di Roberta Lamonica.
‘… Se tu potessi sentire, ad ogni sobbalzo, il sangue
che arriva come un gargarismo dai polmoni rosi dal gas,
ripugnante come un cancro, amaro come il bolo
di spregevoli, incurabili piaghe su lingue innocenti, amico mio, tu non diresti con tale profondo entusiasmo
ai figli desiderosi di una qualche disperata gloria,
la vecchia Bugia: ‘Dulce et decorum est
pro patria mori’.
(W. Owen)
‘All quiet on the western Front’
(All’Ovest niente di nuovo), tratto dall’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, è un film di Lewis Milestone con Louis Wolheim, Lew Ayres e Beryl Mercer.
Considerato IL riferimento irrinunciabile per tutti i film di questo filone, ‘All Quiet on The Western Front’ ebbe un destino controverso che oscillò tra censura e premi Oscar (miglior film e miglior regia), divenendo infine vero e proprio oggetto di culto.
Il film racconta la storia di un gruppo di giovani tedeschi che, spinti da un forte idealismo e dai discorsi di un ‘cattivo maestro’, si arruolano per la Grande Guerra ma ben presto scoprono drammaticamente gli orrori della trincea e l’insensatezza del conflitto.
Indimenticabile la scena finale, con la mano del soldato morente che cerca di toccare una farfalla.
Milestone miscela una caratterizzazione intima e molto umana dei personaggi con gli orrori indicibili della guerra, affidando tutto alla potenza delle immagini (ai primi piani, in particolare). E, se la regia è in forte debito con l’epoca del muto appena conclusa, il montaggio moderno e innovativo di Edgar Adams valorizza il passaggio dall’avvio piuttosto ‘leggero’ del film alla concitazione e il dramma della condizione bellica.
Nella famosa sequenza della trincea, Paul accoltella un soldato francese, poi tenta di mantenerlo in vita e infine implora il cadavere di perdonarlo; il tutto sotto il fuoco dell’artiglieria in un lasso temporale che copre due notti intervallate da un giorno senza luce. Questo a rappresentare come la vita sia una parentesi nella condizione precaria dei soldati al fronte in una notte senza fine di angoscia, dolore e paura.
Le contrastanti reazioni di Ayres a ciò che ha fatto sono strazianti e indimenticabili ma la performance muta del soldato francese è persino più memorabile.
Il soldato è interpretato da Raymond Griffith, star del cinema muto che smise di recitare con l’avvento del sonoro a causa di un problema proprio alle corde vocali che gli consentiva di emettere nulla più di un sussurro. Grande ammiratore del romanzo di Remarque, Griffith accettó questa piccola parte anche senza compenso. Vedere Griffith alla sua ultima apparizione sullo schermo sforzarsi terribilmente per parlare prima di morire è un momento di cinema meraviglioso e idealmente il passaggio di testimone della fine di un’epoca.