Un’Avventura. Mogol e Battisti non passano mai di moda.

un'avventura

Non sarà
Un’avventura
Questo amore è fatto solo di poesia
Tu sei mia
Tu sei mia
Fino a quando gli occhi miei
Avran luce per guardare gli occhi tuoi

(“Un’avventura”, Lucio Battisti)

Se da una parte è in sala Il primo re di Matteo Rovere che imbarca il cinema italiano verso le grandi narrazioni epiche e dark, dall’altra si afferma sempre di più un genere altrettanto poco italiano e tipicamente americano: il musical. Un’Avventura non è il primo film musicale italiano degli ultimi tempi (pensiamo a Riccardo va all’inferno o al successo di Ammore e malavita) ma ha una sua caratteristica certamente peculiare: rendere omaggio a una parte sacra del repertorio musicale italiano, le canzoni che hanno visto la fusione artistica dei due geni della canzone italiana: Battisti e Mogol. Un’iniziativa audace che non può non richiamare alla mente il grande meraviglioso corrispettivo americano, Across the Universe, che nel 2007 compì la stessa operazione con il repertorio dei Beatles, ed inevitabilmente si pone come punto di riferimento per Un’Avventura.

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Matteo (Michele Riondino), un aspirante musicista, è innamorato di Francesca (Laura Chiatti), ma nonostante lei lo ricambi il suo desiderio di emanciparsi e conoscere nuove realtà la spinge a fuggire dalla vita provinciale che li accomuna, girando il mondo per cinque anni. Quando torna è una donna rinata e porta con sé il vento del progresso e della libertà. Sulle note delle intramontabili canzoni di Battisti e Mogol assistiamo alle tante fasi del loro amore, fatto di ricongiungimenti, separazioni, crisi e perdono.
Recitazione, canto, ballo. La sfida era nel trovare equilibrio e credibilità nell’interazione tra queste arti. Pertanto è stata costituita una squadra affiatata di professionisti, che comprende Luca Tommasini per le coreografie e Pivio e Aldo de Scalzi per arrangiamenti e musiche originali. Il regista è Marco Danieli ( La ragazza del mondo) e la sceneggiatrice, colei che per prima ha lavorato sul progetto, Isabella Aguilar (Dieci inverni). Non è mancato il consulente d’onore, Mogol ovviamente, gioviale nello spiegare il significato dei suoi testi e le fonti di ispirazione, perché lui quando scrive si attiene alla vita, la sua o quella di altri che ha conosciuto.

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In Un’Avventura sono presenti tanti, anche se logicamente non tutti, dei brani di Mogol e Battisti, ed ognuno è stato scelto per la sua coerenza narrativa nei confronti della trama principale, a sua volta però definitasi su di essi, in un reciproco gioco di scambio. L’integrazione tra i momenti di canto e quelli recitativi è riuscita e sono stati adoperati diversi approcci per costruire le scene cantate. È evidente che come in tutti i musical quando parte la musica si rinuncia a pretese di realismo, ma questo avviene con gradi diversi: l’astrazione è più forte quando musica e danza sono totalmente svincolate dalla diegesi, come nel caso di Laura Chiatti che inizia a ballare e cantare in tribunale, mentre è in un certo senso più debole quando musica e soprattutto danza trovano una loro ragion d’essere nella trama, come nella scena del tango. Non mancano riferimenti a capolavori del genere: la giovane comitiva hippy che danza sulla spiaggia nella più assoluta libertà cantando Uno in più ci riporta al mondo new age di Across the Universe; la scelta di arrangiare Non è Francesca come tango, danzato da ballerini mentre il protagonista affronta un lacerante momento di gelosia è un’evidente citazione del tango Roxanne di Moulin Rouge! Ovviamente non manca la canzone che da il titolo al film, reinterpretata anche da Diodato, alla sua prima esperienza cinematografica.

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Regia e fotografia non rendono abbastanza giustizia al materiale musicale, la cui bellezza non è purtroppo supportata da uno stile cinematografico di livello né da una sceneggiatura che si allontani dal mediocre e banale. Le scene più riuscite sono quelle di canto e ballo, ma la profondità dei testi di Mogol e quell’intensità espressa dalla voce sofferente di Lucio Battisti, sono solo un vago miraggio. Una canzone come Io vivrò (senza te) avrebbe meritato più rispetto, invece l’effetto è troppo caricaturale, così come l’espressività di Riondino, adatto vocalmente, ma che fornisce un’interpretazione discutibile. La differenza con la cinematografia straniera si sente eccessivamente e sembra di trovarsi al confine tra una fiction televisiva e un vero musical. Ci sono dei grossi limiti dunque, ma è comunque un buon punto di partenza e un piacevole tributo musicale che non esclude un percorso esistenziale fatto di dolore, dove l’amore puro si impone solo passando sui cadaveri di altre storie sentimentali e soffrendo. Non è esclusa dai produttori la possibilità di un sequel, che narrativamente non è affatto necessario, ma potrebbe racchiudere quelle canzoni che sono state escluse, a partire dalla sublime Emozioni. Anche se sarebbe bello farlo reimpostando il film da zero e osando di più.
Corinne Vosa

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