Il labirinto del fauno, di Guillermo del Toro (2006)

di Carla Nanni

“E si dice che la principessa discese nel regno paterno e che lì regnò con giustizia e benevolenza per molti secoli, che fu amata dai suoi sudditi e che lasciò dietro di sé delle piccole tracce del suo passaggio sulla terra, visibili solo agli occhi di chi sa guardare.”

Il labirinto del fauno (El laberinto del fauno) è un film del 2006, scritto e diretto da Guillermo Del Toro. Una favola nera, un grido di dolore per un’infanzia rubata, una fuga nell’immaginazione come unica alternativa all’orrore del Franchismo e di tutti i fascismi. Nella Spagna del 1944 la distinzione tra bene e male è ben netta, sopratutto se tale distinzione è fatta da una bambina di dodici anni, orfana di guerra e trasferita con la madre in una cascina di campagna, lontano dalle sue abitudini e dalla vita che ha avuto fino ad allora.

Ophelia ha dodici anni ed è curiosa e intelligente, costretta a vivere una realtà soffocante in cui i ruoli sono ben definiti e senza possibilità di cambiamento, se non quello di rinunciare a se stessi e alle proprie aspirazioni, per mettere il vestitino della festa e le scarpette di vernice per fare contenta la mamma e ringraziare – possibilmente con accentuata devozione – quello che le è stato proposto come Salvatore e benefattore, tal Capitano Vidal.

Carmen (Ariadna Gil), madre di Ophelia, è una donna giovane e forte che porta in grembo il primogenito del Capitano Vidal e che ora soffre incredibilmente per la gravidanza difficile. Lo ha fatto per il bene suo e di sua figlia, perché in quella situazione e in quella guerra era, secondo lei, l’unico modo di sopravvivere. Ha accettato i compromessi della vita e sono evidenti gli sforzi e la sofferenza che compromettono inevitabilmente il rapporto con la figlia.

Ophelia non accetta di diventare ‘grande’, lì dove l’età adulta comporta la resa alle convenzioni e alle consuetudini, il fatto di dover lasciare le fate e i boschi per entrare in abiti che non si possono sporcare. Lotta e soffre, in bilico tra il dovere di obbedire a sua madre e il desiderio forte di salvarla da Vidal e da se stessa. Ci mette tutto il coraggio e la forza che si hanno da bambini, il coraggio di uscire di notte per superare le prove del Fauno, di mantenere i segreti, di affrontare pericoli sconosciuti e fallisce, persino, rischiando di compromettere ogni cosa. Il linguaggio è semplice e non perché è una storia per bambini, ma perché dalla scena iniziale si intuisce perfettamente che sono gli occhi di Ophelia a guardare tutta la storia: si entra dentro di lei, nel suo mondo fantastico che permea il tempo e la realtà.

Qualcuno definisce Il labirinto del fauno un horror ma di orribile c’è solo la realtà della violenza della guerra incarnata nel malvagio Vidal, personaggio che racchiude in sé la follia della guerra e il male assoluto. La distinzione tra bene e male è netta, proprio perché a dodici anni, queste distinzioni si fanno e sono ben chiare. Il film ha il pregio di rendere le percezioni di Ophelia tangibili. Il labirinto del fauno è più una pellicola di genere fantasy che un Horror, e non è neppure un film per bambini, ma è soprattutto un racconto di sacrifici e di scelte: è il racconto della sofferenza di qualcuno che si è arreso (la madre), le paure di chi conosce il prezzo di certe azioni (Mercedes, la governante e attivista della resistenza e il dottore) e soprattutto è la lotta di Ophelia che vive l’avventura che ha sempre sognato colorando la propria vita di fate e altre creature fantastiche, che hanno la funzione di spingerla ad agire nella realtà.

I buoni vincono, la storia finisce nell’unico modo plausibile e realistico. Vidàl viene sconfitto anche se il prezzo è alto. Ophelia non se ne accorge, perché ha superato con successo la prova finale, può morire e rinascere come una vera principessa, perché lei sì che lo è. Il prezzo è il sacrificio di se stessi, la scelta di non arrendersi e non provare a salvarsi a discapito di qualcun altro. I legami e le interazioni della protagonista con il resto dei personaggi non sono raccontati in maniera molto approfondita, probabilmente la scelta narrativa è condizionata proprio dall’iniziale punto di vista del film (quello di una bambina di dodici anni) ma va da sé che tutti perdano un po’ di spessore.

L’unico personaggio veramente ben delineato è il Capitano Vidàl , incarnazione del male, della puntualità, della precisione e della musica classica mentre si fa la barba (salvo poi uccidere a bottigliate un sospetto della resistenza ed avere la stessa folle freddezza di Amon Goeth di Schindler’s list nell’usare la pistola.)

Il rapporto con questo fratellino che deve ancora nascere e che alla fine proprio nascendo ucciderà sua madre è quello più controverso e sentito da Ophelia: è lui che fa soffrire cosi tanto la mamma, lui che la costringe ad un viaggio non voluto, lui che è la cosa più preziosa per il capitano Vidàl, che non ha sposato sua madre per amore, ma perché voleva un erede. E’ questo il rapporto da considerare maggiormente nell’economia dell’intero film, perché poi porterà Ophelia proprio alla sua scelta finale e al superamento dell’ultima prova, quella che la consacrerà come principessa del suo regno.

Ciò che colpisce nel film, oltre i personaggi fantastici, il Fauno, i fasmidi, l’Uomo Pallido (il Tenome giapponese, personificazione dell’incubo) è il legame stretto che esiste tra un bambino e la sua fantasia quando si tratta di situazioni estreme da risolvere. Perciò Il labirinto del Fauno non è solo un film sulla crescita o sulle scelte da prendere ma anche sul bisogno di credere e di avere fede, lì dove gli adulti l’hanno persa totalmente.

Il contesto storico (Spagna, 1944) è pregno di situazioni estreme, situazioni in cui crescere e diventare adulti significa anche accettare di sopravvivere, piuttosto che di vivere. Ophelia sceglie di vivere e alla fine, a modo suo, contribuisce all’inizio di qualcosa.

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2 risposte a "Il labirinto del fauno, di Guillermo del Toro (2006)"

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