vita vera non ci sono solo famiglie felici, tutte uguali, da pubblicità: ed è per questo che questo film di Monicelli non stanca mai, perché ci regala un cinico e potente ritratto di qualcosa di conosciuto e ci fa sentire meno soli. 

E infatti ora, ai giorni nostri, mentre ci avviciniamo sempre più al periodo natalizio e sui social impazzano foto e video di famiglie felici, canti, maglioni con le renne, dichiarazioni d’amore esasperate, è bene ricordare questo grottesco e cinico capolavoro. Chi lo critica forse ha paura di ammettere la verità, ovvero che in Italia siamo grotteschi: il terrore dello specchio purtroppo ci ha tolto l’autoironia e le grandi pellicole che costellavano il cinema italiano degli anni ‘60 e ‘70, per fortuna con ancora delle eccezioni, come questo Monicelli. 

Aveva davvero ragione Tolstoj nel dire che “tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Alcune storie finiscono bene, alcune male, mentre altre… col botto. 

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3 risposte a "Parenti serpenti, di Mario Monicelli (1992)"

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