‘John McEnroe – L’impero della perfezione’, di Julien Faraut (L’empire de la perfection, Francia 2018)

di Andrea Lilli

Cinema e tennis – questi due affascinanti giochi di campo rettangolare – continuano, per fortuna, a piacersi e a scambiarsi regali.

Dopo il recente Borg McEnroe di Janus Metz Pedersen, da Parigi arriva un altro gustoso omaggio a John McEnroe, 60 anni appena compiuti. Un nuovo premio al tennista piu’ teatrale degli anni ‘80, per il quale Julien Faraut ha ripescato preziosi filmati nell’archivio di cui è responsabile, quello dell’Institut National du Sport.

La’ e’ conservato, tra l’altro, il vasto repertorio accumulato da Gil de Kermadec, tennista degli anni ’60 diventato poi analista enciclopedico della tecnica di questo sport, attraverso elaborazioni al computer e meticolose riprese fisse sui campioni impegnati sul campo del Roland Garros. Riguardo allo stile particolarissimo del mancino McEnroe, Gil de Kermadec ha studiato nei minimi dettagli l’efficacia del servizio, degli anticipi, del martellante serve and volley. Su questo materiale ha lavorato a sua volta Faraut.

 

Nel periodo di passaggio dalla racchetta di legno a quelle in grafite il campione newyorkese riusci’ ad eccellere con entrambe, perche’ la sua forza non era tanto muscolare quanto affidata alla strategia di gioco, sorprendente gia’ dalla battuta inimitabile, con quella torsione strana, spalle alla rete, le gambe allineate lungo il fondo campo, il braccio che alla fine di un arco di 180 gradi lanciava palle precise e imprevedibili. Uno dei migliori giocatori di tutti i tempi, a lungo in cima alle classifiche tra il 1980 e il 1984, il migliore sicuramente nella specialita’ del doppio. Il piu’ temuto antagonista dei glaciali Björn Borg e Ivan Lendl, fuoriclasse dallo stile esattamente opposto a quello di McEnroe. Ma mentre il cecoslovacco era per lui solo “un robot” alieno e irritante, soprattutto nella drammatica finale di Parigi 1984 ampiamente ricordata nel film, fu con lo svedese che coltivo’ un rapporto reciproco di rivalità/ammirazione.

 

In realta’ l’umorale John McEnroe non e’ stato certo un modello di sportivita’ olimpica, tantomeno il suo stile rivoluzionario era perfetto, e percio’ suona un po’ retorico il titolo del docufilm. Certo, da predatore affamato di vittorie era sempre teso verso la vibrazione del colpo giusto e veloce, del missile perfetto nello spazio-tempo. Ma il suo ‘impero della perfezione’ poggiava su basi fragili: l’immagine che aveva di se’, troppo spesso non corrispondeva a quella che il campo gli restituiva. E  quando le cose non andavano come avrebbe voluto, John diventava immediatamente inquieto, polemico e offensivo con chi anche involontariamente osava infastidirlo, disturbare la sua vulnerabile concentrazione.

Per la gioia del pubblico piu’ cinico, partiva subito l’imprecazione, l’insulto feroce all’arbitro che non vedeva, alla spettatrice che non taceva.

Probabilmente aveva pure capito come sfruttare in modo calcolato la propria instabilita’ psicologica, come mettere a reddito il carattere nervoso, ipersensibile e irascibile. In altre parole, difficile stabilire dove finiva la sua nevrosi genuina e dove cominciava quella recitata: fatto sta che le sue leggendarie, interminabili scenate per presunti errori arbitrali deconcentravano l’avversario e condizionavano i successivi comportamenti dei giudici di linea. E di fatto, l’infiammabile McEnroe da fenomeno sportivo divento’ anche uno showman in pantaloncini e maglietta.

Epilogo: grazie alle sfuriate del nostro venne accelerata la ricerca di un sistema elettronico di controllo immediato degli out che fosse inattaccabile. Finalmente fu inventata la moviola in diretta, l’occhio di falco (2001), comunque a tutto vantaggio di John, che era gia’ altrove: sempre polemico e in trincea, ma dalla parte dei commentatori televisivi. Uno di quelli dalla battuta migliore, ovviamente.

 

Presentato alla Berlinale 2018

Premiato come miglior film alla 54. Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro

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