Ingeborg Holm (1913) e I proscritti (1918), di Victor Sjöström

di Girolamo Di Noto

Non è possibile parlare del cinema svedese senza nominare Victor Sjöström. È vero, il primo regista forse più conosciuto che potrebbe emergere per associazione di idee è certamente il mostro sacro Ingmar Bergman, ma il padre del cinema d’arte svedese è senz’altro Sjöström, che tutti i cinefili non possono non ricordare anche come attore, soprattutto nel film di Bergman Il posto delle fragole, dove impersona l’indimenticabile professore Isaak Borg. Sjöström è stato uno dei maggiori autori dell’epoca muta e ha realizzato film che sono dei veri e propri capolavori come Il carretto fantasma, C’era un uomo, Ingeborg Holm, I proscritti.

Chi non ha avuto la fortuna di vedere i suoi film proiettati sul grande schermo in anni passati, riproposti dal Festival del Cinema Ritrovato di Bologna o dal Festival del Cinema muto di Pordenone, ha l’occasione imperdibile di gustarseli su Netflix, la cui scelta di riproporre intensi film muti svedesi non solo di Sjöström ma anche di Stiller, è certamente encomiabile e di tutto rispetto.

Uno dei film da non perdere, una delle pietre miliari della storia del cinema muto è senza dubbio Ingeborg Holm, un capolavoro delle origini – del 1913 – che narra la tragica storia di una donna che si ritrova improvvisamente incapace, dopo la morte del marito, di mantenere i propri figli. Un melodramma che mostra come una donna della buona borghesia arrivi a percorrere la strada verso il basso della società.

Un film, diceva Bergman, “parte spesso da una singola immagine: un viso che di colpo viene intensamente illuminato, una mano tesa verso l’alto…”. In Ingeborg Holm la scena in cui la donna perde la ragione perché il figlio piccolo, allontanato da lei dai servizi sociali, non la riconosce più come madre, è una delle più toccanti del film, è una delle tante immagini emozionanti che permette a Sjöström di considerare il cinema come un formidabile mezzo di espressione capace di radiografare l’anima umana in modo eccezionalmente preciso e chiaro.

Il film, inoltre, offre in primo piano l’umiliazione che la società è solo in grado di porgere al degrado dell’individuo. La povertà è considerata una colpa e la società che circonda la donna non si limita che ad isolarla, la separa dai figli, la obbliga a vederli solo a distanza. Sjöström è straordinario nel saper coniugare una documentata durezza della società incapace di provare sentimenti di fronte ad una tragedia familiare con le immagini strazianti dello sprofondare di una mente. Sarà un film che avrà grande risonanza in Svezia a tal punto da condurre ad una riforma delle leggi assistenziali.

Di grande impatto visivo è anche il film I proscritti, che racconta la storia di un uomo, Kari (interpretato da Sjöström) accusato di furto, che si ritrova a vagare per l’Islanda assieme alla donna che ama (Erastoff, nella realtà moglie di Sjöström), come un fuorilegge. Ancora una volta emerge, come in Ingeborg Holm, una critica feroce verso la società cieca nei confronti dei bisognosi, incapace di dare a chi ha sbagliato una seconda possibilità.

Il film richiama temi cari al regista come l’ineluttabilità del destino, la sofferenza immeritata e ingiusta dei protagonisti e aggiunge rispetto al film precedente il tema preponderante della natura, vista non solo in funzione descrittiva ma anche narrativa e drammatica. L’opera è un immenso archivio di splendidi paesaggi, I protagonisti appaiono notevolmente più piccoli della natura circostante e sono attratti nello stesso tempo dalla libertà, ma anche schiacciati da una forza trascendentale che non possono sovrastare.

“La loro unica legge era il loro amore”, dice una didascalia del film. È una delle prime storie d’amore struggenti raccontate al cinema. I due protagonisti decidono di sacrificare tutto pur di stare insieme e il loro rapporto sarà caratterizzato da un’aura breve di felicità e da una inevitabile fragilità simboleggiata quest’ultima dalle rupi, dal tema ricorrente del precipizio che scandisce metaforicamente la precarietà del loro destino. La montagna è rifugio, poi minaccia e infine trappola, così come la tempesta di neve rispecchia il gelo che i due amanti si portano dentro dopo anni di fughe, di perdite, di sacrifici.

Una storia d’amore che ha tutti gli aspetti della fiaba:“Kari cadde in un pozzo profondo e pensò che non avrebbe più rivisto il sole. Ma improvvisamente si trovò in un prato verde e vide un castello alto… e una principessa di fronte a lui”. Il principe, la principessa, la nascita di una figlia. Breve sarà l’idillio perché in agguato ci saranno i nemici, come il magistrato Bjorn, che continuerà a braccarli, senza tregua. I due amanti, inoltre, dovranno vedersela anche con l’invidia del loro comune amico che, ad un certo punto della storia, preso dalla disperazione e dalla solitudine si invaghisce della donna al punto da desiderare di uccidere il suo amico.

Il tema del sesso e dell’erotismo è trattato da Sjöström con efficacia e sensibilità per i tempi di allora e il desiderio del corpo è accompagnato da un tormento interiore. Esemplari sono due scene: quella che riprende l’amico intento a guardare con bramosia la scollatura della donna e un’altra che vede Pari cadere da un precipizio ma riuscire ad aggrapparsi ad un ramo. Una scena drammatica che può prevedere un esito felice solo se l’amico gli tenderà la corda per farlo risalire. E così sarà, ma nel momento in cui dovrà farlo l’amico è lacerato dal desiderio di tagliare la corda- e in quel momento un fotogramma ripropone nella mente dell’uomo la scollatura tentatrice della donna – e dalla coscienza che alla fine lo farà rinsavire inducendolo a sollevare il corpo.

Ancora una volta la magia di un film muto è tale da riuscire a sintetizzare mille parole con una brevissima didascalia: “L’amore rende buono un uomo e malvagio un altro”. Caratterizzate da un’indole forte, umana e profonda, le opere di Sjöström vanno quindi riscoperte perché grazie a lui, come scrisse un entusiasta regista alle prime armi, Carl Theodor Dreiser, “il cinema è riuscito ad entrare nella terra promessa dell’arte, la buona letteratura ha trionfato sul romanzo d’appendice, la vera arte drammatica sulla recitazione marionettistica, l’atmosfera sulla tecnica”.

Ingmar Bergmann e Victor Siöström sul set di Il posto delle fragole

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