Antonio Albanese: uomo d’acqua dolce (1996) contromano (2018).

di Andrea Lilli –

Nascendo in un paesino lacustre della Brianza, “giù nel Nord” da madre palermitana e padre catanzarese, Antonio Albanese si predispose immediatamente allo status di uomo d’acqua dolce e contromano. Titolerà così due dei quattro film girati da regista: il primo e l’ultimo in ordine cronologico. La brillante carriera di Albanese come attore comico inizia nei cabaret. Dallo Zelig di Milano porta in televisione una serie di personaggi comico-grotteschi, popolarissimi negli anni ’90: Epifanio, Ivo Perego, Alex Drastico, Pacifico, Frenco, Efrem, il giardiniere di Berlusconi Pier Piero, etc., con cui mette a frutto una straordinaria capacità di ridicolizzare tic, stereotipie, pregiudizi di ogni ordine e grado sociale, e dialetto. L’esempio più recente: il mitico politico calabrese Cetto La Qualunque. Soggetti spassosi che animano alcuni dei ventidue lungometraggi interpretati in ventidue anni. Negli altri film Albanese riveste ruoli più ‘normali’, equilibrati, generalmente malinconici, anche drammatici, dimostrando una versatilità enorme, un talento mimico e mimetico non comuni. Mettiamo a confronto, come esempio di tale doppia attitudine, al gesto e alla parola, questi due titoli.

UOMO D’ACQUA DOLCE (1996). Il gesto.

Antonio (Antonio Albanese) e Beatrice (Valeria Milillo) si conoscono da una vita, sono sempre stati insieme, ora sono una giovane coppia felicemente sposata. Lui è un professore di storia, lei insegna musica. Antonio è un buono, un tipo generoso e un po’ imbranato, gira in motorino, ricorda nei gesti il personaggio di Epifanio. Per imporre il silenzio in classe durante la lezione è costretto a sparare colpi di pistola, come del resto fanno i suoi colleghi. Ha un collega, Patrizio, cui presta soldi nel momento del bisogno. Beatrice è incinta, e un giorno le viene una gran voglia di funghetti sott’olio. Antonio corre al supermercato, dove ha un incidente: cade svenuto e perde la memoria. Quando si riprende, invece di tornare a casa, si smarrisce nella città. Passano cinque anni. Beatrice, convinta di essere stata abbandonata da Antonio, ha un nuovo compagno, il noioso e aitante Goffredo (Antonio Petrocelli); la figlia di Antonio, Tonina, è una splendida bambina.

Goffredo, Antonio, ‘L’urlo’ di Munch, Beatrice

All’improvviso Antonio torna a casa, in stato discretamente confusionale, più strampalato di prima, ma determinato a riprendere il proprio posto in famiglia. In tasca ha ancora il vasetto di funghi sott’olio. Non ricorda nulla di quei cinque anni, nemmeno l’incidente. Vede per la prima volta Tonina, che apprezza quello strano papà. Inizia un inseguimento, un assedio, una guerra disperata da parte di Antonio per la riconquista di Beatrice, che lui vincerà contro ogni pronostico, grazie a una carica umana e ad una fantasia creativa, cui Goffredo può opporre solo un rassegnato piagnucolio.

Tonina, Beatrice

Alla buona riuscita dell’esordio da regista di Albanese contribuiscono le collaborazioni di Vincenzo Cerami per il soggetto e la sceneggiatura, e di Nicola Piovani per la colonna sonora: due firme che nello stesso periodo lavoravano a La vita è bella di Roberto Benigni, l’altro comico di punta degli anni Novanta. Ad Albanese va riconosciuta l’abilità di mescolare bene ingredienti difficilmente amalgamabili: scene di comicità corporea – sulla scia di una lunga tradizione, dal cinema muto in poi -, momenti di riflessione, lampi di poesia. Ecco allora Antonio che balla forsennato nel negozio di dischi o nel parco, che insegue a lungo un’oca urbana, che corre in motorino o in barca a remi, che scappa da un concerto mortifero facendo gesti apotropaici, che distrugge un frac e si mette un vestito da suora, insieme all’Antonio che all’ex collega convertito alla religione del liberismo (“Ricordati Antonio: uno stupido ricco, è ricco; uno stupido povero… è stupido”) risponde “Dimenticami, Patrizio“, e alla donna che vuole la “simultaneità perfetta” dice “Secondo me si è fatto tardi. Dimentichiamoci all’unisono, Patrizia”.

