Francesco di Assisi, film tv di Liliana Cavani (Italia/1966)

di Girolamo Di Noto

Accostarsi a Francesco di Assisi, il primo film di Liliana Cavani, trasmesso dalla Rai e andato in onda in due puntate il 6 e l’8 maggio 1966, pone innanzitutto la necessità di fare i conti con l’ondata di reazioni che il film suscitò alla sua uscita. Ottenne un grande successo, ma venne etichettato come “eretico, blasfemo e offensivo per la fede degli italiani ” e subì un’interpellanza parlamentare del MSI soprattutto per il modo originale di rappresentare il santo.

Cosa c’era di particolarmente ‘scandaloso’ nella figura di Francesco? Era la prima volta che Francesco non aveva la faccia da ‘santino’, né parlava da sant’uomo. Era la prima volta che Francesco veniva spogliato di tutte le favolette della tradizione agiografica e rappresentato come uomo tra gli uomini, un giovane che non sa decidersi su cosa far di sé e che pian piano scopre la sua umile vocazione sottraendosi al mondo agiato, rifiutando categoricamente l’integrazione in una realtà borghese rappresentata dal padre.

A tutto ciò poi si aggiunge l’attore che era stato scelto per interpretarlo: Lou Castel. Era stato un anno prima Alessandro, paranoico ed epilettico protagonista de I pugni in tasca di Bellocchio, opera dissacrante che metteva in risalto la rabbia, l’istinto di ribellione, la violenza con cui si regolavano i conti con i padri, dunque era ritenuto un volto decisamente più spregiudicato rispetto alla tradizione iconografica di santi e uomini di fede.

Il film, va ricordato, andò in onda soltanto grazie a Monsignor Francesco Angelicchio, allora dirigente del Centro Cattolico Cinematografico ( che aveva peraltro difeso il Vangelo di Pasolini) che se ne assunse la responsabilità. Di fatto, nell’omettere la qualifica di santo, è subito manifesta la volontà da parte della regista di concentrare il proprio sguardo sulla storia dell’uomo.

La figura di Francesco rivive attraverso le varie fasi che hanno contrassegnato la sua esperienza. All’inizio vive la spensierata esistenza del figlio di papà in un ambiente elitario, protetto dal ricco Pietro Bernardone (Giancarlo Sbragia). Ma è un ragazzo pieno di inquietudini: tenta senza convinzione varie strade, dal mestiere delle armi alla mercatura, finché un giorno, nella chiesa di San Damiano, trova un Vangelo ed è come folgorato da un invito di Gesù: “Lascia tutto e seguimi”.

Rinuncia ad ogni avere e comincia a vivere in povertà, entrando in contrasto con il padre. Attorno a lui si raccoglieranno sempre più seguaci e anche il Papa Innocenzo III, convinto della buona fede di Francesco, non esiterà ad approvare la Regola. La sua scelta di vita dapprima ostacolata e derisa, comincia a poco a poco a far breccia nel cuore degli amici più cari, eppure non sempre le regole saranno accettate e il suo ostinato rifiuto di modificare la regola della comunità, modellata sul Vangelo, susciterà dissensi e malumori.

Morirà nel 1226, “in terra…nudo…”. Le ultime parole che sussurra Francesco agli amici prima di morire: “Aiutatemi…in terra…nudo” rispecchiano pienamente come la sua sia stata una vita di straordinaria bellezza, di estrema concretezza, irripetibile in cui la fisicità del suo corpo, l’essenzialità dei suoi gesti, la scelta di denudarsi per seguire come unica virtù evangelica la povertà, la paupertas a discapito della superbia, lo hanno reso un homo novus, un appassionato uomo d’azione.

Girato con uno stile asciutto, efficace, giustamente definito “francescano”, il film della Cavani segue il personaggio nei suoi esempi concreti, un uomo che ama insegnare attraverso i suoi gesti piuttosto che con le parole. Quando Francesco coglie i compagni che si abbuffano senza badare al mendicante sopraggiunto, il suo rimprovero è silenzioso, è diventato egli stesso un mendicante, fa del suo gesto il vero rimprovero. Quando a Bologna scopre che un gruppo di frati colti nell’otium vive in una casa “vera”, sale sul tetto e inizia a demolirlo e solo allora parla.

