di Girolamo Di Noto

“Invecchio e sempre molte cose imparo”
Solone
Non è da tutti saper raccontare con tanta autenticità e sottigliezza il tema della vecchiaia, non è affatto semplice trattare questa stagione della vita senza incorrere in imbarazzanti luoghi comuni o in rischiosi argomenti, che spesso vengono tralasciati per il timore di offendere o di mancare di rispetto. Se c’è una serie tv che è riuscita a trattare il tema della senilità con spirito goliardico e malinconico e senza alcuno spettro caricaturale, questa è sicuramente Il metodo Kominsky, un piccolo gioiello targato Netflix, di tre stagioni, che ha visto come protagonisti due colonne portanti di Hollywood, Michael Douglas che interpreta Sandy Kominsky e Alan Arkin, che dà vita al personaggio di Norman Newlander.

Ideata da Chuck Lorre, il cui nome è legato a sitcom di grande successo come The Big bang theory, la serie può essere considerata come una parabola dolceamara sull’invecchiamento, sull’avvicinarsi della morte, una sorta di “meditazione sulla soglia”, ricca di riflessioni disincantate sulla solitudine, sulla paura del tempo che passa, sulle fragilità fisiche rinvigorite da integratori, sulle debolezze dell’animo, ma anche sulla vita aperta a imprevisti non solo dolorosi ma anche a inattesi incontri, soddisfazioni inaspettate, nuove opportunità che rendono la vita meno amara e possono regalare persino una seconda giovinezza.

Sandy è un attore non più quotato che si destreggia tra le lezioni di recitazione per i suoi allievi e la vita privata incasinata, complicata da tre matrimoni fallimentari e un rapporto con la figlia non sempre idilliaco. Norman è un facoltoso agente di spettacolo, un anziano a volte scorbutico ma con un grande cuore che deve affrontare la perdita della sua amata moglie e i travagli di una figlia tossicodipendente. Insieme condividono un’età che non fa sconti, sono dignitosi nell’affrontare gli inevitabili acciacchi, talvolta si rendono malinconici nell’accorgersi che nulla è per sempre, talvolta gioiscono per un’inattesa vigoria fisica.

“I due passeggeri su una barca che lentamente affonda” tutto sommato riescono a stare a galla e senza mai essere volgari riescono a parlare delle loro disgrazie con ironia. Il successo di questa serie è tutto racchiuso nello stile ironico, cinico, pungente che è presente nei dialoghi e nella recitazione strabiliante dei due attori che, con loro prove eccezionali, danno vita a dei siparietti che strizzano l’occhio a Woody Allen e alla coppia Lemmon/Matthau.

Dramma e comicità si alternano ma a volte si intersecano al punto che commozione e risate quasi tendono a sovrapporsi. C’è un momento, ad esempio, in cui Norman rivela all’amico i suoi pensieri suicidi, ma l’argomento così scottante viene subito raffreddato dalle parole che pronuncia: “Mi riempirei le tasche di salmone e andrei nel bosco in cerca di un orso affamato”.

La strana coppia riesce anche nei momenti più bui a risollevarsi, a non arrendersi del tutto, a sdrammatizzare gli acciacchi più frequenti come possono essere ad esempio quelli legati alla prostata: “Ormai piscio in codice Morse, a punti e a trattini”.
Ripensando ad alcune scelte compiute in passato, spesso i due protagonisti vengono assaliti dal dubbio di aver intrapreso la strada meno opportuna, subentrano rimpianti per occasioni perse, ma questa amarezza è trattata con il sorriso, con l’autoironia o a volte è superata con inaspettate avventure sentimentali, con momenti spassosi che per un attimo tengono lontano le situazioni più disperanti.

I due amici non possono che riflettere sul fatto che le uniche ragioni mondane delle loro giornate sono i funerali, ma ci sono anche momenti frizzanti, indimenticabili, love story in tarda età, occasioni di riscatto, rapporti contrastanti con i figli che trovano una soluzione. Il segreto del successo di questa serie sta anche nel fatto che la vecchiaia è raccontata con una sincerità disarmante soprattutto quando entra in relazione con l’avvicinarsi della morte.
Esemplare, in tal senso, la scena in cui Norman, davanti al cadavere di un amico, non nasconde di essere sollevato “perché non è toccato a lui”. Senza dimenticare l’emozionante monologo sulla morte recitato da Sandy ai suoi allievi nella lezione su come si mette in scena la dipartita di un personaggio. ” For the dying, the living are irrilevant” (“Per chi sta morendo, i vivi sono irrilevanti”) una frase di una potenza clamorosa, che sovverte qualunque forma di ipocrisia per dare adito al legittimo egoismo di una persona che non ha alcuna intenzione di lasciare la vita.

Il metodo Kominsky pone quindi delle riflessioni profonde sulla vita e attraverso dialoghi brillanti e intelligenti richiama l’attenzione anche sul ruolo del teatro e sul mestiere dell’attore. Cos’è poi questo metodo Kominsky? È una filosofia di vita che si avvale della tecnica di recitazione, ma anche di esperienza vissuta. Le lezioni di Sandy tendono sempre più ad assottigliare la differenza tra il palcoscenico e la vita reale, lo studio del personaggio diventa studio di sé e il teatro diventa scuola di vita, terapia esistenziale, esplosione emotiva. La recitazione è vista come estensione della vita reale e spesso accade di confondere i due piani.
Ci sono ad esempio monologhi recitati dagli allievi che scopriamo invece essere dei racconti di vita vissuta o al contrario momenti apparentemente reali che poi si rivelano finti come nella scena esilarante che vede protagonisti Sandy e l’ex moglie Roz, interpretata da Kathleen Turner: “Come mai non ti sei mai risposata?” chiede Douglas alla ex moglie di fronte ad un drink. Lei serissima: “Senti tesoro mio, il fatto è che non ho mai smesso di amarti”. Momento di tensione. “Davvero?” chiede lui incredulo. “No, ti prendo per il culo”. Le schermaglie divertenti tra i due, i continui battibecchi riportano alla luce La guerra dei Roses, film del 1989 con i due attori protagonisti diretti da Danny DeVito.

Va infine sottolineato come attorno alla coppia Douglas e Arkin, Lorre fa girare una costellazione di personaggi secondari di grande e perfetta umanità e che soprattutto non sono da meno per quel che riguarda la recitazione. Di innegabile bravura oltre alla Turner vanno menzionati lo stesso DeVito, nella parte di uno spassoso urologo, irresistibile nel raccontare come è nata la sua professione: “La varietà mi ha spinto a fare l’urologo: i peni sono come fiocchi di neve, non ce ne sono mai due uguali”.

A questi si aggiungono Morgan Freeman, il regista Barry Levinson, Elliott Gould, Paul Reiser, Haley Joel Osment, il bambino de Il sesto senso, qui nipote di Norman e tanti altri. Il metodo Kominsky sa ben rappresentare la polivalenza delle relazioni umane, sa essere irriverente e non ha peli sulla lingua nei confronti della modernità, in particolare sui rapper, sull’universo hollywoodiano spietato in cui nessuno gioisce dei successi altrui, sull’idiozia di Scientology, ma soprattutto sa riflettere, dietro la leggerezza, sulle gioie e i dolori degli uomini, sulle amicizie indissolubili e su una stagione della vita che non deve essere considerata come un’età detestabile e in lento disfacimento ma un’opportunità di rinascita in cui non è mai troppo tardi per sognare e credere in se stessi.

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