La patata bollente, di Steno (1979)

di Laura Pozzi

Ha compiuto 80 anni da pochi giorni l’eterno “ragazzo di campagna” e lo ha fatto con quella sobrietà e compostezza che hanno da sempre caratterizzato il suo irripetibile percorso artistico. Renato Pozzetto ha attraversato la storia del bel paese partendo dal basso, da quella famosa gavetta che a nominarla oggi provoca un sottile brivido lungo la schiena per il suo carattere tristemente anacronistico e irrimediabilmente perduto. Arriva al cinema nel 1974 con Per amare Ofelia di Flavio Mogherini film che gli regala il nastro d’argento come miglior attore esordiente e gli consente dopo tanti anni di tagliare in modo tutt’altro che indolore il cordone ombelicale con Aurelio “Cochi” Ponzoni, amico fraterno e insostituibile compagno di cabaret. Sarà lui stesso durante un’intervista a confermare di avergli chiesto il permesso prima di accettare il ruolo. Da quel momento la sua disarmante e stralunata comicità, lo “slang” tinteggiato di candido surrealismo irrompono sugli schermi nostrani, travolgono, conquistano e diventano tratti distintivi di un attore immerso e riflesso nelle contraddizioni di un Paese bacchettone. eternamente diviso da Nord a Sud, intriso di falso moralismo e saturo di retorica borghese.

La patata bollente arriva sul finire dei roventi anni settanta, in un clima politicamente infuocato e culturalmente irrisolto. Steno in collaborazione con il figlio Enrico e Giorgio Arlorio affida a Pozzetto il compito di introdurci nelle fabbriche, di puntare il dito contro le false promesse di un sindacato arrembante solo a parole e di scoprire attraverso la diversità il confronto e il rispetto per l’altro. E a non dubitare mai della propria intelligenza, sopratutto quando si tratta di seguire l’istinto, di mettersi in discussione e dubitare di se stessi. Bernardo Mambelli detto il Gandi è caporeparto nella fabbrica di vernici Enicem. Pugile mancato, intransigente militante del PCI e fervido attivista sindacale un sabato sera dopo un litigio con Maria (Edwige Fenech) costretta a subirsi un film russo sottotitolato invece di andare a ballare salva da un’aggressione fascista Claudio (Massimo Ranieri), giovane libraio dai modi cortesi e dall’aria innocente. Dopo averlo soccorso e ospitato nel suo appartamento scopre con una punta di imbarazzo misto a terrore l’omosessualità del ragazzo, condizione deplorevole e del tutto impraticabile per un aspirante macho virile e politicamente impegnato come lui. Nonostante ciò non cede al falso moralismo e continua ad ospitarlo clandestinamente in attesa della guarigione. Il segreto regge fino a quando una volta tornato in libertà la libreria di Claudio viene distrutta da un nuovo raid fascista. Per la seconda volta Gandi lo prende sotto custodia, ma viene scoperto da Maria e dai suoi increduli compagni di lavoro che determinati più che mai ad aiutarlo a sconfiggere l’innominabile morbo gli organizzano un finto viaggio premio nell’amata Unione Sovietica nella speranza di vederlo tornare definitivamente guarito. Ma una serie di interminabili e spassosi equivoci metterà seriamente a repentaglio la sua carriera politica e il suo futuro lavorativo.

Il contesto socio politico culturale è basilare in questo film e la cornice comica funge da perfetto contraltare per descrivere e mettere in scena con leggerezza, ma non superficialità problematiche decisamente poco divertenti. La scelta della location non è casuale, ma rimanda alla vicenda dell’IPCA, una fabbrica di vernici in provincia di Torino messa sotto processo nel 1977 in seguito alla morte di alcuni operai causate dalle drammatiche condizioni di lavoro e da inquinamento ambientale. La fabbrica chiuderà definitivamente nel 1982. Steno non fa sconti a nessuno e l’episodio seppur edulcorato e tratteggiato in chiave comica viene superbamente rimarcato nella sequenza in cui Gandi in seguito ad un malore di un collega dovuto alla mancanza dei depuratori, sale ai “piani alti” per una pittoresca e velenosa dimostrazione su cosa sedimenta all’interno dei loro polmoni. La denuncia è sottile, ma estremamente pungente nel mettere alla berlina un ente deputato alla tutela del lavoratore, ma nella realtà dei fatti più attento e preoccupato a salvaguardare l’immagine e a condannare l’orientamento sessuale dei suoi delegati. Gandi è l’unico a farsi realmente carico delle situazioni, a denunciare le ingiustizie, a far valere i propri diritti, sa farsi ascoltare e se necessario temere, ma il sospetto di una presunta e scandalosa diversità fa precipitare tutto nel baratro del più feroce perbenismo. La questione sessuale è un tema delicato in quegli anni soprattutto se legato a una forte componente politica. L’espulsione di Pier Paolo Pasolini è una ferita aperta e bruciante e il PCI dall’alto dei suoi slogan mostra le sue ataviche contraddizioni, la profonda crisi identitaria che lo attanaglia costringendolo a tollerare una classe operaia ormai fatalmente sedotta dai balocchi del consumismo.

Gandi è il solo a crederci ancora, ma la sua fede al limite dell’oltranzismo non può per quanto forte oscurare la ragione e soffocare i sentimenti. Claudio rappresenta il diverso, l’individuo che contro tutti e tutto decide di vivere liberamente la propria sessualità, senza indugiare, ma assecondando desideri e aspirazioni anche a costo di solitudine ed emarginazione. Gandi è incosciamente affascinato da questa libertà che nonostante i tanti proclami non riesce a trovare nella fede politica. E’ un uomo tenace, coraggioso, intraprendente non teme un commando fascista, ma se la da a gambe di fronte alle imboscate della digos, la temibile portiera del palazzo a cui non sfugge nulla. I ritratti di Marx e Lenin, i gloriosi manifesti del PCI, i film in lingua russa sono poco più che timide e ingenue reminiscenze sulle quali sorridere. Un pò come fa Claudio quando osserva l’ingenuo e puro idealismo del suo salvatore, preservandolo da quelle malelingue pronte a condannarlo in assenza di prove. L’innamoramento sarà inevitabile e darà vita ad un’ irresistibile e insolito triangolo amoroso dove tutti si metteranno in discussione. Ed è proprio nella paura e nella libertà di dubitare che risiede l’eccezionale intelligenza di una commedia che andrebbe annoverata tra le migliori del nostro cinema. Gandi nel momento di massima fragilità e spaesamento non smette di interrogarsi ed indagare su se stesso. Non scarta a priori una possibile omosessualità, ma la considera un’ipotesi plausibile. Ci penserà Maria a chiarirgli le idee durante un’incandescente 1° maggio che culminerà in uno storico e indimenticabile Tango diverso. Pozzetto non ha mai ricercato la grande occasione o la pellicola che in un dato momento della vita  consente la svolta e raccoglie i favori di una critica famelica e impietosa. Ha continuato indisturbato il suo percorso restando fedele a quello spirito fanciullino che in uno dei suoi film più famosi gli ha permesso di crescere e diventare grande a soli otto anni. Un’esperienza decisamente deludente e poco in linea con una vita che per essere bela basta avere l’ombrela.

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