Le sue azioni lo porteranno a trasformarsi da cavaliere ozioso in soldato di Cristo: coperto solo da un saio grezzo, Francesco inizia a restaurare chiese abbandonate, viaggia in Oriente, insegue la sua più intima ispirazione attraverso un eccezionale senso di concretezza che viene documentato in ogni azione che compie, dal togliersi i sandali allo spezzare il pane, fino al gesto estremo che attua al termine del processo, intentato dal padre che lo cita in giudizio per ribellione all’autorità paterna e dissipazione, quando si sveste e restituisce tutto quello che ha dicendo: “Ecco la tua roba. D’ora in poi potrò solo dire: Padre mio che sei nei cieli “.

Nel film della Cavani il corpo assume accezioni diverse, si fa portatore di significati molteplici: Francesco lo usa, nudo, per decretare la sua estraneità al mondo che lo circonda, diventa luogo di violenza quando pensiamo al corpo scuoiato dell’eretico, o a quello segnato del lebbroso, si dissolve con la nuda terra quando giace morente nel commovente finale, si fa umile tra i reietti e i diseredati quando entra in contatto con una povertà che non è una categoria astratta, ma una realtà convulsa di dolore e disperazione.

La Cavani è abile nel tratteggiare la povertà concentrandosi soprattutto sui dettagli di mani e visi segnati da stanchezza e miseria. Significative sono le prime sequenze che si soffermano nel laboratorio del padre Pietro in cui emerge una fila di operai intenta al lavoro in uno stanzone spoglio e poco illuminato. La scenografia spoglia, l’incessante battere dei telai, il sorvegliante che bastona un uomo per una pezza rovinata, gli occhi di un bambino intenti a svolgere una matassa danno vita ad un ambiente medievale, purtroppo ancora attuale, grigio, povero e angusto in cui a dominare la scena è l’imprenditoria borghese simboleggiata dal padre di Francesco che, al contrario del figlio, conosce- l’altra faccia della medaglia della concretezza – solo le regole del “chi rovina la roba paga” e dell’utilità che poco ha da spartire con i dettami religiosi, ma che manifesta la preoccupazione di occuparsi solo del proprio tornaconto: “Gli eretici in fin dei conti non costano niente e come paga si accontentano del vitto. Vorrei avere centinaia di operai così “.

All’opportunismo messo in atto dal padre si oppone la visione di vita di Francesco, ovvero quella che crede è solo nella gratuità dell’amore, nella sovrabbondanza del dono che si può trovare riposo. Con poche regole di fraternità e un immenso amore per gli uomini, Francesco arriva a contestare l’autorità istituzionalizzata rappresentata dal padre mettendo in atto una dignitosa umiltà e quando sarà avversata ribatterà che “scandalo è la sofferenza della gente, la fame”.

Quello che avrà sconcertato e fatto gridare allo scandalo i denigratori di questo film probabilmente sarà stato l’aver visto nella figura di Francesco un personaggio dominato dalla “istanza sociale”, un rivoluzionario, un arruffapopolo. Francesco sembrò una specie di utopista o di beatnik in anticipo sui tempi: nella realtà il Francesco della Cavani sarà un giovane inquieto e intento a cercare rapporti genuini tra sé e il mondo.

Adottando una chiave del tutto laica e terrena, la regista esalta del personaggio soprattutto la sua scelta coraggiosa che abbraccerà indigenza, fame, cruda sofferenza e avverrà gradualmente così come l’avvicinamento alla vera fede si farà sempre più vivido attraverso piccoli passaggi fino a diventare intenso nella scena in cui il volto di Francesco incontra quello di Cristo nella chiesa di San Damiano.

Nel suo peregrinare solitario e meditabondo l’entrata nella chiesa, la pagina del Vangelo sull’altare, la torcia che illumina un Cristo che sembra vivo, con gli occhi aperti, il corpo eretto, sembrano dare rigenerazione al giovane protagonista, forza e fede. Seguirà alla lettera il Vangelo, si batterà contro la vanità e la sopraffazione, si spoglierà e si libererà di ogni cosa che possiede con una travolgente risata, espressione più evidente del crollo delle gerarchie sociali.

Francesco di Assisi resta ancora oggi un’opera prima di grande effetto, senza l’apporto degli effetti speciali: la Cavani non vede il personaggio avvolto dalla leggenda, non vede raggi di luce che scendono dal cielo, ma un uomo immerso nelle proprie azioni a far del bene, un pellegrino della giustizia, un cavaliere solitario, generoso fino all’estremo, un uomo tra gli uomini, uno dei tanti che popolerà il cinema della regista carpigiana, un cinema esploratore di storie e personaggi importanti che prendono corpo all’interno di immagini potenti.

Il film è disponibile su Raiplay

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