E, ancora, insieme all’Antonio buffo che sporge il labbro inferiore e avanza col collo in avanti, che spedisce baci volanti, che disegna arabeschi in aria come in una vignetta di Saul Steinberg, che fa l’imitazione del treno in galleria, che nel ristorante improvvisa canzoni surreali, che racconta a Tonina: “Ho visto il rosso, l’azzurro, il giallo, il blu. Molto blu, tanto blu… di tutti i colori! Ho scoperto che il colore buono è il bianco, perché rimane fedele. Il resto si ribella! È vero… Il grigio si intristisce e butta acqua, il viola scappa al tramonto, il nero si fa nero, il rosso dura poco, il giallo brucia tutto e l’azzurro costa caro… Però, i colori, sono belli visti da dietro. Tu l’hai mai visto il rosso da dietro? Non sta fermo, cambia… Se gli vai addosso, schizza via come un gatto! Però, se hai la chiave, vedi i colori più belli, gli spettacoli più belli!“. E riesce a conquistare ciò che ama.


CONTROMANO (2018). La parola.

Il milanese Mario Cavallaro (Antonio Albanese) ha cinquant’anni, è single, metodico, fa una vita regolare, possiede un negozio di calze ereditato dal padre, ha un hobby: l’orticello allestito sul terrazzo di casa, una vicina, Gisella (Daniela Piperno), e un’ossessione: tenere tutte le cose in ordine, ovvero riportarle al loro posto. Extracomunitari compresi. Già, perché per Mario è insopportabile veder consegnare lo storico bar da lui frequentato in mani egiziane, e tra gli ambulanti abusivi che vendono ombrelli, collane e altro c’è Oba, un senegalese che offre calze e calzini proprio davanti al negozio di Mario, tutti i giorni, rovinandogli gli affari. Dunque decide di riportare Oba a casa sua, costringendolo ad accettare un passaggio in macchina per il Senegal. Il Mario-pensiero è semplice e folle: “Se ognuno di noi riportasse un migrante a casa, il problema immigrazione sarebbe risolto“.

Oba accetta di essere riaccompagnato a casa, ma solo se insieme a sua sorella, la bellissima Dalida, a sua volta amica di un disabile, Umberto, anche lui in tour per un breve tratto (“Guardi che l’handicap non è contagioso“). Per Mario un viaggio lungo e pieno di imprevisti, che ne stravolgeranno l’esito. Pur di disfarsi fisicamente di Oba esce per la prima volta dal suo recinto; come Astolfo nell’Orlando Furioso, “Per l’Africa vagar poi si dispose“. Un’Africa in cui “Niente è vicino, niente è comodo, niente è facile. Sì, però è bello“.

Oba, Mario, Dalida

Qui la sceneggiatura è a quattro mani: Albanese, Stefano Bises, Makkox (Marco Dambrosio), e quell’Andrea Salerno – ora direttore di LA7 – che tra l’altro aveva portato Antonio Albanese, con Paolo Rossi e i fratelli Guzzanti, nei palinsesti di Rai 3. Tuttavia, per quanto divertente e non troppo sbilanciato verso sbrodolamenti ‘buonisti’, Contromano si colloca tra i film didattici, non tra quelli satirici. Albanese indossa alla perfezione i panni composti del commerciante milanese angosciato, poi illuminato sulla via di Damasco, ma proprio per questo il suo talento poliedrico viene annullato.

È un viaggio dal ritmo talvolta un po’ lento, ma offre anche accelerazioni e guizzi memorabili: come la scena del disabile che, in quanto tale, viene lasciato orinare impunemente sulla Porsche alla stazione di benzina. Alla fine, Mario concluderà che “sono le cose diverse che fanno crescere il mondo. Ci vorrà fatica a mischiare tutto, a capire che non c’è ordine migliore di un sano disordine. E comunque siamo vicini, per rimettere le cose a posto basta un viaggio di pochi giorni, si fa tutta una tirata. Sì, insomma, il mondo è troppo piccolo per non viverlo tutto, tutti. Un sogno? Forse sì. Ma fare sogni fantastici e internazionali è la cosa più bella che ci può capitare nella vita.” In altre parole, dopo 22 anni Antonio Albanese ribadisce, contromano, oggi ancor più in controtendenza, la teoria dei colori dell’uomo d’acqua dolce.


2 risposte a "Antonio Albanese: uomo d’acqua dolce (1996) contromano (2018)."

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  1. Visti entrambi,il primo tanti anni fa,il secondo recentemente.
    Albanese e’ un attore che mi piace molto. Possiede un innata capacità di fare sorridere e anche ridere. Tanti suoi personaggi sono persone vere che ha incontrato nella sua vita. E’ stato capace di trasformarli in caricature,con successo. Anche lui,come altri comici italiani,e’ stato capace di portare al cinema tanti aspetti e atteggiamenti degli italiani. Il suo “Cetto La Qualunque” rimarrà sempre un simbolo, un esempio del periodo berlusconiano italiano,degli eccessi,del degrado culturale e sociale

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    1. Condivido. E aggiungo che Albanese è riuscito intelligentemente a servirsi di Berlusconi (e della RAI, di Cecchi Gori, etc) senza diventarne servo sciocco. Ha sempre mantenuto una sua autonomia satirica anarchica, credo ancora fertile di belle sorprese.

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