- di Andrea Lilli
Nel 1980 la riunificazione delle due Germanie è ancora un’utopia. Quella orientale riesce a contenere la pressione interna punendo severamente chi, come la dottoressa Barbara Wolff, osi fare domanda di espatrio. Cosicché Barbara viene trasferita – dalla Charité, il più prestigioso ospedale di Berlino – nel profondo nord della DDR, nel modesto ospedale di un piccolo centro rurale, vicino al mar Baltico. E’ un posto di provincia come tanti fra il Brandeburgo e la Pomerania, costantemente battuto da venti freddi e dai gelidi agenti della Stasi, che non perdonano, né perdono mai di vista Barbara.
Fin dal giorno del suo arrivo, una macchina blu scuro spesso staziona di fronte al suo triste appartamento in affitto, e ogni tanto scatta improvvisa la perquisizione, anche corporale. Del resto è vero, lei nasconde qualcosa: appuntamenti clandestini con Jörg, l’uomo che ama e che vuole portarla via da quel posto deprimente, e una busta con molti soldi, il prezzo della fuga. Nel frattempo la dottoressa Wolff svolge con dedizione e competenza il proprio lavoro. Oltre ad essere brava e riservata è anche bella, sicché inevitabilmente suscita l’interesse di André, il giovane dottore responsabile dell’ospedale.
Un medico esemplare quanto Barbara, ma segnato da un tragico incidente professionale, che tre anni prima ne ha compromesso la carriera. Una fatalità di cui in realtà è incolpevole, e che dunque aggiungerebbe fascino alla sua gentile personalità, senonché Barbara ha altri obiettivi e gli resta quasi impermeabile. Quando lui la invita a casa e non le mostra una collezione di farfalle, ma le racconta i particolari di un quadro di Rembrandt, la Lezione di anatomia del dottor Tulp, lei s’incuriosisce, ma resta diffidente: non capisce se lo sguardo interessato di André sia quello di un collega sinceramente infatuato, o la maschera dell’ennesimo spione. “Aiuta anche quei bastardi (della Stasi)?”, gli chiede. “Sì, se sono malati” le risponde, semplicemente. Nel dubbio lo tiene alla larga, senza cedere, ma progressivamente la distanza che gli ha imposto si riduce, man mano che dialogano – per strada, nei corridoi, in mensa, tra pause caffé e casi disperati. Il primo dei quali è Stella, ragazza maltrattata, in fuga dai suoi aguzzini e riacciuffata dalla Polizei nei campi in cui cercava rifugio.
Scappando, Stella s’è beccata una meningite micidiale. Barbara e André la salvano, scoprendo pure che è incinta, poco prima di doverla riconsegnare ai poliziotti, recalcitrante alla prospettiva di essere rinchiusa in un campo di lavoro. Con la dottoressa Stella instaura il suo unico rapporto umano possibile, solo Barbara riesce a sciogliere la sua paura. André osserva e riflette. Poi arriva Mario, un ragazzo in fin di vita dopo aver tentato il suicidio per futili motivi. Barbara e André riescono a salvare anche lui. I due collaborano magnificamente sul lavoro, e insomma ormai lei capisce che può fidarsi di lui, forse anche aprirsi, ma Jörg l’aspetta. André morde il freno e si rassegna, mentre per Barbara arriva finalmente il momento di realizzare il piano stabilito. Tutto è pronto: i soldi, il passatore, il mare. E, tra le belle promesse di Jörg-Ovest e le aspre realtà di André-Est, la scelta di Barbara si compie.
Questo film, denso di gesti contenuti e di silenzi eloquenti più delle parole, nel 2012 ha vinto l’Orso d’Argento per la regia, ed è uno di quelli meno conosciuti in Italia sulla questione delle due Germanie postbelliche. Non dovrebbe invece mancare fra i titoli riproposti nel trentennale della caduta del Muro di Berlino, anche per ammirare la convincente prova di Nina Hoss in un ruolo non facile.