di Anna Maria Curci

Già ultimato nel 1915 – la copertina del N.Y. Dramatic Mirror del settembre 1914 riporta un fotogramma di Rapsodia satanica, con Lyda Borelli in un esterno, presso una fontana – fu proiettato dinanzi a un pubblico ristretto di invitati (tra i quali il critico teatrale Mario Corsi, che ne scrisse con entusiasmo) nel marzo di quell’anno; il film fu distribuito tuttavia solo nel 1917 – la data di uscita è il 5 luglio 1917 – «quasi di sfuggita e ridotto a un metraggio di gran lunga inferiore a quello previsto originariamente, anche se il nulla osta della censura non fa riferimento a ‘condizioni’ o a ‘soppressioni’» (come ha ricordato Vittorio Martinelli in Il cinema muto italiano 1917, apparso nel 1991 in un numero speciale di “Bianco e nero”) per vicende non ben chiarite, probabilmente legate alla casa di produzione cinematografica, la Cines. C’è una presenza che incombe sul destino di questa pellicola, sul mistero dei minuti girati e scomparsi, sulle vicende umane della maggior parte delle persone legate a Rapsodia satanica: questa presenza è la Grande Guerra, il primo conflitto mondiale.

Il regista, Nino (Angelo Agostino Adolfo) Oxilia era lui stesso un poeta: nel 1909, vale a dire nello stesso anno del primo Manifesto futurista di Marinetti, fece pubblicare a sue spese la raccolta Canti brevi. Fu autore di testi teatrali come la commedia di successo Addio giovinezza!, poi trasformata in operetta rappresentata in diversi continenti; fu regista di pellicole che ebbero una discreta eco (Sangue blu con Francesca Bertini nel ruolo della protagonista) e di documentari bellici, allorché fu chiamato a collaborare con il reparto cinematografico dell’Ufficio speciale di propaganda del ministero della Marina. Oxilia, nato il 13 novembre 1889, morì ucciso da una granata austriaca alle pendici del Monte Tomba il 18 novembre 1917. Nell’ultima cartolina che abbiamo di lui, datata 7 novembre 1917 e indirizzata all’amico Ernesto Cazzola, Oxilia scrisse di stare bene «come può star bene un cane randagio». Il suo corpo non fu mai ritrovato. Oblio, se non addirittura damnatio memoriae, sono stati a lungo la sorte di Oxilia, che fu autore anche dell’Inno dei Laureandi (o Il Commiato), composto di getto nel 1909 in un’occasione conviviale, una festa d’addio agli studi degli universitari torinesi. Il brano, musicato da Giuseppe Blanc, divenne la canzone degli Arditi durante la Grande Guerra, fu cantato durante l’impresa di D’Annunzio a Fiume e fu trasformato poi nell’inno del Partito Nazionale Fascista.

Le vicende narrate in Rapsodia satanica si basano su un poema di Fausto Maria Martini (poeta, prosatore, autore di opere teatrali, traduttore delle Prose di Shelley, del dramma di Schiller La congiura del Fiesco, di Don Juan Tenorio di Zorrilla; parte per il fronte proprio dopo aver consegnato il soggetto per Rapsodia satanica e in guerra viene ferito due volte, la seconda molto gravemente) e affrontano uno dei miti più ricorrenti nell’immaginario della letteratura universale, che viene da quella “opera-mondo” che è Faust. Il tema del patto con il diavolo, infatti, è punto di partenza e irradiazione per lo snodarsi di eventi e, con essi, per il manifestarsi di archetipi. Il “Faust”, in questo caso è Alba d’Oltrevita, interpretata dall’attrice, diva del cinema muto, Lyda Borelli, la quale sembra affascinata – come si può evincere da alcune sequenze del film – dal modello preraffaellita di Elizabeth Siddal, la “musa” di Dante Gabriel Rossetti.

Con Mephisto (interpretato da Ugo Bazzini), che entra in scena direttamente da un quadro che lo raffigura mentre tenta Faust, ella stringe un patto: rinuncerà all’amore pur di riavere la giovinezza lontana nel tempo. Di lei si innamora Sergio (interpretato da Giovanni Cini; chissà se il nome del personaggio fu ispirato a Fausto Maria Martini dal poeta Sergio Corazzini, che ebbe su di lui una robusta influenza poetica), ma Alba gli preferisce il fratello di lui (interpretato da André Habay), che porta il nome, anch’esso carico di simboli, di Tristano. Tra interni raffinati, dal gusto dannunziano, ed esterni – con giardini e fontane nelle quali, non senza commozione, riconosciamo angoli di Villa Borghese a Roma – che celebrano il trionfo della primavera, entrambi, interni ed esterni, esaltati dalla fotografia di Giorgio Ricci e chiaramente ispirati dallo stile liberty, gli eventi avranno una svolta drammatica e un esito che si discosta sia dal Faust di Marlowe sia dal Faust di Goethe.

Amore e Morte, Bellezza e Natura, Verità e Illusione, Tempo e Tentazione: tutto va scritto in maiuscolo in questo testo, tutto assume un valore assoluto, una valenza simbolica potente e sottolineata dalla gestualità di Lyda Borelli, di cui Antonio Gramsci ebbe a scrivere nel 1917: «La Borelli è l’artista per eccellenza del film in cui la lingua è il corpo umano nella sua plasticità sempre rinnovantesi».

Nella storia della musica, questo film costituisce una prima assoluta: fu Pietro Mascagni a comporre le musiche, cimentandosi, primo compositore di professione in Italia, con una colonna sonora. Ascoltare oggi Rapsodia satanica di Mascagni è avere una duplice conferma, abbagliante per bellezza: l’originalità e il carattere inconfondibile del suo stile da un lato, la solidità dell’impresa di composizione della colonna sonora alla pellicola di Oxilia dall’altro.
Un gruppo “postrock” italiano, I giardini di Mirò, ha pubblicato nel 2014 un album dal titolo Rapsodia satanica. Del 2020 è la sincronizzazione ad opera di Zeitgeist Project di Roberto Falcinelli.

Il 4 luglio 2020, al Villaggio Cultura Pentatonic di Roma, Roberto Falcinelli e Riccardo Sandri hanno dato vita a una improvvisazione sonora che ha accompagnato la proiezione della versione restaurata, ad opera della Cineteca di Bologna e della Cinémathèque Suisse, di questa gemma della cinematografia italiana e della storia del Cinema.
Film disponibile su YouTube e su Archive.org
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