di Greta Boschetto

La cuccagna è un film del 1962 di Luciano Salce con Donatella Turri, Luigi Tenco, un vulcanico Umberto D’Orsi, un cammeo di Ugo Tognazzi e la meravigliosa partecipazione di Jimmy Il Fenomeno nel ruolo del fotografo.
“Le barche, Tahiti, sono tutte storie. Tutte storie che inventano quelli ricchi per divertirsi. L’albero della cuccagna se lo sono fatto per loro. Per noi di vero per il momento non c’è altro che noi due. Ti basta?”

Italia, 1962: così lontana nel tempo eppure così vicina, descritta con amarezza e ironia dall’acuto e al contempo ironico sguardo di Luciano Salce, che coglie i primi segnali di ciò che avrebbe trasformato la disperazione giovanile dei primi anni del Boom economico nei sussulti politici più diffusi del 1968.

La cuccagna è un film che ricorda il “Candido” di Voltaire, con una narrazione leggera che mischia sapientemente tragedia e commedia senza nascondere una critica graffiante alla società e alla famiglia tradizionale e che anticiperà le storie di Antonio Pietrangeli, fatte di giovani ragazze che nuotano sempre controcorrente in un mondo crudele governato dagli uomini.

Rossella Rubinace (Donatella Turri), la protagonista della pellicola, ha da poco finito le scuole superiori e vuole trovarsi un lavoro, essere indipendente, non rimanere in casa ad attendere il matrimonio, per non passare dall’essere figlia al diventare moglie.

Vive in una famiglia tipica: un padre padrone, una madre remissiva, una sorella sottomessa al marito e un cognato nostalgico fascista, tutti teledipendenti dal Carosello. Solo con il fratello ha un bellissimo rapporto, la cui omosessualità è insieme palese e taciuta.

Rossella è umile, ottimista, caparbia, una forza della natura che non è pronta a scendere a compromessi: proprio per questo scoprirà l’altra faccia del miracolo economico, fatta di affaristi senza scrupoli, approfittatori e lavori al limite dello sfruttamento (quindi le basi su cui hanno costruito il vuoto di diritti civili e sociali in cui ci troviamo ora), quella faccia oscura destinata alle persone comuni, un miraggio lontano e irraggiungibile dove il prezzo per provare ad entrarvici è la rinuncia ai propri valori.
Fortunatamente l’incontro con Giuliano (Luigi Tenco che di fatto interpreta Luigi Tenco) la farà sentire meno sola, condividendo con questo anti eroe contestatore la rabbia verso una società spietata che a quei tempi si stava ancora appena delineando.

In una Roma frenetica e in velocissima evoluzione, i due protagonisti si muovono per trovare il loro posto nel mondo: Rossella cercando comunque di rimanere all’interno della società, cercando un lavoro onesto che le permetta di emanciparsi, mentre Giuliano, arguto osservatore dei vizi e delle ipocrisie della società, sarà una sorta di Grillo Parlante che aprirà gli occhi a Rossella e piuttosto che partire a fare il soldato arriverà a prendere in considerazione anche il suicidio (la scena di Tenco che canta e suona “La ballata dell’eroe” di un esordiente Fabrizio De Andrè è davvero commuovente).

È pregno di tematiche scottanti e scomode questo film di Luciano Salce, tutte quante più o meno nuove a quei tempi, trattate con meno ferocia di un Pasolini ma chiare negli intenti e nel disprezzo: il patriarcato e la condizione della donna (notevoli le sequenze di Rossella che cammina per le strade e viene sottoposta continuamente a molestie e catcalling), l’anticapitalismo, l’omosessualità, la leva obbligatoria e quindi soprattutto l’antimilitarismo, questione per niente scontata e non ancora approfondita in quegli anni ancora freschi di guerre mondiali.
Quanti cambiamenti si sono susseguiti dal 1962 ad oggi? Molti.
Quante cose sono veramente cambiate? Poche, purtroppo.
