di Marzia Procopio
Dal 30 maggio è disponibile su Netflix Inside, il virtuosistico special scritto, diretto, interpretato e montato dal comico statunitense Bo Burnham: una raccolta di un’ora e mezza di canzoni, frammenti, monologhi e meta-filmati che riflette l’esperienza collettiva dell’anno scorso inserendola nel più ampio contesto dello story telling della rete.

Burnham aveva solo 16 anni quando scrisse una canzone parodia, My Whole Family, filmandosi mentre la cantava nella sua camera da letto. La caricò su YouTube, allora un sito web poco conosciuto per condividere facilmente video, non immaginando che la sua canzone avrebbe avuto milioni di visualizzazioni né che avrebbe dato il via alla sua carriera in una nicchia artistica che potremmo definire di commedia musicale consapevole. Quindici anni dopo Burnham, a casa durante la pandemia di COVID-19, ha deciso di sedersi di nuovo al suo pianoforte e vedere se poteva ancora una volta intrattenere il mondo dai confini claustrofobici di una stanza.
Numerosi progetti cinematografici hanno tentato di affrontare il trauma collettivo dell’anno passato: in Italia, in modo del tutto diverso, il bel documentario di Gabriele Salvatores Fuori era primavera. Ma a parte il tempismo – Inside è uscito sulla piattaforma il mese scorso, quando molte città statunitensi erano tornate alle attività pre-pandemia – lo speciale di Burnham ha il pregio di offrire una riflessione originale (anche se non isolata, perché negli stati Uniti altri sceneggiatori e romanzieri hanno affrontato il tema) perché scava nell’esperienza soggettiva e confusa di una persona che vive online.

Inside prende di mira alcuni dei generi più popolari di contenuti Internet occidentali: gli streaming di video, Instagram e le sue donne bianche con i loro contenuti banali, le nevrosi alimentate da Internet, il porno. Il titolo si riferisce alla mansarda dove il comico gira lo special, ma anche all’interiorità di Burnham e al divertimento digitale, che si gioca tutto senza una reale relazione con l’esterno: commercio, socializzazione, contenuti che appiattiscono tutto. Inside inizia in modo simile ai precedenti speciali di Burnham, What del 2013 e Make Happy del 2016, con una raccolta di canzoni accattivanti che colpiscono ampi target culturali, dal FaceTiming delle mamme al sexting imbarazzante, passando per la deriva Woke che colpisce in primis gli artisti. Canzone dopo canzone, Burnham parodia tutti i comportamenti e i fenomeni della rete, se stesso per primo in quanto parte consapevole di un sistema che accresce l’ansia e aumenta il senso di solitudine e inadeguatezza delle persone. Come artista nativo di Internet, Burnham è il messaggero perfetto per rappresentare quest’ansia, tanto più che smise di esibirsi in commedie dal vivo nel 2015, dopo aver lottato contro gli attacchi di panico, e rivolgendosi ad attività meno ansiogene come la recitazione, in Promising Young Woman, e la regia dell’acclamato film del 2018 Eighth Grade. Gran parte di Internet è ambivalente, canta Burnham in Welcome to the Internet, “un po’ di tutto, sempre”. Essere online può sembrare allo stesso tempo espansivo e claustrofobico, rinvigorente e mortificante, naturale e privo di significato. Può spalancare il mondo e insieme, soprattutto durante un anno in cui la maggior parte delle nostre interazioni è stata mediata da schermi, appiattirlo in un simulacro a buon mercato. È angosciato (“totale dissociazione”, canta in That Funny Feeling) ma non gli interessa condannare le persone per l’utilizzo degli strumenti digitali disponibili; non c’è una cornice generale, nessuna menzione della pandemia per nome: solo un viaggio nella tana dell’isolamento di un artista durante l’ultimo anno, un viaggio angosciato e ambivalente in cui il continuo focus su se stessi dà agli spettatori la possibilità di rintracciare all’interno di sé le proprie schegge emotive e di vedere più chiaramente il bilancio.

