di Laura Pozzi
31 ottobre 1993: una data scioccante da cui ancora oggi è impossibile mantenere un’adeguata distanza di sicurezza, non solo per via di Halloween, ma perché in quella tragica notte di 26 anni fa si spegneva, riverso su un marciapiede del Sunset Boulevard, River Phoenix, uno degli attori più dotati e promettenti della sua generazione. Quel tragico e inaspettato epilogo con protagonista un giovane di appena 23 anni pronto a conquistare le vette più alte del firmamento hollywoodiano resta una delle pagine più cupe e dolorose del cinema recente. Figlio di una bizzarra coppia hippie e primogenito di cinque fratelli, River dimostra fin dalla più tenera età una spiccata predisposizione per l’arte, in particolare per la recitazione, disciplina che gli consentirà di esprimere al meglio le sue potenzialità. Nel 1989 appena dicianovenne riceve la sua prima nomination all’Oscar come migliore attore non protagonista per ‘Vivere in fuga’, ma la consacrazione arriverà nel 1991 quando verrà premiato a Venezia con la Coppa Volpi a per ‘My Own Private Idaho’ (in italiano l’indicibile ‘Belli e dannati’) di Gus Van Sant in coppia con Keanu Reeves.
Probabilmente fra i titoli componenti la sua breve filmografia questo oltre ad aver rivelato al mondo il suo straordinario talento, rappresenta anche quello più significativo e il più conforme alla sua anima inquieta e tormentata. Il film di Van Sant è un’opera per certi versi irripetibile, libera e controcorrente totalmente plasmata sui corpi di Mike (River Phoenix) e Scott (Keanu Reeves), due ragazzi di vita accomunati da una disperata ribellione che li porta a vagabondare in giro per il mondo. Il regista americano costruisce un road movie atipico, caratterizzato da una narrazione circolare poco lineare e a tratti confusa che conferisce alla storia un alone d’impenetrabilità. Il film si apre su una strada e sul corpo inerme di Mike colpito dall’ennesima crisi di narcolessia: “Sono un esperto di strade. E’ tutta la vita che assaggio strade. Questa strada non finirà mai…probabilmente gira tutta intorno al mondo”.
Spinto dal desiderio di ritrovare sua madre intraprende un movimentato viaggio insieme a Scott che da Portland li condurrà fino a Roma per poi tornare nuovamente sulla strada iniziale. Quello che maggiormente colpisce in quest’opera divenuta per forza di cose testamento spirituale del giovane Phoenix è la forte attinenza con la realtà. Impossibile non rivedere nelle sue improvvise crisi narcolettiche la sua tragica fine che due anni dopo non gli lascerà scampo. Su Mike personaggio apparentemente poco affine al suo vissuto, River riversa le più sottili inquietudini, quel malessere subdolo pronto ad esplodere, quel lato oscuro nefasto che lo porterà a morire per overdose dopo aver ingerito un mortale cocktail di droghe e nell’amore disperato e non corrisposto verso Scott vanificherà i suoi sogni gloria.
E’ curioso pensare come la sua morte prematura abbia irrimediabilmente cambiato il corso delle cose e abbia inciso in modo determinante sulla carriera di molti attori. Fra tutti suo fratello Joaquin che gli ha reso qualche tempo fa un commovente omaggio, ricordando come senza il suo supporto non sarebbe divenuto il fantastico attore che tutti conosciamo. E a noi non resta che ricordare quei lampi di luce lasciati dalle apparizioni di questo angelo ribelle, caduto troppo in fretta come un giovane Icaro accecato dal sole.
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