La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy), di Tomas Alfredson (UK/Fr 2011)

di Roberta Lamonica

Locandina

Tinker, Tailor, Soldier, Spy (La talpa, nella versione italiana) è un film del 2011 del regista svedese Tomas Alfredson – già autore del bellissimo Let The right one in – con un cast stellare su cui spicca uno strepitoso Gary Oldman, ma che vede anche le ottime prove dei comprimari John Hurt, Colin Firth, Toby Jones, Mark Strong, Benedict Cumberbatch, Ciarán Hinds e Tom Hardy. Tratto dal celebrato romanzo del recentemente scomparso John le Carré, La Talpa è un thriller cospirativo complesso, costruito su una serie di flashback e anticipazioni che disorientano e impegnano lo spettatore, soprattutto a una prima visione. Ambientato nel 1973, in piena Guerra Fredda – anche se l’ambientazione e la scenografia sembrerebbero più anni ‘60 – in una Londra quasi solo immaginata, senza personalità, grigia e apparentemente indifferente, La talpa ruota intorno ai silenzi e alle bugie del Circus e dei suoi funzionari, protagonisti di una torbida vicenda di tradimento. Nei vertici dei servizi segreti inglesi c’è una talpa che fornisce informazioni sensibili ai sovietici. Per scoprire la sua identità viene richiamato in servizio George Smiley, braccio destro di ‘Controllo’ (John Hurt), capo dei servizi, e costretto insieme a lui a un prepensionamento per una missione andata male.

George Smiley

“Mr. George Smiley era piccolo, rotondetto, di mezza età. Corto di gambe, aveva un’andatura tutt’altro che agile.” Così John le Carré descrive il personaggio più importante nonché figura pivotale del suo romanzo. Nel 1979 la BBC aveva messo in onda una miniserie in sette puntate con Sir Alec Guinness come protagonista, nel ruolo di Smiley. Fisicità e portamento che si distaccavano alquanto dal personaggio uscito dalla penna del romanziere britannico. Eppure egli stesso restò tanto affascinato dall’interpretazione di Guinness da dichiarare addirittura che “gli aveva sottratto per sempre il suo personaggio”.

Tomas Alfredson seguì probabilmente la suggestione creata dall’interpretazione di Guinness e scelse Gary Oldman per il suo Smiley. Scelta felicissima perché siamo di fronte all’ennesima prova maiuscola dell’attore inglese, misurato e intenso, bravissimo a recitare in sottrazione, con gesti e impercettibili movimenti degli occhi, più eloquenti di qualunque parola. Smiley essenzialmente siede e osserva; per i primi 15 minuti di film non dice una parola ed esprime le emozioni attraverso la postura e lo sguardo. Un personaggio dalla vita interiore intensa e imperscrutabile. L’evoluzione del personaggio è incredibile. Da una prima evidente distanza emozionale si passa a un avvicinamento emotivo man mano che il suo passato privato viene fuori. Due momenti su tutti: l’espressione di un solo, brevissimo istante quando scopre che Controllo sospettava di lui e quando condanna all’esilio uno dei quattro sospettati, dove riesce a spaventare non alzando mai il tono della voce. Un’interpretazione davvero incredibile.

Occidente e Blocco Sovietico ai lati opposti di una scacchiera

“Ho dovuto scegliere con chi schierarmi. È stata una scelta estetica, oltre che morale, devo dire. L’occidente è diventato talmente… sgradevole!”, dice la talpa a Smiley, una volta smascherata. L’Occidente e il Blocco sovietico: le due metà di una scacchiera su cui i diversi pezzi si muovono per mano di giocatori in realtà inconoscibili. I pezzi su cui Controllo ha incollato il volto dei suoi collaboratori più stretti e a cui ha dato nomi improbabili, nel tentativo di scovare il traditore. L’Inghilterra, la grande potenza coloniale, padrona del mondo fino a inizio del ventesimo secolo, era diventata ancella degli Stati Uniti, in affanno per dimostrare di non essere ‘una nave fallata’. E La talpa può ben essere considerato anche un film sull’impotenza; sul desiderio e l’ambizione che si rivoltano contro. Il Regno Unito voleva un modo per apparire in una posizione di rilievo dopo che gli USA avevano messo piede in Europa. E lo Smiley piccolo e sgraziato descritto da le Carrè sembra essere la personificazione di questo ruolo ancillare, Mr Hide che vuole tornare a essere Dr. Jeckill, fiero e rispettato e non un passa carte, oscuro burocrate per i nuovi padroni dell’Occidente. Non a caso il ricambio generazionale ai vertici del Circus vede la scalata di Alleline, interpretato da uno splendido Toby Jones, rabbioso, rampante, compresso e orgoglioso britannico, tanto accecato dalla sua ambizione da non vedere il marcio dentro e intorno a lui.

