Hasta la vista, di Geoffrey Enthoven (2011)

di Andrea Lilli –

Era ora. Il belga, anzi fiammingo, Hasta la vista esce finalmente nelle sale italiane. Dieci anni fa aveva vinto il premio principale al Festival di Montreal e il premio del pubblico per il miglior film agli European Film Awards. Presentato alla Festa del Cinema di Roma, è adesso distribuito dalla benemerita Wanted Cinema. È un film sul sesso dei disabili, definiti ‘angeli’ troppo spesso, e molto comodamente, da noi cosiddetti normodotati. È pure un film sull’amicizia complice tra disabili. E sul loro difficile, delicato rapporto con i genitori.

Hasta la vista è uno di quei road movies che scherzano seriamente tra realtà e fiction e fanno ridere, riflettere, allargare punti di vista miopi e pigri. Dovrebbe essere proiettato ovunque: nelle arene estive, nelle scuole, nelle case di riposo, nei cinema parrocchiali, ma anzitutto e subito in Parlamento, dove il disegno di legge n. 1442/2014, “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità” è stato dimenticato, ormai abbandonato, mentre ci si scanna sul disegno di legge 2005/2020 (cosiddetto ddl Zan), dove i disabili sono stati presi per i capelli e infilati in un calderone di “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, come se non ci fosse già una normativa sufficiente a prevenire e contrastare discriminazioni e violenze sui disabili in quanto tali.

Le leggi che li tutelano ci sono eccome. Bellissime, illuminate, sull’inclusione scolastica e lavorativa, sull’assistenza sociale, sanitaria, pensionistica, sull’accessibilità architettonica, sulla mobilità, sulle attività ricreative e sportive. Il problema sarebbe ricordarsene, applicarle, farle rispettare quelle leggi, invece di crearne nuove, inutili per i disabili, che guardano ad altri obiettivi. Solo sull’assistenza sessuale non c’è ancora una legge. Ma è un tema che, almeno da sette anni, non sembra più incontrare la cortese attenzione dei/delle nostri/e parlamentari.

Chissà quando se ne riparlerà, dopo l’indifferenza mostrata verso quella proposta che denunciava un pregiudizio tuttora radicato, quello per cui “le persone disabili sono percepite come asessuate, prive di una dimensione erotica e senza un desiderio di intimità“, e puntava a normare anche in Italia la figura professionale di Assistente sessuale, fondamentale per rivelare o restituire una vita intima soddisfacente a chi per handicap fisici, psichici o emotivi non possa muoversi in autonomia nella dimensione sensuale, ancor prima che sessuale. Un ruolo terapeutico che esiste da decenni in altri Paesi, e che permette al soggetto disabile di completare la propria identità, di trovare un’autostima e un equilibrio più solidi, di non rinunciare alla comunicazione erotica e affettiva che è un fattore fondamentale dell’equazione umana, in cui ciascuno di noi è una variabile dipendente dalle altre. Definito pure come partner surrogato, lovegiver, OEAS (Operatore all’Emotività, all’Affettività e alla Sessualità), l’assistente sessuale svolge una funzione importantissima, necessaria al disabile che non voglia rassegnarsi al mercato della prostituzione, come invece succede ai tre protagonisti di questo film spassoso, ma con un retrogusto amaro.

La trama. Philip, Lars e Jozef sono tre giovani amici. Due sulla sedia a rotelle e uno cieco. Amano il vino e ammirano le belle donne, ma a causa dei rispettivi handicap non ne hanno mai avvicinata una in grado di assecondare i loro desideri. Philip, paraplegico ma il più deciso a scoprire finalmente cosa significa fare sesso con una donna, convince Lars e Jozef a progettare una vacanza insieme, destinazione Mar Mediterraneo. Sfuggendo al controllo dei genitori, assoldano un’autista (Claude) corpulenta e apparentemente scorbutica, lasciano il bigio Belgio in un vecchio furgone, e tra incidenti, litigi e riconciliazioni i quattro raggiungono un bordello spagnolo noto per non disdegnare la pecunia di clienti disabili gravi. Un viaggio iniziatico pieno di sorprese, anche estreme. Non si tratta solo di sesso: le tensioni maggiori riguardano le forme dell’affetto (genitoriale, amicale), del bullismo, della solidarietà, della malattia.

Il regista, Geoffrey Enthoven: “Ho voluto raccontare una storia sull’amore, l’amicizia e il desiderio, dove l’umorismo è l’unico modo di superare situazioni tragiche e irrisolvibili. Un film sulla vera essenza dell’amicizia, quella senza filtri che può prendere in giro senza ferire e che è sempre di conforto nei momenti più bui e tristi, facendo vivere con gioia ogni attimo.”

Hasta la vista è un titolo che gioca col nome del protagonista di questa storia vera, Asta Philpot, affetto da artrogriposi multipla congenita, una patologia caratterizzata da rigidità articolare che impedisce i movimenti. Durante una vacanza in Spagna nel 2006 aveva sentito parlare di un bordello legale con accesso per le sedie a rotelle: decise di visitare il luogo, portandoci poi altri disabili. Su questa esperienza, che lo ha spinto a perorare la causa dei diritti sessuali, è stato realizzato un cortometraggio autobiografico per la BBC (For One Night Only, 2007), da cui la sceneggiatura estesa di Hasta la vista (2011). Nel 2019 è uscito un fedele remake negli Stati Uniti, Come As You Are, per la regia di Richard Wong. In entrambe le fiction Asta Philpot appare in brevi sequenze. Dei tre film, basterebbe il primo – crudo come la realtà che documenta – a smuovere i nostri legislatori dal torpore, a distrarli dai loro narcisismi. Forse.

Asta Philpot degustatore in Hasta la vista
Asta Philpot manager in Come As You Are

  • In sala dal 24 giugno 

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