Geniale nel dirigere, scrivere, scrivere canzoni, esibirsi, Burnham sceglie la ricorsività per esplorare il circuito, il movimento del nostro rapporto con Internet e i social media, esasperatosi durante la chiusura: la ripetizione, il rispecchiamento e l’autoreferenzialità divengono dispositivi formali funzionali al suo discorso sulla dipendenza dalla rete, sulla sua pervasività. Burnham rivolge all’Internet una critica che riguarda non solo i social media, ma anche il rapporto generale tra le aziende e l’arte, l’intrattenimento, l’informazione. “Forse permettere alle gigantesche società di media digitali di sfruttare il dramma neurochimico dei nostri figli a scopo di lucro, sai, forse è stata una cattiva decisione da parte nostra”, riflette, mentre è sdraiato sul pavimento, avvolto in una coperta. “Forse l’appiattimento dell’intera esperienza umana soggettiva in uno scambio di valori senza vita che non avvantaggia nessuno tranne, uhm, conosci una manciata di salamandre con gli occhi da insetto nella Silicon Valley, forse quello come…stile di vita per sempre, forse non va bene”. Si pone, con Inside, la questione già vista per The social dilemma, il cortocircuito che si genera quando una critica alla rete viene da un prodotto e da artisti nati per la rete, tanto più se viene da una delle prime star di YouTube, che ha aperto la strada a quel tipo di cultura virale di Internet che ora gli sembra un anatema e che in rete ha avuto così tanto successo da poterlo sfruttare per il successo al cinema, vedi appunto Eighth Grade. Molti dei momenti migliori e più incisivi di Inside provengono dalle sue osservazioni sulla cultura online, come il suo pezzo (intenzionalmente ricorsivo) sui video di reazione di YouTube.
Burnham ha impiegato più di un anno per finire Inside. A metà del primo atto, si comincia a vedere il quadro che sta dipingendo: un ragazzo bianco, divertente e di talento, che sta seriamente lottando contro la depressione dell’isolamento e sente sia il bisogno di creare sia il senso di senso di colpa per essersi affermato in un mondo che è diventato sempre più scettico nei confronti delle persone come lui: “Il mondo ha bisogno della direzione di un ragazzo bianco come me”, canta sarcasticamente. Lo status di Burnham come comico di successo non lo ha protetto dalla realtà dell’isolamento. Inside è il suo modo ambizioso di impegnarsi per elaborare quell’esperienza e condividerla con il pubblico in modo profondamente personale, ma universale. È un’opera personale quando Burnham, pallido e nervoso, parla della sua salute mentale, e universale perché incentrata sull’esperienza alienante dell’ultimo anno, in cui le nostre vite digitali hanno sostituito la realtà. La sua ipotesi è che ciò che si vede online costituisce necessariamente i mondi interiori o i riflessi di altre persone, alcune delle quali sgradevoli; ma cosa significherebbe per lui separare la sua stessa onlineness dai suoi contenuti? Questo sembra essere il nodo irrisolvibile, la gioia e il dolore della sua vita. Aveva una missione – creare uno spettacolo comico solista che lo avrebbe aiutato a sopravvivere durante la pandemia – e ci è riuscito. Il limite di questo lavoro è che l’autore non interroga completamente la sua relazione con la cultura che lo ha formato, la cultura dello spazio digitale che, pure, attraverso la parodia e il meta-commento sul ruolo degli intrattenitori maschi bianchi nel mondo e dei veleni trovati nella cultura di Internet, qui smaschera.
Burnham chiarisce che Inside è un poioumenon, in greco antico “prodotto”, termine creato dall’autore Alastair Fowler e solitamente usato per definire un lavoro artistico che racconta la storia della propria creazione: una sorta di meta-fiction, un’operazione per offrire l’opportunità di esplorare i confini della finzione e della realtà – i limiti della verità narrativa. Un esempio di meta-fiction: la scheda del titolo viene visualizzata in bianco, quindi diventa rossa, segnalando che una telecamera sta registrando. Vediamo una serie di meta-scene che mostrano Burnham che installa le sue telecamere e le luci. Poi un rapido lampo del suo futuro io irrompe per dare un’occhiata al pubblico: i capelli di Burnham sono più corti, nei primi momenti dietro le quinte, ma il suo io futuro ha una barba più lunga e spettinata e capelli disordinati. Quando appare quel Burnham del futuro, è una prolessi di ciò che ci avrà mostrato alla fine dello special: che sia lui che il suo pubblico non avrebbero mai potuto sapere quanto brutale sarebbe stato l’anno successivo. Burnham è un attore straordinario e Inside spesso ci fa sentire come se stessimo guardando la reale vita interiore di un artista, ma è vero che le questioni poste dalle canzoni riguardano sempre l’artista dentro al contesto di riferimento, e cioè l’opinione pubblica quale delineata dalla rete: la prima canzone completa in Inside è una parodia del dibattito interiore dell’autore sull’opportunità o meno di “scherzare in un momento come questo” – completa di una lavagna che mappa come dire se uno scherzo è divertente o meno. Sembra di vedere gli infiniti, feroci dibattiti pubblici sulle bacheche di Facebook per capire che il dilemma non è personale ma sociale, che le domande sono retoriche perché l’assurdo è davanti agli occhi di tutti, che i sentimenti mutano segno e si rovesciano da riso a dramma in un attimo. Velocissimi, come un click.
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