Eppure sembra che le vicende storiche restino sullo sfondo rispetto alle vicende personali dei protagonisti, alla loro parabola umana, al terrore legato al tradimento, vero motore del film che amplifica, complica e risolve l’intricato intreccio. La paranoia, il senso strisciante di slealtà, il dubbio nello sguardo e il sospetto verso chi dovrebbe esserne al di sopra permeano il film e proiettano lo spettatore in una dimensione di stanze fumose e irrespirabili, di sotterranei pieni di segreti, oppressi dalla polvere della sfiducia, di luoghi che nascondono più degli archivi in cui sono nascosti fascicoli e bugie.

In un’intervista rilasciata a Mark Kermode, Gary Oldman ha dichiarato che “La talpa, a livello umano, più che un thriller è una storia d’amore, di amore perso, di amore tradito, amicizia, moralità, lealtà”. E Alfredson modella i generi sulla sua visione, sulla sua urgenza artistica e fa di questo film altro da un thriller, dando alla pellicola un senso di perdita e pericolo, di amore infelice, di destino ineluttabile.

La talpa: un film di maschi in cui le donne sono quasi assenti

Un mondo analogico, quello di questo film, fatto di microspie in candelieri, di segnali in codice bussati su pareti vuote e di case testimoni di tradimenti, contaminate e lorde come camere di tortura. Il film riesce a evocare un’atmosfera in cui due persone si guardano negli occhi e non si sa esattamente cosa significhi quello sguardo. Anche la sessualità è sottile e repressa. C’è una forma di erotismo che scorre come un nervo eccitato in tutto il film. Un erotismo che va oltre il genere e diventa pulsione di morte. È interessante notare come la figura femminile sia quasi del tutto assente dal film. La talpa è un mondo di maschi. Le donne sono inquadrate o coinvolte in funzione del loro ruolo, sempre apparentemente marginale nella vicenda.

Nella primissima scena d’azione del film, una madre viene colpita da una pallottola vagante, lasciando il figlio neonato disperato tra le braccia della Polizia e stabilendo il tono di morte e dannazione del film. Ann, la moglie di Smiley è inquadrata solo di spalle o in dettagli del corpo: capelli, un fiore, un abito che ne fascia le curve provocanti: parti di lei come parti della verità dietro la vicenda. Non diversamente la funzionaria del Circus Connie Sachs, allontanata e quasi lasciata ammuffire in un ‘pensionato’, perché ha scoperto che la fonte russa è in realtà un militare che cerca di reclutare talpe nei servizi occidentali; e ancora la bellissima e sfortunata Irina, tentativo di conciliazione tra le due anime e istanze politiche del film. L’amore sembra possibile solo nella forma segreta di sguardi rubati e foto nascoste, all’interno di un universo prettamente maschile.

La festa di Natale e il finale

La festa di Natale non è presente nel romanzo. Viene da un aneddoto raccontato da le Carrè. Il direttore della fotografia Hoyte Van Hoytema, che già aveva collaborato con Alfredson, fa il lavoro strepitoso in questo film e in questa particolare scena. Riesce a catturare lo spirito ambiguo del film attraverso gli arancioni, i verdi, i marroni e i blu polverosi. Una confezione ovattata funzionale alla neutralizzazione della dimensione spettacolare. Perché il mondo de La Talpa è un mondo freddo, crudele e brutale. Un mondo senza azione, immobile e spaventoso in cui si avverte un’atmosfera di disagio gelido. Non ci sono indizi, nessuna rivelazione, solo tensione e supposizioni. C’è sempre un vetro, una finestra, noi al di qua e loro di là. I protagonisti del film sono spesso inquadrati in finestre, mai al centro, sempre in riquadri come a rivelare verità parziali, quell’idea di “Io so qualcosa che voi non sapete”, che conferma che ci sarà comunque concessa solo una lettura parziale. Una scarpa slacciata su un calzino rosso, un accendino d’argento con un’incisione che pesa come il bilancio di un amore finito, una foto ingiallita di momenti felici: passioni congelate in un mondo governato da leggi implacabili. Tomas Alfredson ritaglia magistralmente gli spazi esaltandone le algide geometrie, mette la sua macchina da presa al servizio di una storia in cui l’azione non è quasi mai mostrata, ma presupposta o già avvenuta. E sul compimento del destino del traditore, un ultimo gesto di amore e due lacrime: una di dolore e l’altra di sangue, sottolineate dallo score di Julio Iglesias sulle note de La mer, che sembra far perdere corpo e senso ai tanto millimetrici e rigidi meccanismi delle vicende spionistiche internazionali per trasportare il senso della storia sul nucleo vago, indefinito e insopprimibile dei sentimenti, un mondo inafferrabile e inconoscibile come il mare.

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