di Laura Pozzi

Quando nel 2013, cinque anni dopo Ponyo sulla scogliera Hayao Miyazaki presenta in concorso a Venezia Si alza il vento, molti salutano l’evento con la velata mestizia e il lacerante entusiasmo di un addio. Il grande regista giapponese, infatti, nel presentare il suo film più intimo e personale annuncia ufficialmente il ritiro dalle scene. Un “allarme cinematografico” già evocato all’indomani de La principessa Mononoke, ma congelato poi dal successo mondiale de La città incantata (Orso d’oro a Berlino nel 2002 e premio Oscar come miglior film d’animazione nel 2003). Anche stavolta il temuto e definitivo congedo sembra rientrato e ufficialmente scongiurato dallo stesso Miyazaki che in questi giorni sul profilo Twitter dello Studio Ghibli, ha rassicurato i suoi fan mostrando “le prove” del nuovo progetto How do you guys live. Ma torniamo al film che trae origine da un manga dello stesso regista, pubblicato tra il 2009 e 2010 sulla rivista Model Graphix e dal romanzo breve di Tatsuo Hori, Kaze Tachinu, titolo ispirato a Le vènt se leve, contenuto in un passo del poema le Cimitière marine di Paul Valérie.

“Dobbiamo provare a vivere” questo il monito e lo struggente messaggio di speranza contenuto all’interno di una storia sognata, intrisa di dolente malinconia, ma lucidamente ancorata alle radici di un autore che dietro la leggerezza del vento, la limpida immensità del cielo e il sublime tratto del suo genio ha estenuamente lottato con l’indomabile arma del sogno per elevare e “alzare” il destino dell’uomo da una realtà corrotta, maleodorante e votata irrimediabilmente all’autodistruzione. Sogno e realtà e nel mezzo (forse) la verità perché parafrasando Arthur Schinitzler “nessun sogno è interamente sogno”. Il film, summa poetica del maestro si apre con una proiezione onirica di Jirō Horikoshi, il giovanissimo protagonista, che nei suoi personalissimi eyes wide shut ama intrattenersi con il celeberrimo progettista areonautico italiano Giovanni Battista Caproni, vero mentore capace di sollevarlo da dubbi e incertezze riguardo al futuro. Jirō soffre di miopia, un difetto che simbolicamente lo esula dalle nefandezze del mondo circostante, ma nello stesso tempo ridimensiona il suo sogno di volare. Tuttavia l’onerosa realtà di non poter pilotare un aereo, non gli impedisce di costruirlo. Affascinato dalla maestosità e dalle enormi potenzialità del mezzo meccanico, nonostante il minaccioso scenario di un contesto storico tutt’altro che pacifico, ciò che lui progetta e immagina come puro divertimento per famiglie, si trasforma ben presto nel famigerato Mitsubi ASM Zero, micidiale macchina da guerra, utilizzata dai kamikaze durante il secondo conflitto mondiale. Jirō attraversa in un continuo rimbalzo tra sogno e realtà 20 anni di storia giapponese. Si troverà nel bel mezzo del catastrofico terremoto del 1923, che conterà più di 100 mila vittime e raderà al suolo Tokyo, ma l’immane tragedia gli regalerà la magia di un incontro quello con Naoko, l’eroina tragica, colei che anni dopo tra montagne e rimandi “incantati” apparirà, mentre “si alza il vento” trasformandosi nell’amore della sua vita. Il tutto vissuto tra le grinfie di un mondo agonizzante, alla deriva, dominato da miseria e malattia, devastato dall’orrore di una guerra, che Jirō tiene stoicamente fuori dai sogni, ma risulta protagonista indiscussa di una realtà che distorce e mortifica qualsiasi visione onirica.

Nel tratteggiare il personaggio (realmente esistito) di Jirō, Miyazaki, più che in altri film mette in evidenza tutte le sue contraddizioni di uomo e artista. Abbandonate le meravigliose e iconiche figure del suo universo fantastico decide di ripercorrere il suo passato attraverso lo sguardo magnificamente irregolare del suo personaggio più complesso e affascinante. Miyazaki abbandona momentaneamente le sue visioni per mettersi al servizio di una storia disarmonica che solo l’incanto e la meraviglia del sogno può rendere accettabile. Figlio di un ingegnere aereo, appassionato di aviazione, fervido ecologista, da sempre impegnato a esplorare le controverse dinamiche che impediscono agli uomini di stabilire un pacifico rapporto con la natura, il film accusato in patria di militarismo cela l’insanabile conflitto tra progresso e distruzione. Un conflitto maldestramente alimentato dall’individualismo e dalla superbia di un’umanità sempre più annichilita e sconfitta dai propri limiti. La visione del regista diviene sempre più cupa, ma anche più determinata a preservare quell’aura di purezza contenuta all’interno di una storia d’amore che oltrepassa i confini dello spirito per abbracciare una fisicità fino a quel momento solo immaginata nella sua magnificente filmografia. Soffia un vento di burrasca, è vero, sopratutto in questi tempi oscuratamente incerti, ma con suoi 80 anni compiuti oggi Miyazaki riaccende la speranza con il suo “provare a vivere”ostinato e travolgente. E assolutamente necessario.

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