La storia della celebre poetessa statunitense Emily Dickinson raccontata con eleganza e grazia visiva dal regista Terence Davies rievoca, fa venire in mente la figura dell’ albatro di Baudelaire, l’uccello marino che, quando viene catturato dagli uomini dell’equipaggio, non è più ” il principe dei nembi”, sovrano dell’azzurro, ma diventa impacciato, goffo, ridicolo, fuori dal proprio contesto naturale. Baudelaire paragona l’alato viaggiatore al Poeta: ” Al principe dei nembi il Poeta somiglia:/ abita le tempeste e dell’arciere ride, / esule sulla terra, in mezzo a ostili grida, / con l’ali da gigante nel cammino s’impiglia”.
Il regista, nel descrivere la vita della Dickinson, da quando era una giovane studentessa fino agli ultimi giorni della sua vita, dà voce ad un personaggio che, nel corso della sua esistenza, è stata “esule sulla terra “, impigliata nelle convenzioni sociali e dalle quali è riuscita a districarsi grazie ad un carattere ostinato e puro che non ha mai accettato compromessi e poi soprattutto attraverso la forza della poesia che le ha permesso di dischiudere altri mondi, che le ha consentito di guardare sotto la superficie delle cose e di elevarsi caricando d’inesauribile meraviglia scene di vita quotidiana, osservandole da una prospettiva diversa, più misteriosa. Ha usato la poesia come riflessione costante sul mondo e i versi recitati in voce off che accompagnano spesso le immagini sottolineano tale aspetto. Nello stesso tempo però questa ribellione alle convenzioni sociali, questo anticonformismo audace rispetto soprattutto all’ambiente puritano del tempo hanno lasciato un prezzo non certo indifferente da pagare: la solitudine e il sentirsi straniero nel mondo. Si avverte sin dalle prime scene come il regista voglia sottolineare da un lato questa strenua resistenza della poetessa di fronte alle tendenze della società a cui appartiene e dall’altro la solitudine che ne consegue.
Diversi esempi si possono citare: la sequenza in cui Emily è ripresa in mezzo alle allieve del collegio e poi sola al centro della stanza perché non è convinta di darsi a Dio per salvare l’anima, Emily che guarda gli altri dietro la porta, dietro una finestra, il suo rapporto con il padre e la comunità di Amherst, il colore bianco delle sue vesti, l’ambientazione quasi tutta in interni, la necessità di avere ” una stanza tutta per sé “. Un film che sa mescolare bene gioia di vivere, libertà interiore e tormento dovuto alla consapevolezza di muoversi tra la vanità delle illusioni e il deserto della vita, che sa tratteggiare la figura della poetessa, magistralmente interpretata da giovane da Emma Bell e da adulta da Cynthia Nixon, con garbo e delicatezza e che sa- e qui Davies è maestro- raccontare l’inesorabile trascorrere del tempo con profonda suggestione attraverso il ticchettio del pendolo, i volti che si invecchiano, le persone che si sposano o muoiono, una bandiera sbrindellata. A troneggiare restano però sempre i suoi potenti versi: ” Il presagio è quell’ombra che si allunga sul prato/ indice di tramonti/ ad avvertire l’erba sbigottita/ che su lei presto scenderà la notte”. La Dickinson seppe estrarre dalla sua contemplazione solitaria una potenza creativa ancora oggi moderna e invidiabile: in un tempo come il nostro, in cui l’umanità sembra sempre più accartocciata verso frivole apparenze, la voce intensa e immediata della poetessa diventa necessaria e indispensabile per tenere lontane ” le ostili grida” e il frastuono del mondo.
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