di Bruno Ciccaglione

“Ma se Mocciolo vi rubava sempre i soldi, perché continuavate a farlo giocare?”
“Dovevamo, questa è l’America!”
Se alla sua uscita all’inizio del secolo The Wire fu accolta positivamente ma senza entusiasmi particolari, né ricevette premi e riconoscimenti, con il passare degli anni è cresciuta la consapevolezza che si trattasse di una delle serie più belle di sempre, forse perché nell’arco delle sue cinque stagioni – ben oltre la messa in scena di una serie poliziesca ambientata nella città di Baltimora – ha saputo offrire una rappresentazione impietosa delle contraddizioni degli Stati Uniti e in generale del capitalismo contemporaneo.

La serie nasce dalla penna di David Simon, ex reporter di cronaca nera per il Baltimore Sun, autore di un libro basato su quella esperienza, che poi assieme a Ed Burns (ex detective della omicidi e poi insegnante, sempre a Baltimora) lavorerà per quasi un anno alla scrittura della prima stagione, che sarà dedicata alla “War on drugs”, cioè alle tanto sbandierate, quanto inefficaci, politiche di contrasto alla droga.
A partire dal quadro crudo che offre di quanto accade al livello della strada, tra spaccio, gang criminali e polizia che tenta di contrastarle, il racconto sa però offrirci continue incursioni ai “piani alti” della città (la sua burocrazia, la sua classe politica, il sistema dei media), sia seguendo la “catena gerarchica” delle forze di polizia, sia mostrando le connessioni tra ciò che avviene in alto e ciò che avviene in basso. Come c’era da aspettarsi e come paventavano i più avveduti dei dirigenti della polizia all’inizio della inchiesta che andrà avanti in pratica lungo le 5 stagioni, “se segui la droga, troverai degli spacciatori, ma se segui il denaro, non puoi sapere dove ti porterà”.

Al realismo della rappresentazione (ottenuto combinando il gergo del mondo criminale di Baltimora all’utilizzo di molti attori non professionisti per molti dei personaggi minori, la costruzione di molti dei personaggi a partire da persone realmente esistenti che gli autori avevano personalmente conosciuto) si aggiunge una chiara visione di ciò che è avvenuto e avviene nella società americana.
La profondità di analisi che guida la scrittura di David Simon si rivelerà ancora più chiaramente negli anni successivi, con la realizzazione di altre serie di grandissimo valore come Treme, The Deuce e The Plot Against America. La rilevanza del lavoro dello scrittore nel dibattito pubblico è tale che Simon sarà protagonista nel 2015 di una conversazione pubblica molto interessante con il Presidente Obama (che si dichiara un fan di The Wire e che mostra di conoscerla perfettamente) in cui i fallimenti della “guerra alle droghe” sono sottolineati da entrambi gli interlocutori e dove si analizza con onestà il combinato disposto tra di essa e la mancanza di politiche sociali. Simon dice chiaramente che con The Wire voleva sottolineare il paradosso del paese simbolo della libertà, che però è anche il paese che al mondo incarcera il più alto numero dei propri abitanti. Le politiche realizzate si sono tradotte, spiega l’autore di The Wire, in una guerra senza quartiere alle classi subordinate e in particolare agli afroamericani.

Da un punto di vista formale è interessante sottolineare che pur trattandosi di una serie poliziesca, la scrittura è diversa da quella che è poi prevalsa nelle serie mainstream. Non c’è un nuovo caso da risolvere ad ogni episodio, anzi il racconto è unico e pensato come unitario e di ampio respiro, come avviene in un romanzo, di cui gli episodi sono i capitoli. Ogni stagione di The Wire è composta da una decina di episodi che costruiscono diverse narrazioni a più livelli. Simon ha scelto questa struttura con l’obiettivo di creare lunghi archi narrativi che attirino in questo modo gli spettatori e diano luogo a un finale più soddisfacente.

La parola e i dialoghi sono spesso importantissimi per cogliere l’evolversi della vicenda (non a caso ogni episodio si apre con la citazione di una frase che uno dei personaggi dirà durante l’episodio stesso). Eppure ci sono episodi in cui alcune scene sono costruite soltanto attraverso le azioni dei personaggi (eccezionale il sopralluogo di McNulty e Bunk in un appartamento dove è stata uccisa una ragazza – S01E04 -, in cui la ricostruzione della dinamica del delitto è fatta tutta attraverso le azioni e le simulazioni dei due investigatori, che continuano a ripetere soltanto la parola “cazzo!” man mano che ci svelano quanto avvenuto). Nessun episodio in tutte e cinque le stagioni si conclude con un “gancio”, come in gergo si chiama la sospensione di una situazione di pathos, per motivare lo spettatore a vedere l’episodio successivo.

