Tristana, di Luis Buñuel (Francia/Italia/Spagna, 1970)

di Girolamo Di Noto

Pochi registi hanno, come Buñuel, descritto mirabilmente le passioni umane e le loro miserie, l’ambiguità dei rapporti e dato spazio alla dialettica tra costrizione e libertà. Tristana, presentato a Cannes nel 1970, racchiude questi temi e, da un certo punto di vista, può essere considerato un film-testamento: decanta la decadenza borghese, l’antagonismo tra essenza e apparenza, il peso importante che ha il caso, la deflagrazione dei sogni, l’erotismo rappresentato in piccoli dettagli e soprattutto ha il merito di seguire, con la tradizionale attenzione entomologica che da sempre ha contraddistinto il regista, la parabola esistenziale dei due protagonisti principali, Don Lope (Fernando Rey) e Tristana (Catherine Deneuve ) e l’intersecarsi delle loro esistenze e del reciproco scambio dei ruoli (da vittima a carnefice ).

Tristana, da poco orfana di madre, deve lasciare la sua casa e trasferirsi da Don Lope, il suo tutore che inizialmente le assicura decoro e protezione, ma con il tempo le riserva un’attenzione sempre più morbosa. Pur essendo un distinto signore molto stimato in città, ha idee e comportamenti libertari.

Don Lope è il personaggio più ambivalente e ricco di contraddizioni: è un difensore delle leggi dell’onore e un seduttore di innocenti. Un giudice di duelli e un passante capace di depistare la polizia che insegue un ladro per strada. Un azzimato signore dalla barba ben pettinata e profumata e un patetico vecchio con le pantofole sfondate. Il suo nobile disprezzo del denaro lo ha ridotto in miseria: in casa manca perfino il cibo e deve svendere quadri e argenteria.

Dapprima Tristana accetta la situazione poi, quando incontra Horacio (Franco Nero), un pittore, va via con lui, piantando in asso Don Lope. Questi è amareggiato ma è convinto che prima o poi la ragazza tornerà da lui. Come realmente avverrà…

Tratto da un romanzo di Pérez Galdós, Tristana è un film che lascia profondamente colpiti perché ancora una volta il regista non solo sa tratteggiare il ritratto viscido e ipocrita di un borghese aberrante, ma è anche abile nel risaltare il ribaltamento della dialettica vittima carnefice, dal momento che Tristana imparerà così bene la lezione di ipocrisia e di crudeltà di Don Lope da utilizzarla proprio contro di lui.

La metamorfosi di Tristana avviene lentamente e non trova come via d’uscita solo il tradimento: subisce, suo malgrado, l’amore – che lei crede paterno – di Don Lope, un sentimento perverso, morboso, possessivo che si traduce nella battuta di Don Lope: “Sono tuo padre e tuo marito, e mi comporto come uno o l’altro a seconda dei casi”, si sente prigioniera, crede di fuggire illudendosi di amare Horacio, per poi ritornare diversa nella casa da dove è andata via, trasformata sia nel corpo che nello spirito.

La Tristana ingenua e piena di vita degli inizi ha lasciato il posto ad un’altra donna: matura, mutilata, padrona dell’anima di Don Lope. La Tristana della fine è colei che rifiuta a Don Lope un bacio in giardino, il braccio all’altare, dopo il matrimonio, e il proprio corpo la notte delle nozze.

Nel film di Buñuel gli oggetti non rivestono la funzione che vogliono rappresentare ma dicono altro, anticipano ciò che accadrà. Le campane, ad esempio, non sono fatte solo per suonare, non racchiudono più lo scampanio di una vittoria o la chiamata alla messa, ma sono oggetti che si possono trasformare in un incubo, come nella scena del sogno di Tristana che “vede” la testa mozzata di Don Lope penzolare al posto del batacchio, una testa che batte le ore, il tempo e che la condizionerà per tutta la vita.

Anche il motivo della mutilazione di Tristana viene annunciato da una serie di segni apparentemente casuali: la passeggiata nel parco di un uomo con le stampelle e soprattutto quando Don Lope ha un giornale sul quale si può leggere un articolo che parla della “cancrena della Spagna”. L’amputazione dell’arto serve a rimarcare la mutazione dell’animo che avviene in Tristana, perché solo salendo sulla carrozzella, la donna diventa una vera padrona e, come si è già sottolineato, la stampella perde quasi la sua funzione originaria per trasformarsi in scettro, per costringere tutti ad essere i suoi servitori.

Nel film si fa riferimento al fatto che bisogna sempre guardare bene le cose, perché nella realtà non vi sono mai due oggetti uguali. Tristana ha questa ossessione di confrontare tra loro cose che sembrerebbero identiche: due colonne, due ceci della minestra, due strade. Scegliere una via può determinare una vita: è così che incontra Horacio, per caso.

Sono scelte che apparentemente fanno credere di essere liberi, perché in realtà Tristana non si rende conto di essere in un labirinto senza uscite. Alla fine torna da dove era partita, ritornano gli incubi, i rintocchi di campana, il capovolgimento dei destini, l’innocenza che si fa perfidia, il ripugnante che si fa pietà.

Tristana, ancora oggi, resta un’opera complessa, affascinante, ricca di innumerevoli rimandi simbolici. E se da una parte la sessualità della donna viene evocata nel rapporto ambiguo con un goffo adolescente masturbatore e soprattutto con l’inquadratura della protesi della gamba mutilata che forma con il reggiseno, le calze e le mutandine una composizione erotico-surrealista, dall’altro Buñuel mette in risalto il ruolo continuo ed ossessivo del cibo.

Se ne Il fascino discreto della borghesia i personaggi principali sono impossibilitati a consumare un pasto perché viene continuamente rimandato o interrotto per i più svariati motivi, in Tristana il cibo assume valenze diverse: i crostini fritti, che la donna mangia nell’abitazione umile del sagrestano, testimoniano il cambiamento dei tempi e la constatazione che ” tutti hanno fretta di far soldi”, la mela offerta al ragazzo è un chiaro strumento di seduzione o quella tagliata a spirale nel piatto di Don Lope può forse alludere ad un rapporto già consumato, per non tralasciare le verdure e l’uovo sodo della domestica Saturna fino ai dolci che Don Lope porterà a Tristana e, naturalmente, le cioccolate fumanti bevute da Don Lope e i tre preti con relativa commiserazione per i popoli che “si accontentano di bere del te”.

Stilisticamente ineccepibile, Tristana, come tutte le opere di Buñuel, si presta a più piani di lettura e si inquadra in una visione del mondo che mette a repentaglio ogni sicurezza dello spettatore, che vi potrà leggere i propri incubi e le proprie pulsioni.

Straordinaria la coppia protagonista: algida la Deneuve, perfetta nell’incarnare un personaggio difficile, la cui misogina spietatezza ricorda un altro personaggio da lei magnificamente interpretato, l’introversa Carol di Repulsion di Polanski, riprovevole Rey, perfetto nei panni del borghese spocchioso, che posa da anticonformista, ma è in realtà ferocemente conservatore.

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