di Girolamo Di Noto

Buñuel è stato, più di ogni altro autore, meraviglia. Quella forma di meraviglia che più che destare ammirazione ha lasciato a bocca aperta, scombinato, sorpreso. Un regista, uno spirito libero che non ha mai avuto un approccio banale alla realtà, ma si è servito del cinema per scardinare e sgretolare, con l’arma dell’ironia e dello sberleffo, istituzioni intoccabili come la chiesa e non ultima la borghesia qui, in questo mirabile film, descritta come classe nevrotica, corrotta, perennemente insoddisfatta e messa a nudo nei suoi atti mancati.
Premiato con l’Oscar come miglior film straniero, Il fascino discreto della borghesia è una delle opere più belle del regista spagnolo, che raccoglie i pregi della piena maturità creativa del maestro del surrealismo, straordinario nel mettere alla berlina i vizi della società borghese e abile nel saperli mescolare in una dimensione onirica fino al punto che non sappiamo se tutto non sia stato in realtà un sogno di Rafael Acosta, il personaggio interpretato da Fernando Rey.

Grazie alla sua poetica visionaria e corrosiva, Buñuel ha raccontato gli eccessi, le trasgressioni, le ipocrisie dei protagonisti smascherandoli nei loro vizi privati e ammantando di grottesco il loro pubblico perbenismo. Il fascino discreto della borghesia è la storia di un pasto che non si riesce mai a consumare. L’ambasciatore (Rey) di uno stato immaginario, la Repubblica di Miranda, i signori Thevenot (Frankeur e Seyrig), la giovane Florence (Ogier), i signori Sénéchal (Cassel e Audran) si incontrano spesso per pranzi e cene, ma tutte le volte che decidono di mangiare insieme un imprevisto manda a monte l’incontro gastronomico. Se il primo pranzo organizzato dai Sénéchal salta perché questi pensavano di attendere gli ospiti la sera seguente, le circostanze dei successivi pranzi mancati si faranno sempre più inverosimili: una veglia funebre in una trattoria, il raptus erotico che porta i coniugi Sénéchal a rotolarsi in giardino, la scoperta di un pollo di plastica, l’irruzione di un gruppo di soldati capeggiati da un colonnello che partecipano ad una manovra.

I pasti si interrompono improvvisamente anche nei sogni. Sempre a casa del colonnello il pranzo è interrotto dall’ambasciatore, il quale, insolentito dal padrone di casa che allude al fatto che nella Repubblica di Miranda si usi troppo la violenza, decide di sparargli. Senza dimenticare il sogno in cui si vede una banda di gangster irrompere massacrando tutti i commensali, tranne il solito ambasciatore, che sotto il tavolo continua a mangiare l’appetitoso arrosto.

Tra i tanti ” quadri” che compongono il capolavoro di Buñuel, la sequenza che lascia attoniti e meravigliati è quella che vede gli invitati a casa del colonnello e nel bel mezzo della cena il sipario si apre e tutti si ritrovano su un palcoscenico, dal quale imbarazzati fuggono perché non conoscono la “parte”. Scena chiave del film che mette in risalto oltre alla solita liturgia della cena anche la sorpresa di chi – colto in flagrante – non è capace di recitare ruoli diversi da quelli rigidamente definiti dalle convenzioni sociali. Il rituale che viene sistematicamente interrotto è fatto di sorrisi, conversazioni vuote, disquisizioni su come preparare e gustare il Martini dry. “Si beve come lo champagne: va un po’ masticato”. A riprova di quanto detto, viene invitato l’autista, il quale da uomo del popolo qual è, mandando giù il cocktail in un sol colpo non fa altro che dimostrare, a detta del borghese, la sua inferiorità rispetto alla borghesia.

I borghesi riuniti attorno al tavolo sono tutti amici tra loro, ma dietro la facciata perbenista si nascondono ipocrisie e insoddisfazioni. Sono personaggi di plastica, privi di morale, che vivono in un mondo dorato fatto di apparenze e cliché. Gli uomini fanno contrabbando di cocaina, l’ambasciatore ha una tresca con la moglie dell’amico, il marito sorprende la moglie fedifraga eppure continua a conversare amabilmente di fronte all’amante in veste da camera. Il film di Buñuel è un compendio di situazioni grottesche, di frasi di circostanza, di atti mancati.

Il cibo non è la sola cosa che la realtà offre e sottrae. C’è il sesso, ad esempio, che lascia spesso l’amaro in bocca ai protagonisti. Diverse occasioni per “consumare” rapporti sono frustrate e turbate da imprevisti. Al cibo e al sesso va aggiunta la parola e da questo punto di vista chi resta “affamato” è lo spettatore. Affamato di senso perché vorrebbe capire, decifrare tutti i simboli disseminati nel film, perché vorrebbe comprendere certi dialoghi che però volutamente vengono interrotti dal suono di una sirena o dal rumore di un aereo. Il fascino discreto della borghesia conserva ancora oggi uno spirito anarchico e dissacrante, si svolge dentro un continuo intarsio tra realtà e fantasia, fa leva sulla lezione del surrealismo per raccontare sogni che non sono evasioni dalla realtà, ma rappresentano la sua continuazione.

Buñuel si diverte, attraverso la figura sognata del brigadiere insanguinato, a stravolgere le interpretazioni freudiane di Amleto, è impeccabile e mostra un’ironia velenosa nel descrivere il personaggio del buon vescovo folgorato dalla fede cristiana, che veste i panni del giardiniere dei Sénéchal, quando confessando un moribondo e scoprendo che è stato l’assassino dei suoi genitori, prima lo assolve, poi lo ammazza.

È criptico e affascinante nello stesso tempo nel mostrare più volte i sei personaggi che percorrono una strada deserta in mezzo alla campagna. Rinunciando al racconto tradizionale, Buñuel, con un senso dell’umorismo e l’arma dello sberleffo, costruisce una commedia fantasiosa e grottesca nella quale viene dipinto un ritratto dissoluto di una borghesia viziata, corrotta e ipocrita. Molteplici possono essere le interpretazioni di questo film, diverse analisi possono essere dedotte: il segreto però per godere appieno della sua visione sta nell’abbandonarsi, nel lasciarsi trasportare dalla sua meravigliosa libertà fantastica, nel perdersi nei labirinti onirici e intraprendere così un viaggio fascinoso, sorprendente e istruttivo, oltrepassando la barriera tra la realtà e l’illusione.
