È il giorno 28 dicembre 1895, a Parigi. Al Théâtre de la Renaissanceun’ormai affermata Sarah Bernhardt sta recitando in “La Principessa lontana”, opera in versi dello sfortunato scrittore e sceneggiatore Edmond Rostand, autore dal grande talento ma poco apprezzato. Un audace movimento di macchina passa in mezzo ai palchi mostrando volti annoiati e persone in procinto di lasciare il teatro. Lo sguardo della macchina le precede in strada, salendo per dare una totale sulla città e inquadrando per pochissimo tempo la Tour Eiffel. Dopodiché riscende velocemente fino a mostrare il primo piano di un manifesto: la proiezione del Cinematografo dei fratelli Lumiére per un pubblico pagante. Quasi a sottolineare il fermento che questa novità sta provocando dappertutto, la macchina entra nella sala e sceglie un posto d’onore per assistere a “L’uscita dalle officine”. È nato il Cinema e una nuova epoca è iniziata.
Questa è la sequenza iniziale e, probabilmente, la più emblematica.Uno straordinario establishing shot che non ammette parole, ma si affida totalmente alle immagini per ambientare geograficamente, storicamente e contestualmente la narrazione. Già da questi primi minuti si avverte che il ritmo del film sarà incalzante e ironico, uno sguardo giovane sul teatro e sui suoi segreti. La storia parla di come Edmond Rostand riuscì a scrivere e mandare in scena in soli 20 giorni un capolavoro come “Cyrano De Bergerac”, partendo solo dal titolo, dalla caratterizzazione del protagonista e dall’ispirazione donatagli da Jeanne, costumista teatrale corteggiata dal suo migliore amico. Il regista, Alexis Michalik, al suo primo lungometraggio riesce già aimporre il suo stile fresco e sprintoso, per sua dichiarazione derivato da una passione per il cinema che dura da tutta una vita. E proprio come un appassionato sceglie di prendere parte al film in carne e ossa, interpretando Georges Feydeau, drammaturgo contemporaneo di Rostand e suo rivale poiché molto più apprezzato e famoso, per quanto meno aulico e virtuoso nei versi.
Molti hanno posto l’accento sulle similitudini con uno dei capisaldi del genere making-of: “Shakespeare in love” di John Madden. Alexis stesso ha ammesso di aver cominciato a pensare a questo progetto dopo aver visto il capolavoro sul drammaturgo inglese, volendo proporre al pubblico la controproposta francese. Ma non si possono che notare anche le grandi differenze: “Cyrano mon amour” non è un film drammatico, non pone il suo accento sulla storia d’amore tra i due protagonisti. È un lavoro giovane e scanzonato, che arriva dritto al cuore e che lascia gli spettatori con una sensazione positiva dovutaal trionfo di tutto ciò che di positivo c’è: trionfa Edmond, passato alla storia; trionfa l’amore; trionfa l’ambizione. Parola chiave è anche desiderio, che muove il protagonista e lo anima, muovendo la sua mano a scrivere versi che solo gli amanti più sinceri pronuncerebbero.
Quello di Alexis Michalik è un lavoro durato più di 15 anni, tra rifiuti, pause e fondi che non si trovavano. Fin quando riuscì a portare in scena la piéce di cui il film è un adattamento: la fortuna a teatro gli diede i mezzi necessari per proseguire con la realizzazione della pellicola, occasione che Michalik riesce a sfruttare nel migliore dei modi.
“Cyrano mon amour” non parla solo della nascita di un’opera immortale. Parla di un sogno: il sogno di Edmond Rostand di essere finalmente riconosciuto per ciò che ama fare e per il suo talento di drammaturgo; il sogno di Alexis Michalik di vedere l’opera che per tanto tempo ha portato nel cuore finalmente realizzata e apprezzata. Ma anche il sogno che tutti abbiamo di poter immaginare un mondo in cui anche alle nostre ambizioni più folli possa essere data la possibilità di diventare reali.
Valentina Longo
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