di Carla Nanni
“Credete nel destino? Che persino i poteri del Tempo possano essere alterati per uno scopo?”
Guardando Dracula – di Bram Stoker, firmato da Francis Ford Coppola nel 1992, si può credere benissimo.

Nella moltitudine di pellicole che hanno come protagonista il principe Vlad, il Signore delle Tenebre è stato dipinto in modi vari e variopinti rispetto al romanzo di Stoker, ma quello di Coppola è ciò che più si allontana e più si avvicina, al tempo stesso, all’universo scuro in cui Stoker ha messo i personaggi del suo romanzo epistolare.
Se nel romanzo – come in molte delle trasposizioni – Dracula è la personificazione del male e di ciò che gli uomini retti e onesti devono essere naturalmente portati a combattere, questo nostro Principe (un Gary Oldman indimenticabile) si rende protagonista romantico a partire dal prologo iniziale, dove si spiega quale ragione, quale decisione e quale conseguenza abbiano portato un valoroso guerriero a rinnegare il suo Signore.

Si assume quindi il punto di vista del Conte e si lasciano quasi in secondo piano i personaggi che raccontano la storia, attraverso lettere, pensieri e diari.
Il Conte Dracula in questa versione è il valoroso principe a cui è stata tolta ogni ragione di vita, a dispetto del coraggio, del valore e delle vittorie che come crociato ha portato alla Cristianità. E così, pregno di dolore, rinnega Dio e diviene un mostro, un ‘non morto’.
Nell’era in cui gli effetti speciali digitali già cominciano a prendere piede, quelli di Dracula sono analogici e tutto il trucco è artigianale. Coppola costruisce un mondo sensuale, fatto di rosso e ombra, tangibile come la nebbia verdognola che si insinua sul corpo di Mina, che sembra quasi sogno nel mezzo di un desiderio. Rievoca una Londra vittoriana con qualche accenno di SteamPunk e mescola diverse soluzioni artistiche per rendere a pieno la tensione all’interno di ogni scena; basti solo ricordare il momento del cinematografo, in cui Dracula comprende che non può ‘soggiogare’ la dolce e intelligente Mina, perché vorrebbe amarla come ha amato Elizaveta, la sposa per cui si è dannato l’anima.

Nosferatu, il non morto, l’incarnazione di ogni male terreno non può non pensare di poter amare e di essere amato a sua volta, quindi, tralasciando in parte la fedeltà alla fonte, Coppola ci regala la storia di un legame che sopravvive nel tempo ed è eterno come lo spirito e la volontà di ottenerlo.
La differenza sostanziale con il romanzo è proprio nell’amore corrisposto di Mina, che mentre lì è solo una vittima, qui è la reincarnazione dell’amore perduto di Dracula e infine la sua salvezza (quella della sua anima). Il nostro Dracula non è un’entità fatta solo di malvagità, non è una “creatura”, ma l’insieme di passioni e umori di un uomo che ha litigato con Dio, con tutte le conseguenze che ha portato questo terribile atto di ribellione (“Ecco il vostro Dio cosa mi ha fatto! – grida ai cacciatori e a Van Helsing, nel momento in cui stanno per catturarlo).

Anche altre però sono le differenze sostanziali tra il film e il romanzo, come il già citato Van Helsing, interpretato qui da uno strepitoso Hopkins, uno dei migliori Antagonisti nella cineteca in cui è citato Dracula. Van Helsing è un genio folle che sperimenta nella scienza medica come nell’alchimia. Differente è anche il carattere di Lucy (la ricca amica di Mina), che qui viene descritta fin troppo voluttuosa e spregiudicata, rispetto all’originale.

Ma al di là delle differenze rispetto al romanzo, Dracula è un personaggio che ha segnato una svolta importante nella letteratura, è diventato un’icona di tutti e per tutti, così può essere declinato come uno vuole, per omaggio al libro rimanendo fedele negli intenti e nel racconto, oppure prendendosi una licenza poetica. Dracula di Bram Stoker rimane un cult senza bisogno ormai di dare voti o suggerire argomentazioni sul perché della scelte di un regista. In questo caso la storia verte su un uomo, un crudele guerriero, che prima muore e poi risorge a nuova vita, scoprendo che la stessa Vita è un ciclo e che la soluzione è solo nel perdonare la propria anima. Il messaggio è che persino Dracul ci riesce, ritrovando il suo antico amore.

Questo film è un cult perché Coppola è un regista preciso, ce lo fa capire dalla prima all’ultima scena: il sangue, la notte, la paura sono la scenografia ben fatta per lo specchiarsi di un’anima tormentata e la Londra che descrive in maniera così cupa e tempestosa non è il desiderio della scoperta di nuovi luoghi (come dice il conte all’inizio) ma un vero e proprio adire in un Inferno personale.
Per quanto riguarda i personaggi secondari, ottima l’interpretazione folle e potente di Tom Waits e marginale quella di Monica Bellucci, seppur bellissima in una conturbante scena con il pallido Jonathan Harker (Keanu Reeves in un’interpretazione anch’essa un po’ ‘pallida’).

Ma il Conte e la bella Mina, la loro incrollabile pulsione verso thanatos, l’idea di una passione che “ha attraversato gli oceani del tempo”, resteranno nell’immaginario comune come uno degli esempi più fulgidi di amore romantico.

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