di Laura Pozzi

Un incidente stradale, un’auto in fiamme, un uomo tra la vita e la morte, una lettera d’addio da recapitare… O forse no. E nel mezzo, le cose della vita (titolo originale della pellicola) rivissute dall’ennesimo e ruvido “cuore in inverno” filmato dal grande Claude Sautet . Pierre (Michel Piccoli), affermato uomo d’affari, vive a Parigi con la bellissima Hélène (Romy Schneider). Alla vigilia di un’importante trasferta a Tunisi -fondamentale nel consolidare definitivamente il loro rapporto – l’uomo dopo un incontro con il figlio avuto da Catherine (Lea Massari) sceglie di rimandare la partenza, infliggendo un duro colpo alla giovane amante e provocando un’insanabile frattura tra i due. Ancora fortemente ancorato ad un passato matrimoniale che torna a farsi vivo e pulsante attraverso reminiscenze vissute su un’isola “felice”, Pierre si convince di dare un taglio a quella relazione divenuta di colpo ingombrante e inspiegabilmente faticosa. Laconico e poco abile con le parole, motiverà all’ignara Hélène le ragioni di quella scelta attraverso una lettera che all’ultimo momento deciderà di non spedire. Ma durante un viaggio di lavoro verso Rennes resta vittima di un grave incidente stradale e nella folle e disperata corsa in ospedale avrà modo di ripensare e rivivere le emozioni di quella vita appesa a un filo.

Il raffinato Claude Sautet, regista noto soprattutto per gli indimenticabili Un cuore in inverno e Nelly e Mr. Arnaud, mette ancora una volta al centro della scena un triangolo amoroso, dove un uomo comune professionalmente realizzato fatica a liquefare le gelide incursioni di una latente anaffettività a favore di un costante e atavico bisogno di cristallizzare e trattenere le emozioni. “Non so amarti, non so parlarti, ma so andarmene”, questo pensa di sé con malsano compiacimento, mentre all’interno di un’Alfa Romeo divenuta roccaforte di dolorose riflessioni i sentimenti cominciano a sbiadire, confondendosi col fumo nero dell’immancabile sigaretta.
Sautet filma con coraggio e pudore un uomo che muore, violando la sua ultima ora attraverso un congegno narrativo che gli consente di mescolare abilmente azione e dramma. Al pari delle due splendide pratogoniste, l’automobile sulla quale viaggia Pierre veste un ruolo tutt’altro che secondario. Il rocambolesco incidente, ripreso in più punti e da diverse angolazioni, permette al regista di creare un insolito rewind nel quale ricordi ed emozioni s’incastrano mirabilmente all’interno di un tagliente e penetrante puzzle emotivo. Passato e presente si fondono in un continuo gioco di rimandi, lasciando fuori campo un futuro reso fatiscente dalle contraddizioni e dai conflitti interiori di un uomo che ritrova il bandolo della matassa nel momento della resa. È come se disteso lì morente su un campo di tulipani, tra l’indifferenza ed il brusio di testimoni e curiosi, afferrasse il valore e l’importanza delle piccole cose.

Sautet raccoglie le sue confessioni, capta le ultime impercettibili sensazioni e le ultime insperate convinzioni che in fondo poteva andar peggio. Avvolto da una luce solenne e abbagliante, le sue ultime volontà (la distruzione della lettera) verranno inconsapevolmente prese in carico dalla magnanima Catherine, che sceglierà di edulcorare il dolore di Hélène.
Non è facile rendere omaggio a un gigante come Michel Piccoli e la sua monumentale filmografia in questo senso aiuta poco, ma il felice sodalizio con Sautet (che include gemme preziose quali Il commissario Pelissier, Tre amici, le moglie e (affettuosamente) le altre, Mado) è una realtà troppo spesso dimenticata ed ingiustamente oscurata da opere e capolavori più noti. Eppure Piccoli offre qui una delle sue prove migliori, lavorando in sottrazione e scavando negli abissi interiori di un uomo impenetrabile. Tuttavia è quasi impossibile non sciogliersi dinanzi alla radiosa e sconvolgente bellezza di una Romy Schneider da urlo. La principessa triste con il suo sguardo malinconico illumina e ipnotizza la scena, elettrizzando i sensi nel semplice gesto di mordicchiare una mela. Una piccola e peccaminosa Eva che cinta da un asciugamano di spugna si lascia scrutare di spalle da un estasiato Piccoli, mentre cerca le parole adatte per completare una traduzione.

Se Pierre è un uomo che ama (le sue) donne, sì perché non possiamo sorvolare sulla magnetica e risolutiva presenza di Lea Massari, Sautet è un uomo che ama i suoi attori, ma soprattutto i suoi personaggi. La cura e sensibilità messe in campo nel descrivere i complessi meccanismi che regolano gli equilibri della storia sono elementi raramente riscontrabili in uno script facilmente vittima di luoghi comuni. Il regista francese restituisce dignità e consapevolezza ad ogni minima azione, creando un rapporto di fiducia con i suoi interpreti. Hélène e Catherine pur amando lo stesso uomo non si incontrano mai e la loro “mancata” competizione gioca un ruolo fondamentale nell’indirizzare quest’ultima verso lo struggente finale. Quel che conta nel suo ricercato universo narrativo è il gesto, l’azione, l’intenzione e quel silenzio contrapposto al fallace mondo delle parole. Solo le note capolavoro di Philippe Sarde sono ammesse in quell’esclusivo “rapporto confidenziale”. I suoi personaggi sono liberi di sbagliare, di ripensare, di tornare al punto di partenza, ma con passo lieve e discreto. Una discrezione troppe volte associata ad un’immeritata invisibilità.
Michel Piccoli ci ha lasciato in un tiepido giorno di maggio, lo stesso mese che trentotto anni prima (era il 29) ci ha reso orfani di Romy Schneider. E anche se come cantava Fabrizio De André nel “crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio“, Romy e Michel sono nuovamente insieme pronti a continuare il loro film.

Disponibile qui nella versione italiana.