Di A.C.

Partendo dalla base cartacea di uno “yonkoma” – così definito quel manga giapponese in formato striscia a fumetti – Takahata colse lo spunto per il suo film tramite una serie di tecniche d’animazione che riproducevano proprio la narrativa e l’estetica tipica delle vignette.
E infatti, come nelle storie scollegate delle comic strips, qui vanno in scena momenti di quotidianità degli Yamada, famiglia medio-borghese giapponese di cui si osserva episodi di vita senza apparente filo conduttore tra drammi e gioie, nei momenti di unione e anche in quelli di comprensibile individualismo dei suoi membri, le cui esigenze personali di ciascuno talvolta portano ad inevitabili contrasti. Una famiglia come tante insomma, con due genitori il cui matrimonio sembra essere a un punto di stallo, una nonna che inizia a fare i conti con i problemi della senilità, un figlio maggiore alle prese con le vicissitudini dell’adolescenza e una figlia più piccola a tratti trascurata all’interno del nucleo familiare.

Probabilmente tra gli autori dello Studio Ghibli Takahata si è distinto più di tutti nella sperimentazione di diverse tecniche di disegno e animazione. Se si pensa allo stile iperrealista nel disegno dei precedenti Una tomba per le lucciole e Pioggia di ricordi, I miei vicini Yamada rappresenta un totale cambio di rotta come stile e struttura poiché per la prima volta nella produzione Ghibli entrò in gioco la computer grafica come elemento preponderante nel prodotto d’animazione, al fine di ricreare in maniera accurata quel disegno apparentemente grezzo delle vignette fumettistiche, donando alla storia e ai suoi personaggi una forte connotazione surreale e ironica.
Takahata ribadisce la centralità antropologica del suo cinema, di diretta ispirazione da Yasujiro Ozu, guardando alle vite delle persone comuni, e mescola la sua dialettica con le fattezze comiche e visionarie del fumetto. Di qui una commedia agrodolce in cui spezzoni di quotidianità trovano un connubio miracoloso nel realismo e nell’umorismo sgargiante tipicamente nipponico, il tutto accompagnato da piccoli componimenti poetici (detti “haiku”) al termine di ogni episodio.

I membri della famiglia Yamada, infatti, dietro le loro fattezze all’apparenza “grossolane” sono rappresentazione universale di persone comuni con problemi comuni. Risulta incredibilmente facile entrare in empatia con le loro esistenze e con tutte quelle dinamiche di vita familiare, che possono apparire come storie di noiosa ordinarietà ma che proprio nella loro semplicità nascondono una profondità di significati e di sentimenti.
Emblematiche alcune scene come i tentativi vani del padre di raccogliere la famiglia sotto la neve o il suo timido confronto con un gruppi di motociclisti con tanto di fantasia “supereroica” volta a compensare il senso di inadeguatezza nella vita reale.

Momenti di imprevedibile alternanza, talvolta allegri talvolta duri, talvolta divertenti e talvolta commoventi, ma proprio nell’imperfezione e nell’incostanza si riesce a percepire il gusto delle cose, e all’incertezza del futuro non resta che rispondere “que sera, sera…”
Anticipatore per alcune tecniche stilistiche de La storia della principessa splendente (capolavoro conclusivo della carriera del regista), I miei vicini Yamada è una piccola perla ingiustamente poco ricordata all’interno dello Studio Ghibli, ma di fatto tra i suoi risultati più originali ed innovativi.
“A proposito, nella lunga rotta della vita la cosa più spaventosa quale sarà? Sarà la burrasca? Saranno i flutti tumultuosi? In verità, è la mirabile bonaccia, con la superficie dell’acqua piatta come uno specchio. Per quanto impetuose le onde, i coniugi e tutta la famiglia, finché si tengono saldamente per mano, in qualche modo possono attraversarle. Però, quando c’è bonaccia, non è così che va. Il vento cessa a puntino, con un sospiro di sollievo gli animi si rilassano. In queste stagioni di bonaccia, mentre ci si diverte per conto proprio, prima di rendersene conto si può finire per perdersi di vista. Anche se alle spalle si avvicinano terrificanti squali e pescecani, nessuno se ne accorge”
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