Tito e gli alieni, di Paola Randi (2017)

di Andrea Lilli

Chi sono gli extraterrestri? Si sa: quelli che prima o poi (ri)sbarcheranno dai dischi volanti, come da tempo previsto all’Area 51, Nevada. O ci credi, o non ci credi. Paola Randi ci crede. Perché extraterrestri sono pure coloro che non sono più sulla faccia di questo pianeta, e di questi ognuno ha i propri.
Dopo Il bene mio di Pippo Mezzapesa, la rassegna “A tutto schermo” organizzata dalla Rete degli Spettatori nella regione Lazio, che termina oggi, ci propone un altro film sull’elaborazione del lutto. Stavolta un racconto leggero e veloce. Due qualità che, volendo cercare sponsor illustri, sono le prime descritte nelle ‘Lezioni americane’ di Italo Calvino: la leggerezza del poeta che si solleva sulla pesantezza del mondo e della morte, e la rapidità dello stile e del pensiero.

Il film è infatti agile, disinvolto nel mescolare ingredienti assai diversi. Paola Randi – presente in sala – in effetti non è solo una regista: è un melting pot, un calderone umano magmatico in cui coesistono e fondono cose apparentemente incongrue fra loro. Di Venezia e Palermo i genitori, lei milanese ha fatto un film in napoletano e in americano, una commedia pseudofantascientifica sui fenomeni paranormali, in cui si ride e ci si commuove, sulla morte ma divertente, film femminile ma imperniato sui sentimenti di un uomo, ben interpretato da Mastandrea.
In questa fantasmagorica cornice, la trama è quasi banale, per quanto singolare. Uno scienziato napoletano da sei anni vive solo, confinato nei suoi ricordi e nell’Area 51, cercando un contatto interstellare con gli alieni, e uno ancor più improbabile con lo spirito di Linda.
Un giorno gli piombano due nipoti, scomodo lascito del fratello, che
sconvolgono la sua vita solitaria nel deserto, spolverandola e rigenerandola.
Echi di Bagdad Cafè (Out of Rosenheim), più che di The Sixth Sense o altri film seriosi sulle esperienze occulte.

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