di Bruno Ciccaglione

Nel centenario della nascita di Charlie Parker, il pensiero degli appassionati di cinema non può che andare a Bird, il film di Clint Eastwood del 1988 che valse al giovane Forest Whitaker il premio come miglior attore al Festival di Cannes del 1989 e a Clint Eastwood il Golden Globe per la miglior regia.
Il film non è molto amato fra i jazzisti, che gli imputano di aver calcato troppo la mano sul lato “maledetto” della vita di Parker – coi cliché che ad esso si accompagnano – e di aver messo meno in evidenza la sua esplosiva esuberanza artistica ed il genio creativo. Ma il motivo di maggiore disturbo, per i musicisti, è legato alla scelta – motivata dalla necessità di ottenere un suono di qualità tecnicamente accettabile a partire da registrazioni vecchie e spesso scadenti – di isolare ed estrarre il sassofono di Parker, per poi accompagnarlo con esecuzioni di musicisti contemporanei, perdendo così irrimediabilmente tutta l’interazione tra i musicisti, un tratto essenziale del jazz improvvisato. D’altra parte, a chiarire come muovendosi in ambiti diversi si debba forse avere una maggiore flessibilità di giudizio, il film vincerà un Oscar proprio per il sonoro (sia per l’abilità tecnica di ottenere una presa diretta impeccabile in ambienti rumorosi come i locali notturni con musica dal vivo ricostruiti nel film, sia proprio per la innovazione tecnica della “estrazione” del sax alto di Parker, percepibile solo all’orecchio dei più esperti).

In effetti, il film – che da un punto di vista cinematografico è straordinario – realizza il suo obiettivo principale, quello di costruire un viatico, per il grande pubblico, alla scoperta di un artista straordinario e per niente facile, la cui musica era piena di riferimenti che solo gli iniziati riuscivano a cogliere ed il cui genio creativo ha dovuto scontrarsi con una società in cui l’idea stessa di un artista afroamericano era qualcosa di sovversivo. D’altra parte gli studi musicologici sono alla continua scoperta di nuovi elementi che emergono dall’opera di Parker, a confermare che forse nessuno possa dire di averlo compreso una volta per tutte. Pensiamo al significato del soprannome Bird, in genere spiegato col racconto di una serie di episodi più o meno verificati. Solo in anni recenti si è scoperto che Parker, in numerosi assoli, “cita” le figure ritmiche e melodiche del canto di alcune specie di uccelli (addirittura si è individuata una specie ben precisa di tordo americano, il cui verso Parker cita e inserisce nei suoi assoli in modo ricorrente).

A cento anni dalla sua nascita dunque, Charlie Parker ha ancora molto da dirci e nella sua musica ci sono ancora molte cose da scoprire, molte delle quali devono ancora essere comprese perfino dai musicisti che ne studiano e ne ammirano l’opera. Bird di Clint Eastwood contribuisce ad avvicinarci a lui con rispetto e con ammirazione, lo fa con un’arte diversa da quella della musica e per questo necessariamente parla una lingua diversa, ma sa toccare il cuore.
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