Anche nella descrizione dei personaggi The Wire volutamente si distacca dai cliché del genere: non ci sono eroi – forse il solo eroe è l’eroe negativo Omar, non a caso citato anche da Obama come il suo personaggio preferito – anche i più bravi dei poliziotti sono spinti non tanto dalla sete di giustizia, quanto dalla vanità di chi vuole innanzitutto dimostrarsi più furbo dei criminali cui dà la caccia; anche se diversi poliziotti mostrano delle qualità positive e un certo altruismo, molti altri sono mostrati in tutta la loro incompetenza e brutalità; la burocrazia e la politica non fanno che ostacolare il successo delle indagini e anzi a volte le ostacolano apertamente.
La complessità e la ricchezza del racconto si estende in ciascuna stagione mettendo al centro un tema principale per ognuna di esse: nella prima stagione abbiamo da un lato un gruppo di poliziotti e dall’altro l’organizzazione criminale guidata dalla famiglia Barksdale, che si dedica allo spaccio di droga nella zona delle case popolari di Baltimora. Le modalità con cui è organizzato lo spaccio e l’organizzazione criminale sono molto sofisticate, i criminali si danno e rispettano scrupolosamente delle regole, in modo molto simile a quanto avviene con organizzazioni di criminalità organizzata e per chi abbia visto The Wire non si può non notare come la prima serie di Gomorra gli somigli davvero molto.

Nella seconda stagione il fuoco è sul porto di Baltimora – luogo per eccellenza da cui arrivano e partono merci di ogni tipo, legalmente o meno – ma lo sguardo è dominato dal racconto della crisi del mondo del lavoro, con protagonisti gli operai addetti a carico e scarico delle merci e la storia si concentra sullo scivolare verso la povertà di questa classe sociale, che inevitabilmente porta a far intrecciare i destini di questi lavoratori con quelli dei criminali che gestiscono la droga.
Nella terza stagione si torna sulle strade, ma si approfondisce meglio la relazione tra il sistema politico e le sue scelte e ciò che avviene nei quartieri popolari. La frustrazione della assoluta inutilità e anzi dannosità delle politiche realizzate porterà all’incredibile esperimento della creazione di una piccola “Hamsterdam” (così viene storpiato sulla strada il nome della città olandese), in cui il Maggiore Colvin legalizza di fatto lo spaccio in un’area limitata e ottiene così una riduzione drastica dei crimini (ma le autorità non gradiranno…). Lo spaccio in città non risulterà certo intaccato dai limitati successi degli investigatori.

Nella quarta stagione al centro della serie c’è il sistema scolastico da una parte e la corsa alla poltrona di sindaco dall’altra in un contesto di drastici tagli alla spesa. Pubblica, mentre la competizione sul mercato della droga porta a una recrudescenza di violenza sulle strade.

La quinta stagione mette al centro i mass media portandoci dentro la redazione di un quotidiano. Come ha chiarito Simon, qui ci si concentra sulle storie che vengono pubblicate e quelle che non vengono pubblicate. La crisi della carta stampata viene affrontata dai media con un crescente sensazionalismo e allontanandosi sempre più dalla nobile funzione della stampa. In una realtà così contraddittoria e assurda, sarà preferibile per molti inventare di sana pianta la presenza in città di un serial killer di senzatetto (con l’abile regia dei poliziotti McNulty e Freamon), perché questo da un lato sbloccherà i fondi per la polizia e dall’altro darà un po’di ossigeno ai giornali in crisi.

Questa metafora degli Stati Uniti d’America nel primo decennio degli anni 2000, attraverso una delle città a maggiore densità di afroamericani si conclude con un montaggio in cui ci viene mostrato ciò che accade ai personaggi principali: qualcuno farà carriera, qualcuno va in pensione, qualcuno continua a farsi di eroina, qualcuno sconta la sua pena in carcere: la vita dei cittadini di Baltimora continua come prima.
Le 5 stagioni di The Wire sono disponibili per lo streaming sulla piattaforma Now Tv.
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